“Abbiamo pagato quattro volte il valore del vaccino. I brevetti devono essere ritirati, è una pandemia”

Fonti: CTXT [Foto: Marc Botenga. PTB]

Marc Botenga (Bruxelles, 1980) è una mosca bianca nel Parlamento Europeo; giovane, paziente, energico, attento ascoltatore e dalla risata onesta, trasmette una grande solidità ideologica e di formazione.
Lontano dalla politica vuota dell’opinion maker crede fermamente in ciò che dice; di grande rigore professionale si caratterizza per essere una delle voci più impegnate nella lotta per i diritti sul lavoro, sociali e sanitari. Esperto in diritto, è stato capolista per il Parti du Travail de Belgique (Belgio) nel 2019. Le domande che ha posto alla Commissione Europea sono sempre incisive, i suoi interventi nelle sessioni plenarie non lasciano mai indifferenti, non si arrende, né lascia mai margini alla facile scappatoia della realpolitik. 

Il suo nome ha occupato i media internazionali per essere stato il primo eurodeputato ad avere accesso alla consultazione “censurata” di uno dei sei accordi di acquisto anticipato di vaccini contro il Covid-19 da parte della Commissione Europea; in questa intervista, che riassume un’ora di conversazione, offre una riflessione pacata e onesta nella voragine pandemica che ci circonda. 

Lei ha reso pubblico il fatto di avere avuto a disposizione solo cinquanta minuti per consultare il contratto firmato con l’azienda farmaceutica tedesca CureVac, sotto stretta sorveglianza e con il permesso di portarsi solo un notes e una matita; sembra quasi la sequenza di film di spionaggio in piena guerra fredda. Eppure i contratti riguardano i vaccini, un bene pubblico destinato a garantire il diritto fondamentale alla salute e questo mi porta a chiederle: il Covid-19 sta alterando il diritto all’accesso all’informazione pubblica o è un caso isolato? Esiste la trasparenza nell’Unione Europea?

No. Questa è una trasparenza fittizia, ecco, soggetta a filtri e che, pertanto, non è all’altezza di ciò che ci si dovrebbe aspettare quando si utilizzano fondi pubblici per finanziare qualcosa che è di vitale importanza per il mondo intero. Quindi, certamente no, questa non è trasparenza; di fatto, l’espressione che ho usato nella plenaria parlamentare è che la Commissione Europea (CE) ha privatizzato la trasparenza.

In che senso? 

Ha lasciato che l’industria farmaceutica decidesse cosa mostrarci e cosa no; in questo senso è stata meno trasparente delle autorità statunitensi, molto più aperte nel rendere pubblico il contratto e tutte le sue clausole. Dopo la sessione plenaria, la Commissione ha deciso di pubblicare sul suo sito Internet una versione censurata del contratto con la Cure Va; si può dire che abbiamo vinto questa piccola battaglia, è una vittoria importante. È evidente che siamo ancora molto lontani da dove dovremmo essere; io sono per la trasparenza totale, cioè per un controllo indipendente sui vaccini, sulla somministrazione… questo mi è molto chiaro.

Il presidente della Commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, Pascal Canfin, ha definito la mancanza di trasparenza su prezzo, rapidità di distribuzione e clausole di indennizzo per danni inattesi derivanti dai vaccini come una ‘orgia di omissioni.’ Pare che vi siano domande ancora senza risposta. È così?

Credo che quanto dice Pascal Confin sia vero; l’assenza di trasparenza è chiaramente un problema. La CE si nasconde dietro il segreto commerciale, il che mi pare inammissibile e ingiusto: perché non si dovrebbe rivelare il segreto commerciale in Europa? Voglio dire, ciò che è pubblico negli Stati Uniti, deve essere pubblico in Europa; ma penso anche che non dovremmo sottovalutare ciò che invece sappiamo di questi accordi. Su questo punto differisco un po’ da Pascal Canfin; secondo me, certe cose le conosciamo e sono inquietanti. Sappiamo, per esempio, che la proprietà intellettuale, il brevetto, rimane al 100% nelle mani dell’industria.

E questo cosa comporta? 

Questo comporta che sebbene i fondi pubblici abbiano finanziato la ricerca, lo sviluppo, la capacità produttiva…, la proprietà finale del vaccino continua a essere dell’impresa; questo si traduce, in fin dei conti, nel fatto che è l’impresa a decidere la quantità di vaccini che si possono produrre e il loro prezzo di vendita. Ora stiamo vedendo le conseguenze del problema. In molti Stati membri, Pfizer ha realmente deciso di limitare il numero di dosi, vale a dire le fiale di vaccino che si distribuiranno; nel caso specifico dell’Italia abbiamo constatato che, due settimane fa, sono state fornite circa 160.000 dosi meno di quante concordate. La UE ha conferito il monopolio alle imprese farmaceutiche; lo stesso accade a livello internazionale, la politica ha un margine di manovra molto limitato. Se, invece, eliminassimo il brevetto, molte più imprese potrebbero fabbricare il vaccino, disporremmo di un maggiore numero di dosi in minore tempo e questo ci consentirebbe di avere campagne vaccinali molto più rapide. 

E a proposito della responsabilità legale sui “danni”?

Che non si conoscano approfonditamente i termini relativi a questa responsabilità è vero e non è vero. Effettivamente, Canfin non sbaglia quando dice che vi sono paragrafi censurati, purtroppo è così. Però vediamo anche nel contratto (punto 1.23.3), pur se non in dettaglio, che la responsabilità ricade sugli Stati membri. In caso di danni sarebbero gli Stati membri ad accollarsi il costo. Le case farmaceutiche (CureVac e un’altra industria filiale della European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations -EFPIA-) quando sono venute al Parlamento ci hanno avvisati, ci hanno detto: “Voi dovete pagare, dovete correre questo rischio”. Quindi non siamo completamente all’oscuro; vediamo cose e, alcune sono molto inquietanti, perché dimostrano che siamo noi ad accollarci il pagamento e non le case farmaceutiche. 

Però non dovrebbe essere così…

Sì, questa non è una clausola abituale, per così dire, nei contratti europei; è una cosa che si fa, ogni tanto, negli USA, ma raramente nella UE. Davvero, siamo in una situazione nella quale la UE, la Commissione Europea ha ceduto più che in occasioni precedenti. 

Esiste un’Iniziativa Civica Europea ‘Right to Cure’ perché i vaccini e i trattamenti siano considerati un bene pubblico globale, accessibile a tutti e tutte in maniera gratuita; io stessa l’ho firmata l’altro giorno, cosa ne pensa?

Questa è un’iniziativa davvero importante che è appena stata lanciata; penso che questa sia un’iniziativa chiave anche per la Spagna, perché le organizzazioni della società civile, gli attivisti per la salute ma anche i partiti politici che lavorano su questi temi permettono di darle una grande visibilità. È un’iniziativa che chiede trasparenza, ma anche che si ritirino i brevetti per una ragione fondamentale: si tratta di una pandemia. Insomma, non solo abbiamo già pagato tre, quattro volte il valore di questo vaccino, per quanto riguarda ricerca, sviluppo, produzione, licenza di acquisto…, ma nessuno è protetto fino a quando non saremo protetti tutti e, pertanto, questo è un problema di salute pubblica mondiale; per questo noi, con il nostro gruppo e anche in sessione plenaria, abbiamo appoggiato questa iniziativa. Speriamo che riesca ad attrarre un’autentica mobilitazione sociale e, ovviamente, anche in Spagna. 

La commissaria europea alla Sanità, Stella Kyriakides, ha assicurato agli eurodeputati che “le loro richieste di trasparenza sono state ascoltate”. È d’accordo? In cosa si traduce questo, concretamente? 

Non lo sappiamo. È arrivata a dire in una sessione plenaria che il contratto con Pfizer sarebbe stato reso pubblico, che avevano un accordo con Bourla; poi, due ore dopo, c’è stato un tweet del portavoce della Direzione Generale della Salute che ha affermato l’esatto contrario, diceva: “Non abbiamo un accordo con Pfizer”. La Commissione non è del tutto chiara, fa promesse perché è sotto pressione. 

Finora abbiamo parlato della trasparenza sui contratti d’acquisto ma, la trasparenza si limita a questo?

C’è un altro aspetto problematico, che è la trasparenza su ciò che denominiamo “focolai”; in Belgio, per esempio, per molto tempo non è stato possibile determinare il vero focolaio d’infezione. Era un problema, perché non sapevamo dove fosse l’origine e perché? Non si voleva diffondere questo dato perché non si volevano esercitare pressioni sulle imprese, sulle fabbriche ecc. Ora lo sappiamo. Sappiamo che gran parte dei contagi avvenivano in ambito lavorativo, il che dovrebbe spingere i governi a realizzare più ispezioni per verificare se si rispettano le norme stabilite. Per quanto riguarda i dati statistici, in generale è una vera e propria sfida ottenerli a livello locale, ma anche livello nazionale. Per esempio, il ECDC (Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie) discrimina ciascuna zona di rischio mediante colori, ma questi non si interpretano né si utilizzano allo stesso modo in tutti i Paesi. Per dirla chiaramente, i Paesi li adattano un po’ a modo loro, no? E quindi, anche questo è un problema anche se molto più capillare. Da parte nostra, abbiamo sempre sostenuto e, ancora oggi reclamiamo che tutti i dati siano disponibili in open access. Lo chiediamo, ad esempio, per potere identificare i focolai, conoscere la quantità di vaccini somministrati… per quanto posa sembrare strano, fino a poco tempo fa, fino a due settimane fa, non c’erano dati pubblici ufficiali sul numero di vaccinazioni realizzate. 

Abbiamo superato soglia dei due milioni di morti associati al Covid-19; i Paesi europei sono stati nell’epicentro della pandemia e dell’eccesso di mortalità nelle tre ondate. Secondo lei ha pesato più l’economia che la salute o i motivi sono altri? 

Anche se i fondi pubblici hanno finanziato la ricerca, lo sviluppo, la capacità produttiva… la proprietà finale del vaccino continua a essere dell’impresa.
Abbiamo visto che l’economia ha pesato più della salute in diversi momenti; l’abbiamo visto a suo tempo in Lombardia (Italia), quando la Confederazione Generale dell’Industria Italiana (Confindustria) esercitava pressioni per non chiudere certe fabbriche e lo vediamo ora con il vaccino; tuttavia ci troviamo ancora nello stesso punto. Sì, questo è un sistema economico problematico. Eppure, man mano che il tempo passa, questa crisi sta aprendo all’opportunità di mettere sul tavolo certe questioni; penso, per esempio, all’idea di investire sulla salute pubblica. Per anni abbiamo assistito, in diversi Paesi, a tagli importanti; abbiamo visto la Commissione Europea insistere con i Paesi membri sulle sue raccomandazioni, fino a 63 volte, affinché riducessero la spesa pubblica per la salute. Abbiamo visto privatizzazioni ovunque, ma oggi il numero di persone che dicono “Abbiamo davvero bisogno di un sistema sanitario forte, con una linea di base (medici di assistenza primaria) molto forte, finanziato meglio di prima” cresce. Questo cambiamento, lo constatiamo anche riguardo i vaccini; nel caso dei farmaci essenziali, dipendiamo completamente dalla buona volontà del potere farmaceutico. Ebbene, è normale tutto questo? Da questo punto di vista, vedo uno spiraglio di speranza, cioè vedo tutto ciò che è andato male, ma vedo anche una certa apertura nell’opinione pubblica per un cambiamento nella logica delle cose. 

Come valuta il ruolo svolto dalla UE nella gestione del SARS-CoV-2? L’Unione Europea è stata all’altezza di questa pandemia e della cittadinanza? I cittadini hanno avuto l’impressione che la UE abbia agito quasi al rallentatore e in modo un po’ caotico. Qual è la sua opinione? 

Questa non è un’elucubrazione. È stato così; cioè abbiamo assistito tutti a queste lotte intestine nazionali, nazionaliste, dei diversi Paesi. La Germania che bloccava il materiale medico… secondo me vi sono state situazioni e ondate molto negative perché tutti i Paesi hanno fatto la stessa cosa, hanno agito ciascuno un po’ a modo suo, no? La UE è stata costruita principalmente come spazio di competitività economica e, chiaramente, questo ha reso difficile il coordinamento. Per esempio, la Lombardia ha detto: “Se chiudiamo, allora forse la regione del nord del nostro Paese perderà competitività rispetto alla Germania”. La dinamica del mercato e della concorrenza è, tuttavia, nel DNA della UE, il che rende molto difficile cooperare, collaborare…
L’idea di negoziare congiuntamente con le case farmaceutiche era buona, perché se la UE dice: “Siamo 27 Stati membri, 450 milioni di persone, negoziamo a un prezzo maggiore rispetto a ciascun Paese”… Purtroppo, dopo, hanno negoziato, diciamo così, male; hanno ceduto alle richieste delle aziende farmaceutiche. La Germania ha poi deciso di negoziare in parallelo… 

È un problema di mancanza di competenze?

Se eliminassimo i brevetti, molte più aziende potrebbero produrre il vaccino; disporremmo di un maggior numero di vaccini in minor tempo.
C’è chi dice che questo non accade perché la UE non ha competenze. Io credo che non sia questione di competenze, ma di volontà, la domanda è se vogliamo farlo o no, se rinunciamo alla nostra competitività economica o se pensiamo alla salute pubblica come auna priorità. La risposta, in ciascuno degli Stati è stata optare per la competitività economica, purtroppo. La UE ha un’enorme responsabilità nell’indebolimento dei sistemi sanitari nazionali e nell’austerità; questo non dobbiamo dimenticarlo. Il fatto di reclamare un potere sulle competenze è conseguenza diretta del tipo di Europa che abbiamo costruito; ci sono stati anche piccoli bei momenti, come l’acquisto comune di vaccini, no? Ciò che più mi preoccupa ora, tuttavia, è che la UE sta ideando un nuovo programma di salute, un Programma Europeo di Salute e in esso il settore privato giocherebbe un ruolo molto importante. Temo che, se dovessimo permetterlo, la costruzione di questa Europa della salute finirà per essere, in realtà, una costruzione di mercato più che un settore pubblico della salute a livello europeo. E questo lo temo, lo temo molto. 

“Nessuno sarà al sicuro finché non saranno tutti al sicuro”. Questo è lo slogan dell’OMS e della UE. Per garantire l’uguaglianza nell’accesso ai vaccini nei Paesi poveri si è creato lo strumento COVAX. Tuttavia, in questi giorni, lo stesso direttore generale dell’OMS ha pubblicato questo tweet impattante: “Sono state somministrate più di 39 milioni di dosi di vaccino in almeno 49 dei Paesi con maggiori entrate. Solo 25 dosi sono state somministrate in uno dei Paesi con minori entrate. Non 25 milioni, né 25.000, solo 25 dosi”. Questo è un fallimento morale?

In Paesi terzi è un disastro, una catastrofe morale. Questo è ciò che ha detto Tedros Adhanom, perché ci saranno circa settanta Paesi che non avranno accesso al vaccino quest’anno. Alcuni Paesi e persone dovranno aspettare il 2024. Sì, questa è una catastrofe immorale per mancanza di solidarietà. Si è chiesto di sospendere il brevetto per il Sudafrica e la UE ha rifiutato, in consonanza con l’Organizzazione Mondiale del Commercio; lo trovo scandaloso. Riguardo il tweet di Tedros, sono le cifre a distruggere la retorica della Commissione Europea sulla solidarietà internazionale. Non si tratta di scegliere tra l’Europa e il resto del mondo, la scelta dovrebbe essere: vogliamo profitti privati attraverso i brevetti o vogliamo un vaccino pubblico, comune? Questa era la scelta, una scelta che ancora oggi non ci stiamo proponendo. 

Di fronte all’inarrestabile numero di morti e all’incertezza sulle mutazioni che potrebbero mettere a rischio l’efficacia dei vaccini, il Parlamento Europeo ha chiesto una maggiore solidarietà a tutti gli agenti implicati, inclusi i governi e l’industria farmaceutica. Il suo gruppo europarlamentare ha misure concrete per garantire un migliore accesso, equità e rapidità nella distribuzione dei vaccini?

Al di là di quale lavoro si svolga qui o là o nelle commissioni parlamentari, la questione realmente importante è appoggiare l’iniziativa civica della quale abbiamo parlato prima, perché è uno strumento legale, cioè se queste persone ottengono un milione di firme, allora la Commissione dovrà dare una risposta. Questo non è un dettaglio minore. Deve anche trasmetterla a noi come parlamentari, il che conferirebbe un peso specifico alle iniziative parlamentari in corso. Se ottenessimo l’appoggio sociale, potremmo intervenire nella plenaria e dire: “Non siamo solo noi, abbiamo alle spalle un milione di cittadini”. 
Ora lo sappiamo; sappiamo che gran parte dei contagi sono avvenuti in ambito lavorativo.
Disponiamo di strumenti sufficienti (come i permessi retribuiti obbligatori a livello nazionale) e, pertanto, ci sono tutte le opzioni tecniche; la volontà politica, se ci fosse, basterebbe per metterle in pratica e, per questo, confidiamo molto nella mobilitazione sociale. 
L’Unione Europea è responsabile dei negoziati sui contratti d’acquisto (vaccini, tamponi ecc.), della firma dei contratti e del loro rispetto. Nonostante ciò, negli ultimi giorni, vi sono state molte polemiche per i ritardi nella distribuzione dei vaccini da parte di Pfizer e di Astra Zeneca, il che può mettere a rischio i piani di vaccinazione dei gruppi più vulnerabili. L’Italia ha minacciato azioni legali per mancato rispetto del contratto; sei Stati membri hanno spedito una lettera di protesta alla Commissione Europea; il Regno Unito voleva salvarsi offrendo una sola dose; Angela Merkel sta lavorando a un presunto accordo con la Russia per collaborare nella produzione e nell’uso dei vaccini. Il quotidiano israeliano Globes ha reso pubblico un accordo firmato con Pfizer il 6 gennaio scorso grazie al quale l’azienda farmaceutica darebbe priorità a Israele per alcune forniture se il Paese le fornisse dati epidemiologici utili a valutare l’efficacia del vaccino.

Cosa sta succedendo con la distribuzione del vaccino in Europa? Il nazionalismo prevale sulla salute pubblica mondiale? È un grido disperato di “si salvi chi può”? C’è qualche modo per evitare questi apparenti doppi giochi? Questi nazionalismi sui vaccini potrebbero penalizzare anche la UE? 

Ignoro i dettagli, ma si dice che Israele potrebbe avere pagato almeno il doppio rispetto alla UE e, pertanto… In definitiva, è il modello economico a essere sbagliato. Pfizer è un’impresa che vuole ottenere profitti economici, hanno un vaccino efficace ma che deve essere conservato a una temperatura inferiore a quella standard, cioè a – 70°. Se da qui a due o tre mesi disporremo di un vaccino che si possa semplicemente conservare in frigo, può darsi che quello di Pfizer comincerà a essere venduto poco, poco, poco e, per questo, ora Pfizer massimizza i profitti e vende rapidamente; esercita pressioni e vende. Quando arriva qualcuno che dice che pagherà il doppio, allora allora Pfizer dà la priorità a Israele… È un problema e non so fino a che punto sia legale, se lo si confronta con il contratto concluso con la Commissione Europea. In altre parole, la cosa veramente problematica della questione è che deleghiamo il potere decisionale all’azienda; la logica della questione israeliana è che dimostra la perversione dell’attuale modello. Se hai maggiore capacità di acquisto, acquisisci più vaccini, se non l’hai, come accade in Africa o in altri Paesi, non avrai i vaccini quest’anno. Ci sono settanta Paesi nel mondo che non accederanno a questi vaccini quest’anno, dobbiamo riflettere sul tipo di modello economico del quale stiamo parlando. 

All’origine di questo squilibrio nell’accesso ai vaccini potrebbe esserci il fatto che sono stati i Paesi ricchi che sono riusciti ad assicurarsi le prenotazioni per l’acquisto massiccio di dosi a prezzo di mercato? Non esiste nessuna legge internazionale che impedisca accordi di acquisto anticipato. Dovrebbe esistere?

Mi pare difficile vietare l’acquisto anticipato su scala internazionale; l’unica contromisura possibile sarebbe dividere in due il brevetto, cioè, lo ripeto, se il vaccino, un farmaco, è di proprietà privata. Allora l’impresa proprietaria può venderlo come vuole e a chi vuole. Se vogliamo evitarlo, dobbiamo impedire che diventi proprietà privata, il che mi pare assolutamente legittimo nella misura in cui tutti l’abbiamo finanziato. Certamente, gli acquisti anticipati da parte della UE, di Israele ecc. negano il vaccino ad altri, ma questo è possibile solo perché il vaccino è di proprietà privata; se fosse di proprietà pubblica fare una cosa del genere sarebbe impossibile. 

La società europea è molto fiduciosa che i fondi europei per la ripresa serviranno a costruire una nuova Europa: possiamo parlare di vittoria? C’è il rischio che i fondi per la ripresa finiscano per sviluppare piani lontani dai cittadini, dalle loro necessità e dai loro sentimenti? 

Ovviamente. Il fatto positivo è che, per la prima volta, si è sviluppato un meccanismo di solidarietà europea, un meccanismo che, pur se limitato, rimane importante perché comporta, tra l’altro, la cessione di prestiti congiunti ecc. secondo me, questo costituisce di per sé una vittoria. Tuttavia, le priorità e come si spenderanno questi fondi, saranno anche oggetto di lotte a livello nazionale; ogni Paese, ogni regione, dovrà valutare come spendere questi fondi. Un problema grave è che l’obbiettivo di questi fondi non è altro se non favorire la competitività delle imprese, pertanto finiremo per finanziare progetti che antepongono la competitività e, quindi, gli interessi imprenditoriali. Tuttavia c’è ancora spazio per la garanzia sociale e climatica, anche se minore; la priorità numero uno è la competitività e la numero due è digitale e verde. Entrambe sono citate come meri strumenti per raggiungere questa competitività; penso che dovrebbe essere il contrario, che la meta dovrebbe essere sociale, pragmatica. Qui l’unico obbiettivo è la competitività; secondo me questa è la maggiore debolezza del piano europeo. Tuttavia, se i Paesi utilizzeranno questi fondi per rafforzare strutture, assi e dimensioni pubbliche, allora potranno avere un impatto molto positivo; però, temo che, anche a livello nazionale, la logica che prevarrà sarà un’altra, molto diversa. Tutto dipenderà dai governi e dalle mobilitazioni oceaniche della gente. 

Leggendo il contenuto dei fondi per la ripresa europei, pare che si centrino principalmente sulla digitalizzazione e sulla transizione ecologica attraverso l’attivazione di unioni pubblico – privato. L’investimento sul settore pubblico (per esempio sulla salute pubblica, sulla scienza pubblica, sulla sanità pubblica…) sembra molto più sfumato o quasi inesistente. Mi sbaglio?

È una vera e propria contraddizione; sì, effettivamente questa è la logica europea di sempre, purtroppo è così; ma è anche vero che c’è una certa apertura alle entità pubbliche. In questo preciso momento si gioca la carta dei progetti che i Paesi membri proporranno alla UE; sul tavolo c’è una richiesta di riforme strutturali come contropartita, alla quale ci opponiamo vivamente. È un’altra battaglia da combattere. Nonostante tutto esiste un piccolo margine di manovra che, anche se non cambierà la logica di questo processo, guiderà il modo di combatterlo. Ci sono molte cose per le quali continuare a lottare. Ora si deve lottare per cose concrete: quali progetti si portano avanti, con quali garanzie sociali, climatiche ecc. E poi c’è, in effetti, tutta la lotta di fondo su come garantiamo e come ci mobilitiamo per riuscire ad anteporre il benessere dei lavoratori, dei cittadini, della gente alla competitività internazionale. Diciamo che questa è la linea fondamentale da seguire. 

C’è dunque un messaggio di speranza per la società europea?

Quando riflettiamo sulla UE, una cosa che constatiamo è che esiste un enorme sentimento di unità tra le imprese connazionali che ancora riescono a coordinarsi nelle lotte; riescono a portare avanti progetti congiunti e credo che a livello delle lotte sociali lo facciamo troppo poco. 
Abbiamo bisogno di una unità sociale del e per il popolo, per i lavoratori europei e lo vediamo ancora una volta nel caso dei vaccini; riuscirci è importante, perché non possiamo vincere queste battaglie solo in Belgio, solo in Italia, solo in Germania… Abbiamo bisogno di un movimento sociale europeo, è ovvio e pertanto la mia speranza è questa. Vedo che negli ultimi anni i lavoratori di Ryanair, per esempio, ma anche altri, hanno lanciato movimenti europei; spero che questa pandemia e tutto il dibattito intorno ai vaccini possa permetterci di rafforzare la dimensione europea delle nostre lotte. 

Casandra Greco 

Ricercatrice scientifico-sociale, filosofa, bioeticista ed esperta in salute pubblica e medicina preventiva.

Traduzione da https://ctxt.es/
A cura di Gorri per Lavoro e Salute

8/2/2021

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