Alla ricerca della socialità perduta

In versione interattiva https://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-gennaio…

PDF http://www.lavoroesalute.org

Le forme e i luoghi della socialità sono un aspetto fondamentale di ogni società. Nella storia dell’umanità, il modo di comunicare, socializzare, scambiare informazioni e sostenere relazioni di vario genere, è cambiato molto, in accordo alle trasformazioni delle organizzazioni sociali, degli assetti economici e dell’evoluzione culturale, in un rapporto di stretta interdipendenza.

La più grande, radicale trasformazione del modo di “stare insieme” è rappresentata dalla diffusione dei social network, che azzerano limiti e confini spazio-temporali, rendendo possibili connessioni e scambi immediati di messaggi, audio, video e foto. Tutti possiamo facilmente elencare vantaggi e problemi legati a questo non più nuovo modo di comunicare, poiché ne abbiamo abbondante esperienza diretta.

I social rappresentano una enorme occasione di esprimersi con largo margine di libertà e ottime strategie di auto-protezione; questo naturalmente produce un allentamento dei freni inibitori anche senza l’ausilio di alcool e droghe, consentendo esibizioni di ogni tipo con la possibilità dell’anonimato. Ed è in questo quadro che ben conosciamo che ci è piombata addosso la pandemia da coronavirus.

Come l’avremmo affrontata e gestita 20 anni fa? probabilmente, dal punto di vista scientifico con molta più difficoltà. La produzione dei vaccini forse non sarebbe stata così rapida, anche se forse sarebbe stato più facile arginare la diffusione del virus per l’aumento, negli ultimi decenni, degli spostamenti di merci e persone. Avremmo ancora potuto contare su una sanità pubblica vicina ai cittadini, con una maggiore capillarità territoriale, con una diversa capacità di soddisfare le necessità di assistenza, dai medici di base, alle strutture, ambulatori di quartiere, probabilmente più funzionali, nel lungo periodo, dei giganteschi hub sorti come funghi qua e là per il paese.

La necessità di isolamento e distanziamento imposta dal rischio del contagio hanno reso indispensabili i contatti virtuali, sia per le necessità pratiche, quotidiane, per i rapporti di lavoro, perfino per la didattica, per le relazioni amicali ed affettive. Come ricordiamo, lo stordimento generale provocato dal dilagare del virus nelle prime fasi si è concretizzato in slanci di amore universale e speranza gioiosa. Striscioni, canzoni e solidarietà diffusa tra condomini ci hanno permesso di superare lo sconforto di una situazione caotica e drammatica.

Il desiderio più diffuso era che si tornasse alla normalità, ad abbracciarsi. Il contatto fisico, tornare a vedere e parlare con le persone “in presenza “, perfino con gli antipatici colleghi d’ufficio, sembrava improvvisamente di importanza vitale. Probabilmente tutti pensavamo che sarebbe finita presto. Ma la realtà, fatta di disorganizzazione, confusione, disastro economico ha spento ben presto i buoni sentimenti facendo prevalere paura rabbia e disperazione.

Sono passati così quasi due anni, con regole e limitazioni variabili in funzione della curva di diffusione del virus, varianti comprese. Oggi però non c’è più traccia delle speranze, della solidarietà, del bisogno di socialità della prima ora. Si è tornati a frequentare i luoghi di lavoro, se il lavoro non lo si è perso. Si è tornati a scuola, ma è una scuola diversa, purtroppo non migliore.

La frequenza di cinema, musei e locali è ancora soggetta a restrizioni; tra quarantene, divieti e assuefazione al virtuale si ha l’impressione di una società divisa tra chi si è ripiegato su se stesso e ha perso il gusto della compagnia reale, fisica, in favore della indubbia comodità delle riunioni in pigiama e pantofole, limitandosi a pochi, selezionati amici e altrettanto pochi e selezionati parenti, e chi, con sprezzo del sempre incombente pericolo di positivizzarsi o forse per esorcizzare la paura del contagio, mette in atto comportamenti imprudenti , a rivendicare una normalità che non ci si può ancora permettere.

