Alfasigma, lo Stato intervenga per evitare condotte aziendali spregiudicate ed il licenziamento di 333 lavoratrici e lavoratori

L’azienda farmaceutica Alfasigma S.p.A., con sede legale a Bologna, ha avviato la procedura di riduzione del personale per trecentotrentatrè tra lavoratrici e lavoratori.

A parte il drammatico impatto sociale della decisione, si impongono alcune riflessioni giuridiche e politiche.

L’azienda di cui si discute ha fatturati e utili in rapida e costante crescita (tra gli altri prodotti vi sono i noti Biochetasi, Yovis, Bentelan e Normix). In particolare, il fatturato supera abbondantemente il miliardo di euro, con un utile netto medio annuo di circa il 10% del fatturato. Nel 2023 si prevede un’ulteriore crescita di utili e fatturato. L’azienda ha espanso —anche in termini quantitativi— le vendite in Italia, mentre in modo particolarmente significativo crescono le vendite nei mercati esteri. Vi è poi in programma l’acquisizione di nuovi prodotti in commercio, con l’intenzione di raggiungere ulteriori mercati esteri e ricercare nuovi progetti di farmaci da sviluppare internamente. L’Alfasigma ha poi acquisito la Sofar, azienda del settore. Grazie a ciò, espanderà ulteriormente la presenza all’estero.

Nel contempo, nell’ultimo triennio Alfasigma ha incrementato i lavoratori a vario titolo “precari”, attraverso contratti di somministrazione, collaborazioni a progetto e contratti a tempo determinato.

La spinta arriva spesso dalle grandi società multinazionali di consulenza, che suggeriscono la sostituzione di personale con maggiore anzianità di servizio e contratti con maggiori tutele con lavoratori interinali, in outsourcing, spesso forniti da esse stesse sotto le mentite spoglie della consulenza. Si tratta quasi sempre di giovani inesperti che si formano nelle aziende in cui, asseritamente, dovrebbero portare il loro sapere, ma che in realtà vengono sfruttati senza limiti di orario. Le aziende non risparmiano neanche, perché una quota della retribuzione viene percepita dalla società di (pseudo) consulenza, ma in realtà intermediaria di lavoro. Con il risultato che le retribuzioni medie diminuiscono, mentre aumentano gli utili delle società multinazionali di pseudo-consulenza.

Il caso specifico di Alfasigma è paradigmatico. La norma di cui l’azienda chiede l’applicazione è l’art. 24 della Legge 223/1991, che ammette il licenziamento collettivo «in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro». Negli anni questa norma è stata interpretata con sempre maggiore larghezza di manica, ma in origine si chiedeva che l’imprenditore dimostrasse che la riduzione fosse sussistente, attuale, reale. Nel tempo lo Stato ha abdicato sempre più al suo ruolo, di verificare che questa sorta di crisi esistesse veramente (o che fosse alle porte). 

Nel caso di Alfasigma non vi è alcuna crisi economica o riduzione del lavoro in atto, anzi: la Società è in costante crescita. Tanto è vero che il numero dei lavoratori con contratti “volatili” continua ad aumentare. Dunque la norma dell’art. 24 viene piegata al mero intento di ridurre le garanzie dei lavoratori impiegati, sostituendo lavoratori dotati di (poche residue) tutele, con precari malpagati. E ciò senza alcun beneficio economico reale, vista la quota da destinare alla società intermediaria.   

Occorre quindi anche una riflessione sul piano giuridico, in relazione all’art. 24 della Legge 223/1991, in assonanza con quanto fatto in tema di delocalizzazioni, con la Legge 30 dicembre 2021, n. 234, art. 1, comma 231 e ss. Le condizioni sono simili a quelle del noto caso della GKN di Firenze, che ha dato il via al dibattito.

Per cui, da un lato, vi è certamente la necessità di integrare la norma con un intervento legislativo urgente, che ancori espressamente la possibilità di licenziamenti collettivi alla verifica della sussistenza di una crisi economico/produttiva.

Per un altro verso, il caso di Alfasigma è rilevante anche in relazione ai contributi pubblici che sono stati erogati alla medesima Società: finanziamenti e sgravi fiscali di molti milioni, per la ricerca, la formazione e per investimenti patrimoniali. Il Governo italiano ha quindi contribuito alla crescita dell’azienda, che ora intende però, senza necessità alcuna, mettere in difficoltà un numero enorme di famiglie, peraltro in un territorio disagiato come Pomezia. Lavoratrici e lavoratori spesso della fascia 50/60 anni di età, senza una reale possibilità di ricollocarsi nel mondo del lavoro. Lavoratori, peraltro, che nel giro di pochi anni sarebbero arrivati naturalmente alla pensione. Si assiste quindi a un incrudimento dei rapporti di lavoro, con occhio unicamente all’aumento dei profitti. I quali, è bene ripetere, sono ben oltre i cento milioni di euro annui. E si ha il coraggio di dichiarare che vi è una grave crisi aziendale…!

Roma, 6 marzo 2023 https://www.giuristidemocratici.it/

Per contatti: stampa@giuristidemocratici.it

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