Governo Draghi? PD: ultima chiamata

All’opaco orizzonte della politica italiana si profila, oggi, quel governo Draghi cui solo Confindustria – per evidenti e comprensibili motivi – e Matteo Renzi – per recondite ed inconfessabili aspettative – guardavano con evidente interesse.

Naturalmente, assunta la legittimità di Confindustria – e, con essa, di quelli che, una volta, persino D’Alema definiva “I poteri forti” – nel preferire un governo (pseudo) tecnico 1 a un eventuale Conte ter, resterebbero da chiarire le motivazioni reali che hanno indotto il già “nemico dei lavoratori” 2 a vestire anche i panni del killer nei confronti del secondo governo Conte.

Non è questo, però, il momento di sprecare alcuna energia per cercare di decifrare e capire le motivazioni che hanno indotto il capo di Iv a sabotare il governo in carica 3.

Qualcuno azzarda l’ipotesi che a pesare sulla sua decisione sia stata la volontà di un maggiore potere decisionale rispetto alla destinazione degli oltre 200 mld del Recovery fund.

Qualche altro, invece, ritiene sia stata determinante la volontà di sabotare le riforme del ministro della Giustizia e, contemporaneamente, “offuscare” l’immagine del premier; il tutto, a vantaggio del suo incontenibile ego.

Ma questo poco importa.

È importante, piuttosto, ragionare intorno alle scelte che caratterizzeranno l’immediato futuro.

In questo senso è lecito e doveroso interrogarsi su quelle che saranno le posizioni che esprimeranno, nei fatti – anche al di là, quindi, delle dichiarazioni ufficiali espresse dalle delegazioni dei partiti consultate dal Premier incaricato – i protagonisti in campo.

Credo abbastanza facile e scontato immaginare che la Meloni, ad esempio, non avrà remore nell’insistere con la sciagurata 4 richiesta di tornare alle urne.

In effetti, dal suo meschino punto di vista, avrebbe poco o nulla da perdere.
Potrebbe incrementare di qualche altro punto percentuale la sua rappresentanza parlamentare e/o addirittura – nella migliore delle ipotesi – ritrovarsi in uno stato di maggioranza elettorale fascio/leghista/berlusconiana.

Leggermente diversa la posizione del rozzo capo della Lega che, contrariamente a quanto sostiene, immagino, abbia qualche timore nell’affrontare una tornata elettorale in un clima abbastanza favorevole 5 all’uscente Premier e non più esaltante – come fino ad appena qualche mese fa – nei suoi confronti.

Più o meno uguali considerazioni, credo, siano quelle in atto in qualcuna delle lussuose ville dell’auto-sospeso “Cavaliere”!

In effetti, relativamente a quel che resta del partito dell’ex indiscusso capo del Centrodestra – considerato anche il (non poco) significativo abbandono della sua “badante”, tale senatrice Mariarosaria Rossi – sembrerebbe lecito pensare che ad Arcore si consideri, tutto sommato, più che accettabile un governo presieduto dall’ex Presidente della Bce, piuttosto che da qualsiasi altro politico che non sia Berlusconi stesso. Male che vada, nel senso di una mancata partecipazione attiva nell’eventuale nuovo Esecutivo, l’astensione rappresenterebbe, forse, la migliore soluzione.

Per quanto riguarda, invece, il M5S, la logica – e le dichiarazioni del suo capo politico Vito Crimi lo confermerebbero – suggerirebbe di prendere atto della posizione di netta chiusura a un governo “tecnico”; indipendentemente dalla figura di Mario Draghi.

Ma si sa, “al cuor non si comanda” e, sinceramente, in ossequio alla scarsa considerazione politica che ho sempre avuto nei confronti della stragrande maggioranza dei dirigenti 5S, non mi sorprenderebbero posizioni molto “articolate” all’interno del Movimento.

Le scelte di Renzi e del suo Iv, francamente, suscitano in me scarsa partecipazione.

Ribadisco di considerarlo un nemico dei lavoratori cui è purtroppo consentito, nonostante l’irrilevanza 6 politica (in termini percentuali) del suo partito, di “tenere in scacco” – in piena emergenza sanitaria – un intero Esecutivo e svolgere opera di killeraggio politico; a danno di Conte e dell’intero Paese.

Un discorso a parte meriterebbe il Pd.

Prima però, vorrei ricordare che il Mario Draghi, cui il Presidente Mattarella ha affidato tale ingrato compito (per i tempi in cui viviamo) è lo stesso che, nell’agosto del 2011, insieme a Trichet 7 , scriveva 8 al governo Berlusconi: ”C’è anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione”.

La conseguenza fu quel fetido 9 art. 8 della legge 14 settembre 2011, nr. 148, grazie al quale i contratti stipulati a livello aziendale o territoriale e sottoscritti solo da alcuni sindacati possono derogare in peius sia ai Ccnl sia – addirittura 10 – alle vigenti leggi!

Si istituzionalizzava 11, quindi, “la prerogativa dell’interesse privato di un’azienda sull’interesse generale (dei lavoratori), a protezione del quale la legge almeno in principio dovrebbe operare”.

Dopo qualche mese, nacque il governo Monti. Un governo tanto “tecnico” da operare scelte politiche che i lavoratori, già in condizioni poco rassicuranti, avrebbero pagato a caro prezzo!

Ebbene, quel governo che, a mio parere, operò scelte esiziali – tutt’altro che “tecniche” – per il futuro dei lavoratori, dalla pessima legge Fornero al sostanziale superamento dell’art. 18 della legge 300/70, poté contare sul sostegno del Pd e del suo pavido Segretario.

Lo stesso Luigi Bersani che, nel 2015, pur di tutelare il buon nome dell’ormai (ampiamente) screditata “Ditta”, avrebbe poi votato tutti e quattro i decreti legislativi di cui al famigerato Jobs-act!

Oggi ci risiamo e, a mio avviso, al Pd si presenta un’occasione storica.
Da quel lontano 2013 sono trascorsi pochi anni, a Bersani, alla guida del Pd, seguì quello cui, solo oggi, tanti ex Pci, ex Pds, ex Ds – dopo averne esaltate le doti e le capacità di “rottamatore”- addebitano la colpa di avere (quasi) completato 12 l’opera di “desinistrazione” del Pd.

All’attuale, impalpabile, Segretario è toccata la pesante eredità renziana e, oggettivamente, non si può certo sostenere che la sua gestione, rispetto al sostanziale fallimento delle precedenti, abbia particolarmente brillato.
Certo, ancora oggi, la presenza, nel suo Pd, di una vera e propria “quinta colonna” renziana è evidente e rappresenta una parziale attenuante.

Ma questa volta, in queste ore e in questi giorni, il Pd di Nicola Zingaretti potrebbe cogliere l’occasione per dimostrare – a quel che resta della “sua gente” e a quanti, a sinistra (nonostante tutto) sarebbero ancora disposti a concedergli credito – che nel nostro Paese è tutt’ora viva (e necessaria) tanta voglia “di sinistra”!

Le premesse, in questo senso, non sono, purtroppo, rassicuranti.
Già più d’uno, tra i massimi dirigenti Pd ha richiamato, nel commentare l’incarico a Draghi, un non meglio specificato “senso di responsabilità” del partito.

L’auspicio di molti, a sinistra, è che, in nome dello stesso, non si sacrifichi (forse) l’ultima possibilità di ritrovare – dopo tanto peregrinare – una forza politica concretamente ancorata “a sinistra”.

Personalmente, sono convinto che ne abbia bisogno il Paese e non ne possano fare più a meno le lavoratrici e i lavoratori italiani.

NOTE

  • 1- Ho sempre ritenuto presente un rapporto di opposizione semantica tra i termini “governo” e “tecnico”, perché, a mio parere, anche un “non politico” di professione, chiamato a guidare un nuovo Esecutivo, opererà delle scelte con inevitabili effetti e conseguenze di natura politica.
  • 2- Alludo, evidentemente, a Matteo Renzi, reo, a mio avviso, di una nefasta opera di demolizione dei diritti dei lavoratori; in particolare attraverso l’ulteriore ridimensionamento dell’art. 18 dello Statuto (già “manomesso” dalla Fornero e dal governo “tecnico” di Monti) e il superamento dei contratti a tempo indeterminato attraverso il c.d. “Contratto a tutele crescenti”.
  • 3- Nel quale, tra l’altro – in misura inversamente proporzionale al suo “peso” politico – il partitino di Renzi poteva contare su ben due ministri e un sottosegretario.
  • 4- Considero tale un’eventualità del genere per il momento così drammatico, dal punto di vista sanitario, che il nostro Paese si trova ad affrontare; per la grave pandemia ancora in atto e per l’imprevisto problema legato al piano di vaccinazione anti Covid-19.
  • 5- Ancora fino a qualche giorno fa Giuseppe Conte poteva contare sulla stima di gran parte degli intervistati in un sondaggio destinato ad individuare il politico attualmente più “credibile”.
  • 6- Il pensiero va ai grandi politologi e màitres a penser che consideravano il sistema elettorale proporzionale fonte di “ricatto” da parte dei piccoli partiti e auspicavano, quindi, l’attuale sistema maggioritario. Ciò che è stato capace di produrre Renzi – in un sistema maggioritario – nonostante i suoi numeri da prefisso telefonico, è, purtroppo, sin troppo noto a tutti!
  • 7- Presidente della Banca centrale europea dal 2003 al 2011 (già Governatore della Banca di Francia).
  • 8- Fonte: “Il Sole 24 Ore”; del 29 settembre 2011.
  • 9- Mi scuserà il lettore, ma non trovo migliore definizione e rifuggo dagli eufemismi
  • 10- “Se non si vuole far fare un salto indietro di mezzo secolo alla nostra civiltà del lavoro, va semplicemente cancellato”. Così si esprimeva, in riferimento all’art. 8 del decreto legge 138/2011 (poi convertito in legge 148/2011), il mai sufficientemente compianto Luciano Gallino.
  • 11- Fonte: “Non è lavoro, è sfruttamento”; di Marta Fana, Ed. Laterza.
  • 12- Operazione già avviata, a mio parere, sin dalla costituzione, nel 2007, del Pd. A cominciare da quel Valter Veltroni, primo segretario, che si vantava di non essere mai stato comunista ed affermava – mentendo – di non avere mai oltrepassato la c.d. “Cortina di ferro”.

Renato Fioretti

Collaboratore redazionale ddel mensile Lavoro e Salute

4/2/2021

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