Al presidio «fino alla fine», i 54 giorni della K-flex

All’ingresso del presidio c’è un bancale di legno messo in verticale, appoggiato a un palo della luce. Una scritta a pennarello: «Fino alla fine». Sotto, un calendario improvvisato che parte dal 24 gennaio. Oggi, accanto alla data 18 marzo, c’è un numero: 54. Sono i giorni di sciopero continuativo che gli operai della K-Flex stanno portando avanti. Dal giorno in cui il padrone, il “signor” Amedeo Spinelli, ha annunciato che per lui ci sono 187 esuberi in fabbrica. Che vogliono dire 187 persone senza lavoro, 187 famiglie, da un giorno con l’altro, senza uno stipendio, magari l’unico. «Dobbiamo chiudere il comparto produttivo perché ci sono infiltrazioni di acqua dal soffitto», è stata la boutade dei primi giorni. Una farsa dentro la tragedia, visto che K-Flex è riconosciuta a livello mondiale come leader nel settore degli isolanti. «Proseguire con la produzione in Italia sarebbe antieconomico», la versione data in seguito.

Ma che nessuno pensi di trovarsi di fronte a una fabbrica in crisi. Per niente: la K-Flex è tutto fuorché una ditta decotta. «L’anno scorso abbiamo fatto 200 ore di straordinario. Lavoravamo il sabato e la domenica, anche per 10-12 ore, per il bene della fabbrica», dicono gli operai in presidio. Nata nel 1989 a Roncello, nella pianura brianzola al confine con la bergamasca, K-Flex nel giro degli anni ha avuto un’espansione che oggi le permette di avere 11 stabilimenti tra Europa, Asia, Medio Oriente e Nord America e sedi logistiche in 60 paesi del mondo. Il fatturato annuo è di 320 milioni di euro e l’obiettivo dichiarato dalla proprietà è raggiungere i 500 milioni di ricavi nel giro di due anni. Anche grazie ai 36 milioni di euro di soldi pubblici che ha ricevuto in questi anni: 12 milioni di aiuti statali e altri 24 da Cassa depositi e prestiti. Ma il governo, che si è subito schierato dalla parte dei lavoratori, non è riuscito a far valere al tavolo della trattativa questo aiuto pubblico per impedire la delocalizzazione. Ieri in Assolombarda c’è stato un incontro e per la prima volta l’azienda si è presentata al tavolo. Ma ha chiuso su tutto. «Dobbiamo durare un minuto più del padrone, non ci possiamo arrendere», dicono dal presidio. Ma è dura. Di notte, sebbene sia metà marzo, fa ancora freddo. «Quando abbiamo iniziato, a fine gennaio, siamo andati anche dieci gradi sotto zero».

Il presidio è nel parcheggio di fronte alla fabbrica. Gli operai restano lì giorno e notte, per evitare che qualcuno porti via i macchinari. Si organizzano sui tre turni: primo, secondo e notte. «Peggio che quando lavoravamo». Sotto un gazebo ci sono un paio di tavoli, una stufa, una macchinetta del caffè. «È la living room», scherzano. È un modo per tenere alto il morale: mercoledì scorso, il 15 marzo, sarebbe stato giorno di paga. La busta è arrivata, ma la cifra è zero. Per questo Cgil, Cisl e Uil hanno creato un conto corrente per aiutarli. Sulla pagina facebook «esuberi Kflex» si può trovare l’iban. Al presidio, durante la giornata, passano anche le famiglie. I bambini giocano mentre gli adulti discutono. Di cosa? «Proviamo a distrarci pensando ad altro, ma non è facile – spiega uno – anche quando non siamo al presidio con le nostre famiglie non parliamo d’altro». Ci sono anche intere famiglie che lavorano in K-Flex. Antonio ha 29 anni, lavora a Roncello da dieci. Sua madre e il suo compagno sono suoi colleghi. E tutti e tre si ritrovano nella lista degli esuberi. Antonio è uno dei più attivi al presidio. Così come Carmine, che sugli striscioni di protesta mette sempre un “Forza Napoli”. E Mohamed che è arrivato in Italia dal Marocco nel 1988 e dal 1992 lavora lì.

Raccontare il presidio è raccontare un po’ di mondo: 31 nazionalità, religioni diverse, vite diverse. Dal 24 gennaio tutte unite: «Eravamo dei colleghi. Ora siamo un gruppo di amici», dice Gennaro. Che in Polonia, dove vogliono spostare la produzione, c’è pure stato: «A insegnare ai colleghi come si lavora. E quando hanno saputo che eravamo in sciopero mi hanno chiamato per esprimere la loro solidarietà». «Se perdiamo non abbiamo perso solo noi, hanno perso tutti. Anche lo Stato. Come è possibile dare tutti quei milioni per lo sviluppo del lavoro in Italia e poi non riuscire a fermare uno che vuole scappare coi soldi?», dicono. Fino a quando lotterete? «È scritto là», rispondono indicando il cartello all’ingresso. Fino alla fine.

Alessandro Braga

18/3/2017 https://ilmanifesto.it

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