Allattamento in pubblico, una questione femminista

Non è raro, ancora oggi, che le mamme si sentano chiedere di spostarsi, coprirsi il seno, rimandare l’allattamento quando si trovano in luoghi frequentati o comunque sentirsi a disagio a causa dello sguardo della gente per allattare il proprio figlio in pubblico. Veniva visto come un “atto osceno” e qualcuno poteva scandalizzarsi vedendo un seno in pubblico.

Uno studio qualitativo condotto alla fine degli anni Novanta in California aveva indagato, tramite interviste della durata di circa 90 minuti, il punto di vista di 51 donne rispetto all’atto di allattare in pubblico. Erano incluse donne in allattamento o che avevano smesso di allattare nei 6 mesi precedenti l’intervista. Il corpo della donna che allatta, rileva la ricercatrice, similmente a quanto occorre durante la gravidanza, viene percepito come un “bene pubblico” e quindi esposto ai pubblici commenti. Ma, a differenza della gravidanza e del parto, l’allattamento è una attività che si protrae e che richiede la partecipazione attiva di un’altra persona. Quando allatta di fronte ad altre persone il corpo della madre diventa emblema della maternità, e la donna-madre diventa il perno della scena. Tutte le donne intervistate erano consapevoli che il loro gesto di allattare in pubblico avrebbe potuto creare reazioni negative.

Nel 1997 lo stato della California approvò una legge che sanciva la legittimità dell’allattamento in pubblico, che non poteva, quindi, essere definito “atto osceno”, ma la legge venne interpretata come un tentativo di normalizzare un atto che, prima della legge, era illegale. Anche se nessuna delle donne intervistate aveva fatto esperienza di essere allontanata da un luogo pubblico perché stava allattando, tutte percepivano un sentimento di ostilità nell’ambiente circostante, con segnali diretti o indiretti provenienti dalle persone presenti. Per questo le donne riferivano di assumere atteggiamenti e comportamenti che favorissero un allattamento in pubblico discreto, cercando di diventare invisibili, coprendo seno e testa del poppante con un lenzuolino, oppure identificando luoghi appositi dove fosse più accettabile allattare, come a casa, in auto, nei camerini dei negozi di abbigliamento. Mentre le donne riferivano di non essere in imbarazzo ad allattare di fronte al proprio partner, al contrario allattare di fronte al proprio padre o ad altri uomini poteva generare disagio, anche se purtroppo anche l’atteggiamento del partner influenza la decisione della donna di allattare in pubblico. Le donne che allattano bambini più grandi, in grado di camminare e parlare, si sentono prede del giudizio dei presenti: per questo motivo insegnano al bambino a utilizzare un lessico familiare, non noto agli esterni, per richiedere di poppare quando si è in un contesto sociale, per non creare imbarazzo.

Questi temi, che possono apparire lontani nel tempo, sono stati più recentemente confermati in uno studio condotto in Australia e sono stati oggetto di ulteriori riflessioni negli Stati Uniti d’America. Anche nel Regno Unito una survey recente ha rilevato che 63% delle donne intervistate si sente imbarazzata ad allattare in presenza di sconosciuti, 59% in presenza della famiglia del partner e 49% addirittura di fronte ai propri familiari.

Pur essendo il contesto culturale in Italia non sovrapponibile a quello anglosassone, l’allattamento non è ancora visto come la norma e allattare in pubblico può ancora, occasionalmente, essere ritenuto poco conveniente e spesso oggetto di mobbing, come successe a Parma nel 2018 quando una guardia giurata chiese ad una donna che allattava di spostarsi. Per questo motivo le iniziative di sensibilizzazione che rendono visibile l’allattamento sono importanti, per sostenere le donne nelle loro scelte e promuovere l’allattamento.

L’Italia ha aderito molti anni fa alla campagna globale “Ospedale amico dei bambini”, iniziativa lanciata dall’UNICEF che puntava a favorire l’allattamento al seno affinché si preferisca sempre, dove possibile, formando e sensibilizzando operatori sanitari e genitori. Tra i temi più a cuore della campagna vi era l’allattamento a richiesta, praticato quando il bambino lo richiede, quindi anche in pubblico. L’allattamento in pubblico è stata una conquista femminista che ha permesso alla donna di non vergognarsi del suo corpo in pubblico, di non vergognarsi dell’allattamento in quanto atto che nutre la vita, di non vergognarsi del fatto che l’esibizione del suo seno potesse scandalizzare qualcuno. Al di là delle considerazioni sull’uso distorto e sessualizzato che oggi si fa dell’immagine del seno nelle pubblicità, esistono almeno tre ragioni per cui l’allattamento in pubblico è necessario e andrebbe incoraggiato:

