8 marzo 2021: sciopero globale delle donne dal lavoro produttivo e riproduttivo

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Lo scenario italiano dentro cui cadrà l’8 marzo 2021 si preannuncia disastroso per tutte le donne. E non lo dicono le femministe più accanite, ma i freddi numeri delle relazioni statistiche: fra novembre e dicembre 2020 hanno perso il lavoro 99.000 donne, malgrado il perdurare degli ammortizzatori sociali e del blocco dei licenziamenti. Precarie, part-time spesso involontarie, partite Iva, piccole artigiane e commercianti escono dal lavoro e in genere rinunciano a rientravi se è vero che sempre in quei mesi le disoccupate crescono di 20.000 unità e le inattive di 60.000. La definizione specifica chiarisce che sono quelle che hanno perso la speranza di trovare un lavoro e non lo cercano nemmeno più. Nello stesso periodo gli uomini in questa condizione di espulsione dal lavoro sono 2000. La statistica annua ripresenta questo squilibrio scandaloso: 312.000 donne perdono il lavoro a fronte di 132.000 maschi. Nel 2019 a dicembre ci si rallegrava perché le donne occupate erano passate da 9 milioni e mezzo a 10, segnando una debole risalita del lavoro femminile in Italia, che ci vede fanalino di coda in Europa (il 56,2% contro il 68,3% nella Ue, il risultato peggiore dopo Malta).

Ora la pandemia ha spazzato via quella timida e stentata risalita e ripresenta il conto. La crisi non ha solo un segno di classe, di riorganizzazione del capitale nella nuova crisi della globalizzazione neoliberista, di aumento delle disuguaglianze e della precarietà in tutti i momenti della vita, ma anche una precisa connotazione patriarcale, accentuando e scoprendo disparità e discriminazioni prima apparentemente invisibili, anche se preesistenti in tutte le strutture economiche e sociali. E d’altronde nei meccanismi del mercato del lavoro, nella apparente neutralità del lavoro produttivo la contraddizione di genere è stata sempre affrontata come questione di donne, specifica e particolare malgrado tutti gli indicatori dicessero il contrario :tasso di occupazione, disparità salariale, femminilizzazione dei settori più dequalificati, tetto di cristallo per le figure dirigenziali, politiche di conciliazione fatte per fare stare insieme quello che non potrebbe stare :il lavoro nella produzione e tutto il lavoro della riproduzione sociale, cioè la famiglia, i figli, gli anziani, i disabili. Tutti “naturalmente” accuditi dalle donne. Questo paradigma patriarcale è un problema generale, che tocca le donne, ma organizza in modo distorto tutte le forme di convivenza umana, alimentando guerre, distruzione della natura, svalorizzazione di ciò che non fa profitto e non produce merce.

L’impronta patriarcale si ripresenta in tutta la sua forza nella crescita della violenza contro le donne. Durante il lockdown nel mondo la violenza degli uomini sulle donne è aumentata del 20%, secondo i dati dell’ONU. Mentre la casa avrebbe dovuto essere luogo di rifugio sicuro per sfuggire al contagio, per molte donne la permanenza domestica con il partner è stata un inferno. Se ne sono accorte in Italia le donne che gestiscono i Centri Antiviolenza, che hanno registrato un aumento del 73% delle richieste di aiuto. Nel 2020 in Italia mentre diminuiscono gli omicidi, aumentano i femminicidi. E ogni volta che una donna viene uccisa, si ripete la narrazione tossica del fatto da parte dei media, la sua vita viene scandagliata in ogni particolare più intimo e spesso l’assassino, viene presentato come vittima dell’amore e della passione.

Dunque la condizione quotidiana delle donne e la loro sensazione diffusa che il futuro sarà peggio, spinge ad arrivare al prossimo ’8 marzo consapevoli che non vi è nulla da festeggiare, ma vanno comprese le cause di quello che succede e riscoprire l’antico slogan dei cortei femministi: l’8 marzo non è un anniversario, ma un giorno di lotta rivoluzionario.

