Aggressioni negli ospedali in una sanità italiana aggredita dalle politiche di privatizzazione

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Il tema della sicurezza psicofisica degli operatori sanitari durante il loro lavoro di cura e assistenza è da non sottovalutare, ma va affrontato come una delle tante problematiche che affliggono il nostro quotidiano lavorativo. Una delle tante, ma senza vivere questo problema come il più importante, a scapito delle coercitive condizioni di lavoro imposte da politiche di tagli al personale che ci costringono a carichi di lavoro produttori di stress e disaffezione alla professione; di repressione della nostra libertà di parola e della stessa agibilità sindacale, pienamente riconosciuta sulla carta, ma ostacolata nei fatti anche sulla sicurezza del lavoro, a partire dalle malattie professionali. Il problema è reale ma non nella dimensione scandalistica fomentata da televisioni
e giornali .

Ultimamente è stato il presidente della Federazione degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo), Filippo Anelli a porre il problema in una dichiarazione all’ANSA: “Questa è diventata una vera emergenza e lo Stato deve trovare le risorse economiche per attuare una risposta forte”.
Giusto ma quando si propone la presenza di vigilantes sulle ambulanze nelle aree di maggiore criticità si esagera anche dal punto di vista deontologico e di privacy del malato.
Di questo passo poco mancherà alla militarizzazione delle corsie vista la tendenza della politica, oggi dominante, a militarizzare ogni aspetto del nostro quotidiano, come recitano i decreti sicurezza di Minniti e Salvini.
Se concordiamo che la rabbia nasce dalla poca risposta ai cittadini allora ci sembra un vero e proprio stato di confusione se non si riconosce che dovremmo avere tutti, infermieri, medici e OSS, la lungimiranza di leggere la rabbia verbale degli utenti sempre più impoveriti di diritti elementari come l’esigenza di una efficace risposta, nei tempi e nel merito, ai bisogni di ascolto, anche quelli emotivi.
Mentre siano d’accordo, e lo sollecitiamo da anni, sul ripristino dei posti di Polizia infelicemente sostituiti dai vigilantes la cui autorevolezza non venire ai pistoloni ben in vista, anzi aumenta il conflitto latente.

Ancora Anelli afferma: “fondamentale è anche aumentare le condizioni di sicurezza dei luoghi di lavoro.”
Siamo d’accordo se intende mettere il dito nella piaga dei drammatici vuoti d’organico, della disorganizzazione conseguente e del malcontento esasperato degli operatori che per questo, egregio dottor Anelli, si sentono soli e non certo perchè non operano in “ambienti protetti e sicuri” come, ad esempio, gli ospedali o le caserme di vigili urbani e carabinieri” dove trsferire le postazioni di guardia medica territoriale .
Riferendosi quindi al caso dell’ambulanza sequestrata da alcuni cittadini a Napoli, Anelli rileva come l’episodio “ovviamente da condannare, rivela anche un certo timore che le ambulanze non arrivino. Il punto – osserva – è che bisogna rassicurare la gente sulla certezza dei servizi di soccorso, ma su tutto pesa il lungo periodo di tagli che la Sanità ha subito”. Ed a pagarne le conseguenze è, soprattutto, il Sud: “Basti dire che, secondo gli ultimi dati Svimez – ricorda il presidente Fnomceo – la spesa pubblica a cittadino nelle regioni meridionali è inferiore di 4mila euro rispetto a quella delle regioni settentrionali. A tornare è, quindi, il tema della diseguaglianza nel Paese”.

Ecco, questo è l’indirizzo politico prioritario per non cadere in proposte improprie e pericolose per un rapporto di dialogo con i cittadini.

Sarebbe fondamentale chiederci tutti se è paradossale aggredire coloro cui si chiede soccorso?
Domanda ingenua se dimentichiamo cosa hanno significato per i cittadini e gli operatori dieci anni di de-finanziamento del SSN, quasi 40 miliardi tradotti in tagli lineari alle risorse professionali, strutturali, logistiche nelle singole Aziende sanitarie. I pensionamenti senza turn over hanno prodotto la perdita di almeno 60.000 unità di personale dal 2009 al 2019, di cui circa 9000 medici, più di 80.000 posti letto sono stati tagliati dal 2000 ad oggi, le limitazioni degli acquisti di beni (farmaci, protesi, device) hanno pesantemente degradato l’organizzazione delle strutture e reso difficile l’erogazione dei servizi sanitari.

Quindi, come non considerare che il numero maggiore delle proteste aggressive si verifica nelle strutture dove la risposta ai bisogni di cura è inadeguata e ancora peggio impedita dalla chiusura di ospedali o dal loro accorpamento, da strutture fatiscenti con poco personale e infinite liste di attesa?
Non dobbiamo cadere nella trappola della guerra tra gli ultimi, tali siamo anche noi operatori sanitari, ricordandoci che questa guerra rientra nei piani di chi da decenni debilita il S.S.N. lasciandoci lavorare in prima linea senza gratificazioni professionali, stipendiali e anche di collaborazione dirigenziale. Gli atti deprecabili hanno mandanti verso i quali dovremmo indirizzare la rabbia.
Prima che la pistola Taser venga utilizzata nei pronto soccorso per ammansire i cittadini arrabbiati.

Redazione del periodico Lavoro e Salute www.lavoroesalute.org

8/1/2020

 

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