  • La prima ragione è quella fisiologica e riguarda il funzionamento dell’allattamento al seno. L’idea diffusa dell’allattamento al seno evoca ancora oggi concetti come orari fissi, numero definito di poppate nell’arco della giornata, pause di tre ore e doppia pesata del bambino prima e dopo la poppata. Questo vale per l’alimentazione prevalente al biberon con latte artificiale, ma l’allattamento materno funziona in modo totalmente diverso. Ogni bambino e ogni mamma sono unici e ogni coppia mamma-bambino sviluppa un proprio modo di allattare al seno. Ogni bimbo ha un suo stile alimentare e diversi tempi di poppata al seno. C’è chi è più veloce e chi è più lento. Per i bambini è la stessa cosa ed è difficile predeterminare quanto dureranno le poppate, le pause fra una poppata e l’altra e quanto latte prenderà il bambino a ogni poppata. Esiste anche un diverso modo di poppare, a seconda che i bimbi abbiano sete (poppate brevi e frequenti) o fame (poppare più prolungate): questo è legato al fatto che il latte a inizio poppata è più ricco di liquidi e zuccheri mentre a fine poppata è più ricco in grassi. Esistono poi i diversi modi di allattare delle mamme che le portano a sviluppare un proprio stile di allattamento, in armonia con le richieste del proprio bambino. Diventa quindi difficile prevedere quando e dove il bambino chiederà di poppare. Le madri che allattano dovrebbero quindi essere messe in grado di andare ovunque e di allattare i propri bambini quando necessario.
  • La seconda ragione è giuridica e riguarda i diritti dei bambini e delle donne. La Convenzione sui diritti del bambino delle Nazioni Unite del 1989 riconosce il ruolo fondamentale che l’allattamento al seno svolge per l’affermazione del diritto del bambino al più alto standard raggiungibile di salute. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità e la Commissione Europea ribadiscono questo diritto nelle raccomandazioni standard per l’alimentazione dei lattanti e dei bambini fino a 3 anni. A questo proposito, si possono consultare le Raccomandazioni standard per l’Unione Europea sull’alimentazione dei lattanti e dei bambini fino a tre anni del 2006 e la Strategia globale dell’OMS sulla nutrizione infantile del 2002, il Rapporto di Save the Children sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia del 2007.
  • La terza ragione è culturale, perché le donne non devono chiedere il permesso o dare spiegazioni a nessuno per allattare il proprio figlio e non devono sentirsi in condizioni di disagio per fare una cosa normale in Natura ed ostacolata da una cultura perversa (spesso dei doppi standard moralistici). Allattare proprio figlio è un diritto e il seno nasce prima di tutto per l’allattamento come bellissimo contenitore, morbido e caldo, comodo da trasportare e che produce un alimento dalla composizione perfetta, specifica e diversa per ogni singolo bambino, alla temperatura giusta e disponibile ovunque e in qualsiasi momento. I bambini hanno diritto a stare con le loro mamme per poppare quando necessario. Le madri hanno diritto di muoversi senza restrizioni e la società dovrebbe adeguarsi e creare le condizioni perché questo possa avvenire. Attualmente le raccomandazioni nazionali e internazionali suggeriscono l’allattamento esclusivo (solo latte di mamma, senza aggiunta di acqua, tisane, succhi o altro) fino a sei mesi di vita compiuti e l’allattamento complementare (latte materno e altri cibi) “fino a 2 anni o più, secondo il desiderio della mamma e del bambino” (WHO/CDR/93.6). 

Bisognerebbe promuovere la realizzazione di “comunità amiche dei bambini”, che prevedano la creazione di aree dove allattare diventa la normalità e incoraggiano le donne a farlo. Negozi, farmacie, bar e supermercati dovrebbero disporre di spazi dove le mamme e i loro bambini possono fermarsi ad allattare.

Un articolo apparso sul Lancet nel 1994 (J. Dobbing, “A warm chain for breastfeeding”), parla per la prima volte della “catena calda” del sostegno all’allattamento al seno e della necessità di riattivarla: “se si rendesse disponibile un nuovo vaccino che prevenisse un milione o più di morti infantili all’anno, e che fosse oltretutto poco costoso, sicuro, somministrabile per bocca, e non richiedesse catena del freddo, diventerebbe immediatamente un imperativo di salute pubblica. L’allattamento al seno può fare questo e altro, ma richiede una sua ‘catena calda’ di sostegno – e cioè assistenza competente alle madri perché possano avere fiducia in se stesse e per mostrare loro cosa fare, e protezione da pratiche dannose. Se questa catena calda si è persa nella nostra cultura, o ha dei difetti, è giunto il tempo di farla funzionare”.

Citazioni:

  • Bartky SL. Foucault, femininity, and the modernization of patriarchal power. In The politics of women’s bodies: Sexuality, appearance, and behavior, edited by R. Weitz. New York: Oxford University Press. 1998
  • Young IM. Breasted experience: The look and the feeling. In The politics of women’s bodies: Sexuality, appearance, and behavior, edited by R. Weitz. New York: Oxford University Press. 1998

Lorenzo Poli

Collaboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute

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