5G, IL RUOLO DEI COMUNI

IN TANTI COMUNI ITALIANI stanno arrivando richie-ste di gestori telefonici per installare nuove antenne che serviranno per la tecnologia 5g. Innanzitutto proviamo a capire, per sommi capi, di cosa si tratta: il 5G lavora su nuove “bande pioniere” dedicate, cioè 700 MHz, 3.5 GHz and 26 GHz, e promet-te una efficienza di trasmissione maggiore del-le tecnologie precedenti, una reattività più spinta (minore latenza) e una capacità superiore di gesti-re decine di migliaia di dispositivi (internet delle cose) per km quadrato. Le prime due frequenze sono paragonabili a quelle già in uso, la frequenza 26 GHz è una frequenza ad onde millimetriche, già diffusa da tempo come mezzo di trasmissione so-prattutto a scopi militari. Riconosciuto il grande beneficio che questa tecno-logia porterà in vari ambiti (dalla chirurgia all’agricoltura) e ammesso che l’Internet delle cose sia utile per i cittadini comuni (utile, ma non certo indispensabile, quindi si tratterebbe di un bisogno indotto) sorgono però molti interrogativi sugli effetti avversi di questo nuovo sistema, le cui onde elettromagnetiche vanno a sommarsi a quelle delle reti esistenti. Infatti, gli aspetti sanitari legati alle onde elettromagnetiche delle reti radiomobili (precedenti al 5G) sono stati oggetto di numerosi studi, che hanno messo in evidenza come le onde radio non si limitino al solo riscaldamento dei tessuti, ma che possano essere anche causa di effetti non termici, probabilmente fino a procurare il cancro nei forti utilizzatori di telefono cellulare.

L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’OMS (IARC= International Agency for Research on Cancer) ha classificato le onde a radiofrequenza tra i “possibili carcinogeni per l’uomo”. Il Parlamento Europeo ha più volte chiesto alla Commissione Europea di predisporre nuovi studi indipendenti e la revisione della lettera-tura ad oggi disponibile. Se i cittadini hanno paura è innanzitutto perché non c’è chiarezza nell’informazione.

Non solo: in questo contesto già poco nitido, nessun ente istituzionale nemmeno l’Istituto Superiore di Sanità e l’OMS, garantisce che non verranno innalzati i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici attualmente in uso in Italia, fra i più bassi al mondo, che al mo-mento ci permettono di considerare sostenibili an-che a lungo termine le frequenze già in uso e quelle 5G a 700 e 3600 MHZ, se mantenute nei limiti di campo elettromagnetico attuale, cioè 6 V/m. È il campo elettromagnetico che induce effetti sui sistemi biologici, non la frequenza delle onde. Infatti, anche nello studio dell’Istituto Ramazzini su ani-mali da laboratorio, il più grande mai eseguito sulle onde emesse dalle antenne delle stazioni radiobase, si è visto che i tumori correlati al sistema nervoso centrale e periferico osservati ad esposizioni di 50 V/m, non subivano invece incrementi significativi a 5 V/m e 25 V/m.

Pertanto, i 6 V/m permessi in Italia rappresentano una giusta cautela, che potrebbe essere ancora più efficace se le rilevazioni si basassero su misurazioni puntiformi (cioè se in nessun momento della giornata fosse consentito di oltrepassare quel limite) e non sulla media delle emissioni nell’arco delle 24 ore, come avviene pur-troppo dal 2011 a causa di una modifica del Governo Monti alla legge originale, n. 22/2001.Gli stessi tipi di tumore rilevati dallo studio del Ramazzini – rarissimi nella letteratura scientifica – sono stati osservati sia nel laboratorio del National Toxicology Program americano sia negli studi epi demiologici, cioè quelli effettuati sulla popolazione umana che faceva un pesante uso del telefono cellulare. In tutti questi casi bisogna leggere con molta attenzione i numeri: seppure gli studi quantifichino l’incidenza dei tumori a un livello basso, compre-so tra l’1 e il 2 per cento, occorre tenere presente che la popolazione esposta corrisponde alla quasi totalità della popolazione mondiale, pertanto anche una percentuale bassa può tradursi, in numero as-soluto, in centinaia di migliaia di persone colpite.

Nell’attesa di maggiori evidenze scientifiche sulle nuove frequenze del 5G, cioè quelle a 27.000 MHz o onde millimetriche, pur volendo riconoscere i potenziali vantaggi tecnologici, l’approccio al lancio della nuova tecnologia, da sovrapporre alle reti mobili preesistenti, non può che essere affrontato con grande precauzione, chiedendo alle autorità di frenare il dispiego rapido e omogeneo sul territorio di questa tecnologia. I tecnici delle compagnie dicono che la tipologia di trasmissione beamforming del 5G e la capacità di penetrazione nel corpo, che dovrebbe limitarsi al solo strato cutaneo, diminu-iscono l’esposizione, ma ricordo che il 5G non sostituisce le antenne 2G-4G, quindi sicuramente i campi elettromagnetici generati da tutti i tipi di antenne si sommeranno e aumenteranno l’esposizione totale, difficile da controllare in una situazione in cui la densità delle antenne non permette per “saturazione” di aggiungerne altre e rimanere nei limiti di legge. Diverso sarebbe se si trattasse di una mera sostituzione delle frequenze e non di un’aggiunta.

Non esistono studi adeguati per definire i pericoli delle onde millimetriche utilizzate per il 5G, le alte frequenze, ma esistono studi che evidenziano pericoli di cancerogenicità nelle ban-de dell’ordine di grandezza dai 700 MHz e 3600 MHz, che comprendono bande utilizzate dal 5G. Quindi, al momento, non si può né escludere (man-canza di dati non significa mancanza di pericolo) né affermare che le onde millimetriche del 5G siano cancerogene.

Quello che è stato evidenziato finora negli studi sperimentali ed epidemiologici sul 2G-4G è un pericolo a carico delle cellule nervose, che riguarda miliardi di persone esposte e che perciò rappresenta senza dubbio un evidente proble-ma di salute pubblica. Come avviene per l’industria chimica o del farmaco, prima di immettere una tec-nologia nuova e pervasiva sul mercato, bisognerebbe sottoporla a prove sulla sua innocuità per la salute umana.

Nel mondo della chimica in Europa il motto è “no data = no market”, cioè il produttore deve dimostrare l’innocuità di un prodotto per po-terlo registrare. Mi chiedo perché questo non debba avvenire per tutti i tipi di innovazione tecnologica e perché le tecnologie delle telecomunicazioni vengano imposte all’intera popolazione del globo senza nessuna garanzia sulla sicurezza e senza informazione adeguata. L’invito alla cautela trova i sindaci con pochissi-mi strumenti: seguendo i normali procedimenti amministrativi, un sindaco non può impedire l’installazione di nuove antenne, perché in base al Decreto Legislativo n.259/2003 (Codice delle Comunicazioni) le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria.

L’installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici viene autorizzata dagli Enti locali, nel rispetto delle nor-me urbanistiche e previo accertamento da parte di Arpa della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione (che per la telefonia mobile sono di 20 volt/m), i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità (6 volt/m), stabiliti uniformemente a livello nazionale. Non ci sono elementi per cui una richiesta di installazione possa essere respinta in caso di parere favorevole di ARPA. Le ordinanze di dinie-go emesse da alcuni sindaci rappresentano effetti tampone, per altro di durata limitata con rischio di impugnazione. Cosa diversa è la possibilità di redazione di un regolamento comunale, attualmente previsto come possibilità all’art.8 comma 6 della L.Q. n. 36 del 2001 in virtù del quale i comuni pos-sono assicurare il corretto insediamento urbanisti-co degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici.

Cosa consiglierei ai tanti Sindaci che oggi si ritrovano a gestire un tema così spigoloso, presi dalla contrapposizione fra sviluppo tecnologico e salute dei cittadini? Consiglierei loro di rispettare e far rispettare la legge con le seguenti azioni: 1) Mantenere come imprescindibile la condizione della legge 22/2001 n 36 che identifica come obiettivo di attenzione per il campo elettrico generato dalle radiofrequenze (RF) 6 V/m 2) Riportare la misurazione del campo elettrico per i controlli a medie sui 6 minuti e non nelle 24 ore come modificato dal governo Monti nel 2011, evitando così picchi di valori eccedenti durante gli orari di grande traffico di dati. 3) Chiedere la delega del monitoraggio dei campi elettrici generati dalle RF ai Comuni, con centra-line predisposte a misurare in continuo nei luo-ghi sensibili, come scuole, palestre, parchi giochi, campi sportivi ecc. Le misurazioni dovrebbero poi essere messe a disposizione delle ARPA per gestire le informazioni sanzionando eventuali sforamenti; le ARPA non hanno risorse umane sufficienti per un monitoraggio capillare del territorio. 4) Cablare tutti gli edifici pubblici o di nuova co-struzione attraverso collegamenti diretti alla fibra ottica. 5) Predisporre spazi WiFi free (come per il fumo di sigaretta) per evitare esposizioni passive di chi non utilizza tecnologie di teletrasmissione e ha proble-mi di elettrosensibilità. 6) Inserire nei programmi scolastici a tutti i livelli lezioni sull’uso dei telefoni cellulari. 7) Chiedere alle compagnie di produrre telefonini più sicuri (abbassare l’energia emessa), con l’in-troduzione di auricolare incorporato affinchè il telefono funzioni solo quando lontano dal corpo e soprattutto lontano dalla testa. 8) Informare i cittadini sull’attuale stato delle conoscenze sui rischi per la salute, ma anche sulle opportunità di sviluppo digitale e sulle eventuali alternative infrastrutturali alle antenne per la trasmissione in 5G 9) Costituire un tavolo semipermanente che tenga aggiornato il Comune e le parti sociali sulle possibilità e le modalità di intervenire a tutela della salute.

Fiorella Belpoggi

Direttrice scientifica Istituto Ramazzini, Bologna

Ramazzini News

Febbraio 2021 https://www.ramazzini.org

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