Il danno sociale provocato da questo perdurante incubo, si aggiunge al disastro economico. Nella scuola, ad esempio, la strategia di isolare le classi a scopo preventivo limita i contatti tra gli studenti; anche i rapporti con le famiglie sono soggetti a limitazioni e questo, in contesti urbani di periferia, ad esempio, può costituire un ostacolo all’ inclusione degli stranieri, che nella scuola possono trovare un luogo di conoscenza e confronto.

Progetti di collaborazione, di sostegno alle famiglie diventano più difficili, i colloqui mediati dallo schermo mostrano tutta la loro insufficienza, come d’altra parte le riunioni collegiali tra docenti, in cui discutere diventa ancora più improduttivo. A tutto svantaggio dei bambini e delle famiglie più disagiate, ovviamente.

La pandemia, o meglio la gestione di essa, ha fatto emergere difetti, mancanze, la logica perversa del profitto del sistema in cui viviamo, delle regole economiche e politiche che stanno alla base della nostra organizzazione sociale.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti, nella disorganizzazione, nel caos delle norme che si succedono e che non sono giustificabili ormai con l’emergenza della prima ora. Ma la pandemia ha rivelato anche le persone, gli individui, ci ha messi a nudo, come succede in ogni situazione problematica, che, in questo caso, colpisce tutti contemporaneamente.

Le reazioni, le convinzioni, le scelte ideologiche che esprimiamo in questo periodo sono forti, polarizzate e magari strumentalizzate ad arte per distrarre dal riconoscere il vero pericolo ed il vero nemico, e questo non è complottismo, ma solo l’evidente funzionamento del potere, quello vero, economico e politico. Al di là della razionalità delle differenti posizioni sui temi del vaccino con annessi e connessi, quello che ha minato e creato fratture forse insanabili tra parenti, amici, colleghi, compagni di partito credo sia precisamente la passione, il coinvolgimento emotivo che accompagna le suddette scelte. Il distanziamento che ci è stato e ci è imposto per decreto è nulla in confronto alle voragini spesso aperte nelle relazioni tra “schieramenti” (perché di questo si tratta).

Entrano in gioco, nelle dispute sulla adeguatezza delle misure, sulla libertà, sul diritto individuale versus la sicurezza collettiva, i sentimenti, le aspettative, la difficoltà di riconoscere ed accettare le altrui fragilità, non fosse altro che perché impegnati a gestire le proprie, di fragilità. La paura, la stanchezza si esprimono in modi più o meno razionali.

Come si gestiscono i rapporti tra persone di opposte opinioni? Sui social è guerra, guerra fredda di odio reciproco, insulti, derisioni, in cui probabilmente qualcuno, se anche volesse cambiare idea rimane intrappolato nello schieramento che ha scelto, magari con fini distinguo, magari disapprovando gli eccessi.

Ma è nella vita reale, nelle relazioni reali che si avverte il maggiore imbarazzo, per cui si adottano strategie di non belligeranza, si smette di vedersi o di parlarsi, tanto abbiamo sempre tutti molto da fare, oppure si fa molta attenzione ad evitare i temi caldi. Un misto di delusione e risentimento, di aspettative mancate scava il solco più o meno profondo tra le persone, in un triste passaggio di calendario che si trascina verso un futuro poco sereno.

Sarà necessario trovare le risorse per sanare questo disastro relazionale, per recuperare le energie necessarie a mediare, per riscoprire eventualmente il piacere di stare insieme, quando non saremo più costretti a misure di protezione. Esiste il rischio concreto, magari solo per gli “asociali”, di non riuscire a trovare sufficienti motivi per superare le distanze.

Loretta Deluca

Insegnante Torino. Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute

In versione interattiva https://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-gennaio…

PDF http://www.lavoroesalute.org

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *