A tutto gas!

A tutto gas!

Con l’estate, nel governo è scoppiata la bagarre sulle grandi opere, essendo uno dei punti programmatici in cui i due alleati, Lega e Movimento 5 Stelle, hanno una impostazione sostanzialmente diversa. Il Movimento 5 Stelle, che aveva fatto incetta di voti in Puglia anche sullo stop al metanodotto TAP (Trans Adriatic Pipeline), sembra aver cambiato idea su quest’opera. Considerata inutile in campagna elettorale, oggi, invece, affermano che sia da valutare se corrisponde all’interesse o meno del paese sulla base dell’analisi dei costi e benefici. Le prime contraddizioni tra le aspettative di cambiamento suscitate nell’elettorato e le azioni di governo stanno venendo alla luce. Non a caso anche la contrarietà al TAV, altra grande opera su cui il Movimento 5 Stelle ha costruito le proprie fortune di immagine e di voti, sembra impantanata per gli stessi motivi.

La Lega insiste sul realizzare l’opera che ritiene strategica e necessaria per abbassare il costo dell’energia del 10%. Le promesse sul blocco del TAP le hanno fatte i 5 stelle non la Lega, la quale ritiene l’alleato di governo il principale competitore elettorale. Competitore coinvolto nella campagna dai toni xenofobi sul respingimento dei migranti in Libia, cavallo di battaglia elettorale della Lega. Solo oggi, con le prime contraddizioni tra alleati e in modo del tutto tardivo, i 5 Stelle sembrano volersi smarcare da un tema, quello dei migranti, che ha monopolizzato fino ad oggi l’attenzione mediatica sul governo.

A luglio, l’esponente dei 5 stelle Barbara Lezzi, ministro per il Sud, era stata contestata dai No TAP per aver sostenuto che nonostante la sua personale contrarietà all’opera ci sono degli accordi internazionali da rispettare. Eppure tutti in Puglia, e in particolare i No TAP, ricordano bene le parole di Alessandro Di Battista che in campagna elettorale sosteneva che l’opera sarebbe stata fermata in due settimane. Le due settimane sono passate, tante poltrone sono state occupate, ma l’opera è ancora considerata strategica, come ribadito anche dal ministro degli esteri Moavero Milanesi e dal primo ministro Conte nel recente incontro con Trump. Lo stesso Conte che nella riunione con il sindaco di Melendugno, comune interessato dall’opera, aveva aperto alla possibilità di bloccare il TAP, valutando “approfonditamente” le criticità denunciate dalla popolazione locale, tanto che il sindaco era tornato a casa cantando vittoria.

Per ora, il governo di “cambiamento” ha avuto solo la retorica, mantenendo sulle questioni fondamentali una sostanziale continuità con quelli precedenti. Se prima la giustificazione per portare avanti le politiche di aggressione contro i lavoratori e le classi popolari era “ce lo chiede l’Europa”, oggi sembra sia “non possiamo farci nulla se il governo precedente ha preso impegni che noi non possiamo disdire. Ci sono penali, i costi superano i benefici, insomma l’opera si dovrà fare. La colpa è del PD, non del Movimento 5 Stelle”. Ma ormai la credibilità del M5S rischia di essere seriamente messa in discussione in Puglia, passando dalle stelle alle stalle. Non a caso lo stesso Di Battista è recentemente intervenuto per dire ai suoi che su TAP e TAV non bisogna fare passi indietro. La faccia ce l’ha messa lui in campagna elettorale! E anche Grillo ha rincarato la dose, per ottenere di più nella contrattazione con la Lega. L’impressione è che alla fine si troverà un accordo, il TAP sarà realizzato, terminando, al limite, in un altro punto della Puglia.

I reali interessi dietro il TAP sono ancora poco chiari, sebbene un’inchiesta recente ne abbia evidenziati alcuni a livello internazionale, da quelli della famiglia Erdogan a quelli dei regnanti dell’Arzebaijan, passando per quelli degli oligarchi russi vicini a Putin [1]. Da una parte c’è chi sostiene che tale opera risponde agli interessi statunitensi ed europei per diversificare l’approvvigionamento energetico dell’UE penalizzando così l’economia russa, dall’altra c’è chi vede dietro a quest’opera la longa manus di Putin, manovratore del “governo del cambiamento”. Eppure, a giugno, in sede europea, sulla conferma delle sanzioni alla Russia questo governo si è mosso in completa continuità con i precedenti, votando a favore dell’estensione delle sanzioni per un altro anno, sebbene un singolo voto contrario avrebbe bloccato il provvedimento.

Il TAP prevede l’arrivo a San Foca di un metanodotto proveniente dal giacimento di Shah-Deniz dell’Arzebaijan, considerato il più promettente al mondo. Quindi non è che l’ultimo tassello di un lungo condotto che dal Caucaso, attraversando Turchia, Grecia e Albania arriverà in Italia passando sotto l’Adriatico: da qui il nome TAP. È stimata una portata di 10 miliardi di metri cubi (Mmc) di gas l’anno, estendibili successivamente a 20.

Secondo i No TAP e gli oltre 50 sindaci dell’area, contrari, l’opera colpirebbe la prima risorsa economica della zona, il turismo, e la coltivazione degli ulivi già intaccata dall’espianto. I danni si protrarrebbero oltre la fase di costruzione, modificando drasticamente l’economia locale e favorendo fenomeni quali la cementificazione e un indotto legato al solo settore gasiero. Perplessità sono espresse dalla popolazione locale contraria al TAP anche per l’inquinamento che la costruzione e il funzionamento dell’opera provocherebbero. Sarebbero colpite le falde acquifere, arrecando danni permanenti all’agricoltura e alla vita delle persone.

Anche la sua reale utilità è messa seriamente in discussione dai No TAP, i quali sostengono che il consumo del gas sia in calo e che l’Italia e l’Europa non necessiterebbero pertanto di questa grande opera. Il TAP risponderebbe a ragioni economiche-finanziarie e non alle “necessità” reali di chi vive in Italia o negli altri paesi [2]. Inoltre l’impresa costruttrice, la Trans Adriatic Pipeline AG [3], essendo registrata in Svizzera non pagherà le tasse in Italia. Insomma il nostro paese da quest’opera pagherebbe solo i costi senza ottenere nessun beneficio.

L’opinione che il consumo di gas sia in calo non è condivisa né da Gazprom né dall’UE che hanno, invece, ipotizzato per l’Europa un aumento dei consumi nei prossimi dieci anni tra il 10 e il 15 percento e hanno pianificato di conseguenza la costruzione di numerosi gasdotti, dei quali il TAP è solo una minima parte. Osservando la tabella dei consumi annuali di gas, riportata dal Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE) [4], si nota che il consumo di metano ha seguito il PIL. Si è avuto un picco nel 2005 di 86 Mmc e un calo con la recessione, per poi tornare progressivamente ad aumentare con la leggera ripresa economica, arrivando nel 2017 a 75 Mmc. Tale scenario ottimistico di Gazprom ed UE è pertanto compatibile solo con una ripresa continua per i prossimi dieci anni, e potrebbe essere vanificato da nuovi cicli recessivi della crisi di sovrapproduzione.

Quella che invece è sicuramente in calo è la produzione di gas in Europa e in Italia. I giacimenti del mare del Nord sarebbero in via di esaurimento, tanto che Snam Rete Gas [5], che gestisce il trasporto, ipotizza nel proprio piano decennale di sviluppo [6] la possibilità che le importazioni di gas tramite il Passo Gries possano arrivare a zero. La produzione italiana si è dimezzata dal 2006 al 2016, arrivando oggi ad essere poco più di 5,5 Mmc, e per gli anni successivi si prevede per le fonti “convenzionali” di gas un calo annuo medio di circa il 4%.

Rimangono, invece, grandi incertezze sulla produzione di biometano agricolo e da rifiuti [7], per il quale sono ipotizzati nel rapporto Snam due scenari alternativi: o uno sviluppo sostanziale del settore, che arriverebbe nel 2026 ad una produzione di 4 Mmc e nel 2035 di 10,6 Mmc, ricoprendo un ruolo rilevante per gli utilizzi di gas nel termoelettrico e nell’autotrazione; o la produzione di biometano rimarrebbe inferiore a 1,3 Mmc anche nel 2035, garantendo la riduzione delle emissioni di gas “climalteranti” mediante lo sviluppo delle rinnovabili. Nel primo caso aumenterebbero i consumi e anche le importazioni di gas, le quali raggiungerebbero nel 2030 i 76,8 Mmc. Nel secondo scenario si avrebbe un calo dei consumi e minori importazioni, che non supererebbero i 73 Mmc del 2030. Tuttavia in entrambe le ipotesi è stata considerata una crescita continua del PIL dello 0,8% l’anno.

Nel 2017 le importazioni di gas, che sono in crescita dal 2014, hanno superato i 69 Mmc per via dell’aumento dei consumi e del calo della produzione nazionale. Incremento su cui ha pesato il maggiore utilizzo delle centrali termoelettriche per la notevole riduzione della produzione di energia idroelettrica, ai minimi storici degli ultimi 10 anni a causa della grande siccità di quell’anno. Tuttavia non si è ancora raggiunto il massimo di importazione del 2006 di 77,4 Mmc. A dominare le esportazioni verso il nostro paese è la Russia con il 43% nel 2017. Approvvigionamento che si è interrotto a dicembre del 2016 con l’incidente alla stazione di compressione di Baumgarten, che fu utilizzato dai 5 Stelle, allora all’opposizione, per attaccare i gasdotti e la TAP. Seguono Algeria, Nord Europa e Libia con rispettivamente il 27%, circa il 10% e meno del 7% del gas importato. Le importazioni dalla Libia si sono ridotte in conseguenza della situazione di instabilità del paese dopo l’aggressione imperialista; infatti con Gheddafi tramite l’ingresso di Gela entravano in media circa 9 Mmc l’anno, mentre nel 2017 sono stati importati circa 4,6 Mmc di gas. Il contributo dei tre rigassificatori di Panigaglia, Cavarzere e Livorno si attesta, invece, intorno al 12%.

L’idea che i consumi nel capitalismo possano decrescere, in assenza di forti crisi economiche, non convince affatto, essendo un sistema che per propria natura tende ad aumentare la produzione oltre ogni reale necessità per incrementare l’accumulazione di capitale. Che la grande opera TAP sia sistemica [8] e risponda agli interessi del capitalismo produttivo e bancario, è senz’altro vero. Una riduzione dei consumi e, quindi, delle necessarie materie prime può avvenire solo in un sistema più razionale, di tipo non capitalistico. Per ottenere un reale cambio di sistema è però necessario mettere in discussione la proprietà privata dei mezzi di produzione e non solo la distribuzione della ricchezza prodotta. Non ci convince, invece, l’idea che ci sia un capitalismo “buono” e uno corrotto, in quanto questo sistema tende a riprodurre la corruzione come mezzo per vincere la competizione e per incrementare le ricchezze private.

Quello che è chiaro è l’interesse di alcuni gruppi del capitalismo italiano per il TAP al fine di fare dell’Italia l’hub meridionale per la fornitura di gas all’UE. Non a caso sono previsti un altro gasdotto, Poseidon [9], che arriverà sempre in Puglia ma ad Otranto, e un rafforzamento della linea di trasporto fino all’Emilia Romagna. Funzionale a ciò è anche lo sviluppo della linea nella Pianura Padana, essendo i punti di esportazione Passo Gries e Tarvisio [10]. Inoltre è contemplata la metanizzazione della Sardegna, unica regione ancora priva di rete, mediante impianti di rigassificazione del gas liquido, sebbene l’opera abbia già suscitato la contrarietà dei 5 Stelle locali, i quali sarebbero per lo sviluppo delle energie rinnovabili. Oltre che in Sardegna altri rigassificatori sono programmati a Gioia Tauro, Falconara Marittima, Porto Empedocle e Zaule per una capacità totale di 32 Mmc annui. Sempre in Sardegna, invece, è stato progettato il passaggio di un altro metanodotto, il GALSI [11], il quale ha provocato una forte contrarietà dei comitati locali per il devastante impatto ambientale.

La capacità complessiva annua di importazione tra gasdotti e impianti di rigassificazione è assai maggiore di quella richiesta e del massimo di importazione del 2006. Ciò è confermato anche da Snam Rete Gas, la quale sostiene che oggi la rete di trasporto risulta avere un buon grado di flessibilità e di magliatura che ne garantisce l’esercizio anche in condizioni di stress in caso di punta di prelievo [6]. L’aumento dell’importazione di gas non è pertanto funzionale a coprire l’incremento dei consumi interni quanto piuttosto ad esportarlo in Europa. Ciò è confermato da un recente studio di CDP favorevole al TAP [12], dove si ribadisce l’intenzione di fare del nostro paese, data la posizione strategica, un mercato di transito per i flussi di gas diretti in Europa centro-meridionale.

La proliferazione di metanodotti e connessioni è inoltre funzionale al processo di liberalizzazione, avviato in Italia su direttiva UE, che necessita di un mercato del gas “più liquido”. Il prezzo del gas dovrà essere definito da una vera e propria borsa sulla base della legge della domanda e dell’offerta. Al sistema calmierato e regolato bilateralmente con contratti a lungo termine “take e pay” dalle compagnie nazionali si vuole sostituire uno con “prezzi spot” molto più variabili caratterizzato dagli hub, o nodi, di vendita. In questo contesto si inserisce la transizione obbligata dal regime a maggior tutela a quello a libero mercato, recentemente rinviata a giugno 2020 dal Decreto Milleproroghe. Ad oggi il prezzo del gas in Italia è sostanzialmente in linea con quello degli altri paesi europei, non considerando la tassazione che ci penalizza, e per consumi più bassi è anche più conveniente [13]. Inoltre, pur essendo vincolato a quello del petrolio, è rimasto molto più stabile di quello degli altri carburanti, poiché non libero di fluttuare secondo la legge della domanda e dell’offerta. Insomma il TAP è un’opera che risponde più agli interessi economici privati che alle esigenze della popolazione e che evidenzia le ambiguità politiche dei 5 Stelle.

Note
[1] Paolo Biondani e Leo Sisti, I segreti del TAP: operazione Erdogas. E il Tar dà il via libera al gasdotto, L’Espresso, 17/04/2017
[2] Dieci ragioni per dire NO al gasdotto TAP, Re:Common, 24/07/2014.
[3] È un consorzio di BP (40%), SOCAR (20%), la compagnia statale dell’Arzebaijan, Snam (20%), Fluxys (19%), Enagas (16%) e Axpo (5%).
[4] I dati del MiSE a cui si fa riferimento sono sinteticamente riportati a questo link.
[5] Snam Rete Gas S.p.A. è l’azienda, completamente controllata dalla holding Società Nazionale Metanodotti S.p.A. (Snam), che si occupa del trasporto del metano. Snam, oltre ad essere il principale gestore dei gasdotti, si occupa anche di stoccaggio e rigassificazione del gas naturale liquefatto (GNL); infatti controlla completamente anche Stogit S.p.A. e GNL Italia S.p.A.. Il gruppo gestisce una rete di trasporto del gas di oltre 30mila km, ovvero quasi il 97% della rete nazionale. Amministra la quasi totalità del gas stoccato in Italia con una capacità poco inferiore a 17 Mmc, incluse le riserve strategiche di 5 Mmc. La capacità di rigassificazione è di 3,5 Mmc l’anno, facendo del gruppo il terzo operatore italiano con la detenzione di circa il 23% della capacità totale del paese. Snam ha inoltre partecipazioni in diverse aziende europee, in particolare in quelle che gestiscono i gasdotti che riforniscono l’Italia, compresa quella che amministra la piattaforma PRISMA per lo scambio di gas in Europa. Infine il gruppo controlla Snam4Mobility, Asset Company 2 s.r.l. e Gasrule Insurance DAC. La prima si occupa della realizzazione e della revisione degli impianti di distribuzione del gas per i trasporti automobilistici; la seconda permette a Snam di avere il controllo su ITG S.p.a., il terzo operatore italiano nel trasporto del gas, che gestisce il metanodotto che collega il terminale di rigassificazione Adriatico GNL (l’impianto di Cavarzere) alla rete nazionale di trasporto; la terza è una compagnia di assicurazione che riassicura l’impresa madre, con sede in Irlanda, paese fiscalmente favorevole per tali pratiche. Snam ha avuto nel 2017 un ricavo di 2,4 miliardi di euro e un utile netto di circa 900 milioni. Il capitale sociale è di 2,7 miliardi di euro con un numero di dipendenti di quasi 3000 unità, prevalentemente concentrati nel settore trasporto, che è quello che più ha contribuito al ricavo annuale. Il principale azionista del gruppo è Cassa Depositi e Prestiti (CDP) Reti S.p.A (controllata al 59,1% da CDP), con il 30,1% delle azioni, seguita dall’imprenditore delle ceramiche Romano Minozzi con il 5,75%. Le altre azioni sono per oltre il 50% in mano ad investitori istituzionali, prevalentemente di Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna.
[6] Snam Rete Gas, Piano decennale di sviluppo delle reti di trasporto di gas naturale 2017-2026, novembre 2017.
[7] Ad agosto 2016 risultavano attivi in Italia 6 impianti per la produzione di biometano. Altri sono stati costruiti successivamente, come quello di Montello. Si prevede che altre aziende cercheranno di mettere le mani su una fetta della torta da 4,7 miliardi di euro degli incentivi stanziati a marzo per la produzione di biocarburanti, tra cui il biogas.
[8] Elena Gerebizza, Il TAP è sistemico – e così chi lo sostiene, Re:Common, 18/07/2018.
[9] Poseidon è un gasdotto con una portata annua di 10 Mmc (estendibili a 15) che porterebbe nel nostro paese, passando per Cipro, Grecia e mar Ionio, il gas dei giacimenti israeliani ed egiziani del Mediterraneo Orientale. I primi giacimenti sono macchiati dal sangue dell’occupazione sionista della Palestina e oggetto di controversie internazionali con il Libano. I secondi sono gestiti dall’ENI, sui cui interessi “nazionali” è stata sacrificata la ricerca della verità sulla morte di Giulio Regeni. Il tratto di connessione tra la Grecia e l’Italia sarà costituito dalle imprese DEPA ed Edison. La prima è la compagnia pubblica greca del gas, la seconda è un’impresa di origine italiana controllata al 99,4% da Électricité de France, di proprietà dello stato francese.
[10] In quest’ottica si inserisce anche il potenziamento dei collegamenti con la Slovenia, con la costruzione di una nuova connessione tra le due reti nazionali a san Dorligo della Valle con lo scopo di rifornire l’area di Koper.
[11] GALSI, l’acronimo di Gasdotto Algeria Sardegna Italia, è un metanodotto con una portata annua di 8 Mmc che collegherà l’Algeria con Piombino, passando per la Sardegna e il Tirreno. Il consorzio che si occuperà della costruzione ha come socio di maggioranza l’azienda nazionale gasiera algerina Sonatrach. Gli altri soci sono Edison, Enel, il gruppo Hera e la società finanziaria della regione Sardegna SFIRS. Anche Snam Rete Gas partecipa al progetto con la costruzione e gestione del tratto sull’isola.
[12] CDP, Gas Naturale – Il mercato del gas naturale in Italia: lo sviluppo delle infrastrutture nel contesto europeo, Marzo 2013.
[13] MiSE – Direzione Generale per la Sicurezza dell’Approvvigionamento e le infrastrutture Energetiche, La situazione energetica nazionale nel 2017, Giugno 2018.

Marco Beccari

18/8/2018 www.lacittafutura.it

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