E’ già da alcuni anni che il movimento femminista a livello internazionale si è impegnato nella risignificazione di questa giornata, non solo strappandola allo stereotipo della festa delle donne omaggiate di mimose e libere di trovarsi fra loro per una sera, ma anche costruendo una giornata di lotta diversa, non più dedicata a ricordare, rivendicare e continuare le pur grandi conquiste del passato, di tutte le fasi della lunga storia del movimento delle donne, ma a determinare una nuova meta comune e un nuova forma di lotta per costruire il futuro. L’obiettivo è quello di rappresentare nelle mobilitazioni, nelle parole d’ordine il carattere complessivo della lotta femminista, il suo essere globale e intersezionale, cioè la sua capacità intenzionale di cogliere tutti gli aspetti della oppressione patriarcale e i suoi nessi con le forme economiche e sociali e culturali del neoliberismo.

Se si getta uno sguardo anche sommario ai conflitti che vedono oggi e donne agire la lotta contro il patriarcato cogliamo la molteplicità delle contraddizioni che attraversano le loro vite, a partire dalla lotta per poter essere padrone del proprio corpo, della propria sessualità e del propria capacità riproduttiva. La piena libertà di scegliere se e come e quando diventare madre è un punto unificante storico di tutto il movimento delle donne, è la signoria sul proprio corpo, su cui non può decidere la chiesa, lo Stato, il medico, il partner, il padre. In questo momento facciamo festa per la lunga e vittoriosa lotta delle donne Argentine che hanno conquistato una legge che permette loro di abortire l legalmente e solidarizziamo con le donne polacche che invece riempiono le strade per fermare la volontà del Governo di restringere lo spazio della loro autodeterminazione. Già le compagne polacche dovevano fare i conti con una legge molto restrittiva che permette l’aborto legale solo dopo uno stupro, quando è a rischio la salute della donna e quando ci sono malformazioni del feto. Ma questo ultimo punto è stato dichiarato illegittimo dalla corte Costituzionale nel mese di ottobre 2020.
Contro questa sentenza le donne polacche stanno facendo una lotta senza quartiere e sono state in grado non solo di unire le donne e di mobilitarle in continue manifestazioni di massa, malgrado la dura repressione, ma anche di diventare la punta avanzata di una lotta per la democrazia, contro il regime autoritario e sovranista di Orban. La forza espansiva della loro mobilitazione ha ottenuto la moratoria alla elaborazione della legge che in parlamento dovrebbe recepire la sentenza della corte. Intanto le compagne polacche lavorano a rafforzare il loro fronte interno e allargano l’influenza e il peso della solidarietà internazionale. In Italia è aperta una campagna di raccolta firme che chiede al governo di ritirare l’ambasciatore italiano dalla Polonia (change.org da ‘La violenza sulle donne ci riguarda’)

Del resto la possibilità di decidere se e quando diventare madri è costantemente messa in discussione ovunque, è il punto di attacco del patriarcato anche là dove esistono legislazioni che riconoscano alla donna questa facoltà. Anche in Italia si realizza questa aggressione, malgrado esista una legge dello Stato, la 194 che garantisce la interruzione di gravidanza libera e gratuita nelle strutture del SSN. I limiti del testo della 194 permettono questo continuo boicottaggio: dalla esistenza della obiezione di coscienza dei medici, che priva intere zone della applicazione della legge, alla regionalizzazione della Sanità, che dà spazio ad alcune Regioni, come le Marche per non applicare le recenti linee guida del Ministero della Salute, che autorizzano l’uso della RSU 486 senza ricovero ospedaliero. Il ricorso all’aborto farmacologico è particolarmente importante in un periodo di epidemia, in cui è difficile e lento e contingentato l’accesso alle strutture ospedaliere.

A ciò si aggiunge una grande attivismo ideologico delle organizzazioni Provita&Famiglia, che, dopo aver per anni cercato di far votare nei consigli regionali e comunali delibere per costruire cimiteri dei feti, li hanno anche realizzati in qualche luogo (es Roma) e lì illegittimamente e a insaputa delle donne che hanno abortito, seppelliscono i feti con la data della operazione. Hanno anche rafforzato i loro legami internazionali, le loro fonti di finanziamento, la loro penetrazione negli ospedali e nei consultori per convincere le donne a non interrompere la gravidanza. Recentemente hanno inaugurato fuori dagli ospedali o nelle metropoli una campagna aggressiva di cartelloni giganti contro l’aborto farmacologico e soprattutto contro le donne che ne fanno uso, cui si attribuisce un omicidio (testo: prenderesti mai del veleno? stop alla pillola abortiva RU486, mette a rischio la salute e la vita della donna e uccide il figlio nel grembo). Là dove esiste un collettivo di donne, una associazione femminista, un nodo di Nonunadimeno, e un tessuto politico e democratico vigile è scoppiato lo scandalo e i manifesti sono stati rimossi velocemente. Ma in altri territori continuano a campeggiare davanti agli ospedali con il loro contenuto, antiscientifico e misogino a testimonianza di una lotta ancora aperta, da estendere e chiudere a favore della libertà femminile.

Nella giornata dell’8 marzo questi problemi e tutti quelli che il femminismo sta affrontando nel mondo come soggettività politica vengono rappresentati, connessi fra di loro in un processo di critica dell’esistente e di costruzione di proposte alternative. Si vuole affermare il concetto che la soggettività femminista è plurale, non binaria, inclusiva e alternativa all’esistente, che si fa carico di tutte le disuguaglianze e vuole costruire la potenza della forza delle donne che dà valore a ognuna di noi abbandonando la narrazione della fragilità,della debolezza, della protezione e della tutela. Il mondo si regge sul lavoro delle donne, quello che compiono nella produzione formale e informale, quello che tutte senza pause e respiro dedicano alla riproduzione sociale, dal tempo per il riassetto della casa, alla preparazione del cibo a quello dedicato alla cura dei figli, dei genitori, dei malati, dei disabili. Nei luoghi difficili di guerra, di carestia e di siccità, di devastazione estrattivista della natura le donne con il loro lavoro (che è sempre un intreccio di fatica materiale e di attenzione alle relazioni umane, all’equilibrio della natura), ripristinano il fragile equilibrio che permette la continuazione della vita umana.

Se tutto questo loro lavoro si fermasse il mondo si fermerebbe e si accorgerebbe della sua insostituibilità, del suo valore Sarebbe più evidente che nessun cambiamento può prescindere da quella soggettività femminista che più delle altre padroneggia e sperimenta il rapporto fra produrre e riprodurre e che, in rapporto alla crisi attuale in Italia si batte per un reddito di autodeterminazione, per un welfare universale non familistico, per un salario minimo europeo, per un permesso di soggiorno non condizionato da famiglia e lavoro, per dare la priorità alla salute e alla salvaguardia dell’ecosistema rispetto al profitto.

Questo significa lo sciopero globale delle donne, dal punto di vista simbolico e dei contenuti .Dal punto di vista pratico sarà uno sciopero delle donne che lavorano e uno sciopero delle donne che non lavorano, delle casalinghe, delle pensionate, che non facciano la spesa, che non curino i nipoti, che non preparino il pranzo, sciopero del consumo, dei ruoli codificati e imposti dalla società patriarcale. E’ lo sciopero delle lavoratrici che darà la misura dell’avanzare di anno in anno del progetto. Per questo Nonunadimeno ha indirizzato una articolata lettera ai Sindacati tutti che conclude così: “chiediamo dunque a tutti i sindacati di aderire allo sciopero generale del prossimo 8 marzo 2021 garantendo la copertura sindacale alle lavoratrici e ai lavoratori che vorranno astenersi dal lavoro. Oltre all’indizione dello sciopero per l’intera giornata e per tutti i comparti del settore pubblico e privato, invitiamo inoltre le organizzazioni sindacali a sostenere lo sciopero femminista nelle forme più opportune: mandando la convocazione su tutti i posti di lavoro e riportando le motivazioni dello sciopero, indicendo le assemblee sindacali per informare lavoratrici e lavoratori sulle rivendicazioni della giornata, favorendo l’incontro tra lavoratrici e lavoratori e i nodi territoriali di Non Una di Meno, nel rispetto dell’autonomia del movimento femminista.”

Lavorare tutte e tutti per la riuscita di questa giornata sarebbe un buon inizio per una stagione di lotta nuova e difficile, quella che sta inaugurando il governo Draghi per guidare la ristrutturazione capitalistica e patriarcale tramite il Recovery Fund.

Giovanna Capelli

Pubblicato sul numero di febbraio del mensile Lavoro e Salute

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