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    Blog, Cronache Sindacali — Settembre 28, 2015 6:36 am

    Campagna nazionale dell’Unione Sindacale di Base (USB) in difesa del welfare. La frantumazione del SSN è ormai una scelta strategica e a questo banchetto partecipa direttamente anche Confindustria con il rilancio non solo delle polizze assicurative, ma del cosiddetto welfare aziendale. Il fallimento strutturale e sistemico del processo di aziendalizzazione è evidente a tutti, le regioni brancolano nel buio abbacinate da modelli teorici di managerialità virtuale. Il risultato non è solo la riduzione di servizi e prestazioni, ma il peggioramento progressivo e strutturale delle condizioni di vita e di lavoro di tutti gli operatori.

    AI CITTADINI E ALLE ORGANIZZAZIONI SINDACALI E PROFESSIONALI MEDICHE E INFERMIERISTICHE.

    Pubblicato da franco.cilenti

    Il decreto ministeriale sulle prescrizioni inappropriate è l’ultimo atto di un processo progressivo di definanziamento del sistema sanitario pubblico. Un processo di privatizzazione che neanche affida più ai privati i servizi sanitari, ma li abbandona nel mercato rendendoli facile preda del privato speculativo e dei circuiti finanziari internazionali in grado di costruire intere linee di erogazione.

    Il definire inappropriate, e quindi a rischio prescrizione, alcune prestazioni diagnostiche riduce l’ambito operativo del SSN e incentiva l’abbandono delle cure da parte dei cittadini. Paradossalmente l’introduzione dei tickets aveva prodotto una sorta di calmierizzazione delle prestazioni dei privati, costretti, per fare concorrenza al pubblico, a contenere i costi a livello dei tickets. Ora questo effetto, casuale e certamente non voluto, rischia di annullarsi facendo ipotizzare un aumento dei prezzi dei servizi dei privati. Senza contare la possibilità di un area grigia di comparaggio tra medici senza scrupoli e privati erogatori di prestazioni non più prescrivibili. I cittadini hanno subito la desertificazione sanitaria del territorio, l’imperversare dei tickets, le liste di attesa, le file ai pronto soccorso, i letti nei corridoi, le dimissioni precoci, le difficoltà di approvvigionamento dei farmaci, il ricatto dell’intramoenia come alternativa alle attese infinite. Tutto questo ha determinato la definizione del concetto di povertà sanitaria con la rinuncia alle cure, alla prevenzione e all’assistenza devastando la già precaria vita dei soggetti sociali fragili. Quello che gli operatori della sanità possono offrire oggi è un fronte comune di opposizione al progetto di smantellamento dell’intero sistema sanitario pubblico. Il personale infermieristico, blandito con la formazione universitaria che ha determinato un’aristocrazia professionale dedita all’insegnamento, subisce condizioni di vita e di lavoro devastanti. La mancanza di autonomia professionale, i carichi di lavoro crescenti previsti dai nuovi modelli di assistenza come l’intensità di cura, il mancato riconoscimento del proprio lavoro in termini di ruolo e salario definiscono la reale condizione sociale. Il nuovo mito delle competenze avanzate che si delinea come ulteriore sovraccarico lavorativo senza compenso e riconoscimento professionale non deve distogliere dalla condizione reale. La precarietà che distrugge la professionalità nella rincorsa di nuovi contratti di lavoro è un elemento di destabilizzazione dell’intero sistema sanitario. Questa condizione è funzionale al progetto di sistema sanitario definanziato che si sta costruendo nel paese,il taglio delle risorse è pagato dagli operatori con il peggioramento delle condizioni di lavoro,con  la mancanza di contratto, con salari fermi e rischio per la salute e la sicurezza. Il cosiddetto personale di supporto ha dato luogo ad una condizione di lavoro interinale senza diritti, con salari ridotti, con flessibilità totale e richiesta di prestazioni lavorative le più svariate, a compensazione delle carenze organizzative e di organico delle strutture sanitarie. Questo modello ha introdotto nelle strutture pubbliche quote consistenti di lavoro privato precarizzato che oggi rappresenta spesso la punta più avanzata di opposizione sociale nelle strutture sanitarie pubbliche. Il processo di precarizzazione assume aspetti devastanti con la fine della clausola sociale al cambio di appalto, l’offerta è di mano libera agli appaltanti con il ricorso al contratto a tutele crescenti, più favorevole delle stesse partite iva. La sostituzione del personale in servizio con personale di nuova assunzione diventa un affare nell’affare. Questi gli effetti sociali del decreto, ma nella sostanza si ridefinisce l’ambito dell’intervento medico subordinandolo alle politiche di bilancio del governo. La possibilità di prescrizione non passa per l’autonomia professionale del medico ma per un atto legislativo imperativo che non consente libertà di scelta. La devastazione dei protocolli che, seppure avevano il sapore di moderni mansionari, almeno riassumevano le evidenze scientifiche derivanti dall’attività assistenziale. Dopo la presentazione di un ddl sull’atto medico, proposta che di per sé racchiude l’attività del medico in un ambito definito e meccanicistico e che non tiene conto del rapporto medico-paziente, si svela la reale intenzione del governo. Sistematizzare e normare la totale subordinazione dei medici alle politiche sanitarie del governo nazionale e di quelli regionali. La definizione di quello che si può fare e quello che non si deve fare lede l’autonomia professionale del medico, annulla il valore del codice deontologico e trasforma i sanitari in semplici impiegati del ruolo esecutivo. Un processo che va avanti da anni, con la continua e progressiva emarginazione dei medici e degli infermieri nella vita delle aziende sanitarie. Tutto ciò si è realizzato con la trasformazione manageriale dei capi dipartimento, per poi passare alla devastazione delle strutture sanitarie con la riduzione e accorpamento di unità operative e posti letto e servizi, il blocco del turnover che impedisce il ricambio e lo scambio professionale, l’introduzione di forme di precariato asfissianti. Ora si interviene direttamente sull’atto medico trasformato in atto burocratico. L’attacco alla medicina cosiddetta difensiva diventa ossessivo e mistificatorio. Fatto salve le eventuali speculazioni, la cosiddetta medicina difensiva assume gli aspetti dell’unica forma di prevenzione possibile ormai rimasta. La frantumazione del SSN è ormai una scelta strategica e a questo banchetto partecipa direttamente anche Confindustria con il rilancio non solo delle polizze assicurative, ma del cosiddetto welfare aziendale. Questo determina la fuga dal sistema sanitario pubblico, lo impoverisce, e sviluppa privato speculativo, tutto  per recuperare quote di salario dei dipendenti di impresa trasformandole in servizi aziendali. Non solo, in realtà abbatte l’universalità del diritto alla salute e trasforma tale ditirro in problema personale legandolo alla propria condizione lavorativa. Finito il lavoro finisca il diritto alla salute. La responsabilità patrimoniale dei medici prescrittori assume carattere devastante e rischia di determinare l’orientamento diagnostico strumentale. È evidente che siamo di fronte a processi di trasformazione profondi e strutturali che mettono in discussione l’autonomia professionale e lo stesso atto medico. Né di fronte ad un attacco del genere si può far finta di niente rivendicando l’autonomia professionale solo nei confronti delle cosiddette competenze avanzate per gli infermieri. Di fronte a tali trasformazioni è evidente che si debba dare una risposta non di  categoria, ma di sistema ricercando forme e modalità di mobilitazione unitaria su obiettivi chiari e concordati. Stabilendo all’interno del sistema sanitario relazioni professionali corrette che riconoscano autonomia professionale a tutti i professionisti, quindi anche degli infermieri, e che coinvolgano gli utenti ignari dell’oscuro futuro. È evidente che alla luce dei processi in atto occorre ripensare il modello di assistenza e di sistema che si liberi dalle ristrettezze di bilancio e operi in funzione della propria missione. Il fallimento strutturale e sistemico del processo di aziendalizzazione è evidente a tutti, le regioni brancolano nel buio abbacinate da modelli teorici di managerialità virtuale. Il risultato non è solo la riduzione di servizi e prestazioni, ma il peggioramento progressivo e strutturale delle condizioni di vita e di lavoro di tutti gli operatori. Questo problema del disagio lavorativo che ha ormai caratteristiche professionali, organizzative, fisiche e sociali, gli operatori lo devono vivere individualmente o deve diventare un elemento di riconoscimento professionale e come tale considerato e gestito dagli operatori stessi. È un punto fondamentale sul quale aprire un confronto serio e fattivo. L’USB ha attivato una campagna nazionale sulla difesa del welfare, comprendendo ovviamente la sanità, aprire un confronto tra le componenti del SSN scevro da corporativismi ormai fuori dalla pratica politica. Solo una forte campagna di opposizione sociale alla pratica liquidatoria del sistema sanitario pubblico può consentire di recuperare il diritto all’assistenza. USB

    24/9/2015 www.usb.it

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    Autore: franco.cilenti
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