Acciaierie di Terni: in gioco il futuro di tutto il paese. La siderurgia non è un settore qualsiasi, è un’industria da cui dipende il complesso dell’apparato produttivo di un paese, e tanto più di un paese come l’Italia povero di materie prime e legato ad un’economia di trasformazione.

AST di Terni: fallita la trattativa, riprende la lotta

Lo sciopero generale di oggi 17 ottobre di tutta la provincia di Terni contro Thyssenkrupp non è uno sciopero solo per il futuro dei lavoratori delle acciaierie e dell’indotto: cinquecentocinquanta persone e cinquecentocinquanta famiglie che rischiano di essere ridotte al lastrico, e che diventano molte di più, se si considera il taglio che si vuole operare sulle ditte  d’appalto, spremute già fin all’osso in questi anni.

Non è neppure solo uno sciopero che parla del futuro di un intero territorio, che rischia di pagare un prezzo inaccettabile e drammatico.

Lo sciopero e la vertenza dell’AST parla del futuro di questo paese: se si accetterà che venga ridotto ad una colonia di multinazionali libere di fare il bello e cattivo tempo mentre viene  sempre più spoliato e marginalizzato nella divisione internazionale del lavoro, o se si avrà la capacità di dire di no e di imporre una soluzione diversa da quella irricevibile proposta da Thyssenkrupp.

I licenziamenti e il dimezzamento dell’area a caldo presentati da Thyssenkrupp nel piano a luglio e mai realmente rimessi in discussione,  non significano altro che la condanna a morte in tempi neppure tanto lunghi delle acciaierie,  come sa chiunque abbia anche solo qualche cognizione di causa, per il semplice fatto che la riduzione delle produzioni prevista renderebbe rapidamente insostenibile l’intero stabilimento, da un punto di vista industriale ed economico. Si metterebbe così in atto la progressiva liquidazione di un patrimonio di altissima qualità che Thyssenkrupp ha deciso non essere più nelle proprie strategie. E sono risibili gli apprezzamenti della Commissione Europea sugli impegni della multinazionale sui “laminati a freddo”. Sono apprezzamenti che non significano altro che il beneplacito ai disegni della multinazionale di dismissione del sito di Terni, cioè all’ulteriore gerarchizzazione dell’Europa tra aree centrali che mantengono e centralizzano le produzioni e aree “periferiche” spoliate di risorse produttive e costrette a “competere” sull’ulteriore micidiale compressione di salari e diritti.

La progressiva dismissione di AST darebbe un nuovo colpo durissimo all’intero comparto siderurgico, dopo quello subito a Piombino. Ma la siderurgia non è un settore qualsiasi, è un’industria da cui dipende il complesso dell’apparato produttivo di un paese, e tanto più di un paese come l’Italia povero di materie prime e legato ad un’economia di trasformazione.

Nella crisi di questi anni l’Italia ha già visto una contrazione drammatica di questo patrimonio, e sarebbe perciò tutto il paese a subire un ulteriore danno complessivo ed inaccettabile.

Vengono al pettine in questa vicenda i molti nodi dell’assenza ormai ventennale di qualsiasi politica industriale a partire dalla filiera dell’energia, e dall’abbandono di ogni intervento che non sia stato nel segno  della sistematica distruzione di ogni ruolo e presenza pubblica.

Viene al pettine la subalternità del governo Renzi ai grandi poteri economici e ai disegni dell’Europa a trazione tedesca.

I lavoratori ed i sindacati, i cittadini che oggi si battono a Terni, lottano perciò per il futuro di tutti. Chiedono di non essere colonia né agnelli sacrificali, di salvaguardare un lavoro ed un futuro dignitoso per loro e per il paese.

Non c’è altra soluzione che l’intervento pubblico: la richiesta che il Fondo Strategico Italiano rilevi tutto o una parte significativa della proprietà di AST per riconquistare autonomia produttiva e decisionale, la richiesta “persino” che si dia attuazione a quell’articolo 43 della Costituzione che non è un residuo del passato, ma ha oggi una straordinaria attualità.

Nelle proprie tante vacue citazioni utili agli effetti propagandistici ma prive di sostanza, Renzi ha spesso citato nel proprio personale pantheon Giorgio La Pira.

La Pira nel ’53 salvò il Pignone, chiedendo ed ottenendo che L’ENI di Mattei la rilevasse. Ci è chiaro che Renzi, complice di Merkel, non ha nessuna volontà di ripercorrere quelle strade, ma la mobilitazione dei lavoratori può imporglielo. Noi la sosterremo, e sosterremo tutte le forme di lotta che sceglieranno di darsi, occupazione compresa se necessario, finchè non avranno ottenuto risposta.

Roberta Fantozzi

17/10/2014 www.rifondazione.it

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