ALTRE DUE VOLTE “NO”


Due dei sei quesiti referendari proposti dall’apparente (1) “strana coppia”, costituitasi tra Radicali e Lega, sono già stati oggetto di alcune mie considerazioni (2).

In entrambi i casi: relativamente alla c.d. “Separazione delle carriere” (tra giudice e PM) e per la “Responsabilità diretta dei magistrati”, concludevo invitando gli elettori ad esprimere due nettissimi “NO!”

Attraverso il primo sostenevo la possibilità che i magistrati potessero, con i vigenti limiti, continuare a svolgere, in tempi diversi, le funzioni di giudici e di pubblica accusa. Pena, la concreta “americanizzazione” del nostro sistema; con il PM assoggettato, sostanzialmente, all’Esecutivo.

Con il secondo NO, respingevo l’ipotesi che il giudice potesse essere direttamente chiamato in giudizio – senza più l’attuale “filtro”, rappresentato da un procedimento avviato unicamente nei confronti dello Stato – da qualsiasi cittadino che si ritenesse danneggiato da una sua decisione. Ciò per evitare, soprattutto, che il giudice di turno potesse essere “condizionato” (nell’emettere le sentenze) nei confronti dei “potenti”.

In questa seconda occasione intendo sottoporre all’attenzione del lettore altri due quesiti altrettanto rilevanti: sulla c.d. “Custodia cautelare” e sulla lotta alla corruzione; la famosa legge Severino, per intenderci.

Nel primo caso, il referendum si pone l’obiettivo – attraverso l’abrogazione di una parte dell’art. 274 del Codice di procedura penale – di riformare le vigenti disposizioni limitando il ricorso alla custodia cautelare ai soli casi di delitti di criminalità organizzata, di eversione o commessi con l’uso della violenza o di armi.

Al riguardo, relativamente a quelle che hanno sempre caratterizzato le posizioni e le iniziative politiche dei radicali – in termini di massima attenzione alla vivibilità delle carceri e, soprattutto, sostenibilità delle pene detentive – non si può fare a meno di riconoscere loro una coerente continuità.

Coerenza che sarebbe semplicemente assurdo ricercare nelle posizioni assunte da Salvini (e dai suoi degni compari) su questo tema come su qualsiasi altra questione che possa consentire loro di guadagnare qualche punto percentuale in termini di gradimento tra potenziali elettori e sostenitori!

In questo senso, le ragioni, da sempre addotte dai radicali, si richiamano all’art. 27 della nostra Costituzione. Di conseguenza, sulla base del principio secondo il quale l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva, lo stesso non dovrebbe subire la detenzione come anticipazione dell’eventuale pena.

I dati statistici disponibili, però, rappresentano una realtà diversa.

La condizione in cui versano i detenuti italiani è, oggettivamente, “difficile” e ciò ha finito con il determinare la condanna dell’Italia da parte della Corte Europea per i Diritti dell’uomo, per trattamenti inumani e degradanti, in violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea.

Questo perché, a parte un intollerabile “tasso di affollamento” delle carceri italiane, pari al 157 per cento – rispetto a una media europea del 95,9 – la percentuale di detenuti italiani in attesa di giudizio è di oltre il 40 per cento (3); quasi doppia rispetto a Francia (23,5%), Spagna (20,8%), Regno Unito (16,7%) e Germania (16,2%). Di quel 40 per cento di detenuti ancora in attesa di giudizio, ben il 37,79 % è rappresentato da stranieri.

A beneficio di Salvini (e dei suoi degni compari) – nonché in ossequio alla loro tradizionale incoerenza – è il caso di rilevare che, di quel 37,79 per cento di stranieri, la stragrande maggioranza è rappresentata da extracomunitari che, grazie all’eventuale vittoria del “SI”, tornerebbero quasi tutti immediatamente liberi!

In sostanza, se è vero che – nell’attuale condizione in cui versano le carceri italiane – la misura della custodia cautelare, così come sino ad oggi applicata, può rappresentare motivo di preoccupazione (4) e consentire al magistrato di turno un abuso (5) della stessa, è altrettanto vero che il problema complessivo della Giustizia nel nostro Paese non può essere risolto ricorrendo all’ennesima facile scorciatoia.

D’altra parte, il ricorso alla custodia cautelare è una prassi presente in tutta Europa e, di per sé, non appare una pratica persecutoria laddove – così come oggi previsto dalla legge – tesa ad evitare la reiterazione del reato; non solo quelli di carattere eversivo, di criminalità organizzata e con l’uso delle armi.

In questo senso, però, la cautela è d’obbligo.

In qualità di strenuo oppositore di qualsiasi tipo di deriva – secondo la quale anche solo di fronte a semplici indizi di colpevolezza si può procedere con l’arresto e la conseguente detenzione – ritengo debba essere la via parlamentare il percorso attraverso il quale (per i reati “minori” o che destano meno allarme sociale) ricercare soluzioni alternative alla custodia cautelare.

A questo riguardo, un punto fondamentale, a mio parere, è quello di evitare che lo strumento della custodia cautelare (cui troppo frequentemente oggi si ricorre, ignorando altre possibili opzioni già previste dall’ordinamento), finisca con il rappresentare una sorta di “passaggio obbligato” o di “anticamera” del penitenziario.

Ciò vale, soprattutto, quando, di fronte al sovraffollamento delle carceri, l’unica possibilità pare essere rappresentata dalla soluzione adottata negli States: la costruzione di nuove strutture detentive.

Soluzione, questa, che rappresenterebbe un notevole passo indietro rispetto all’antico principio secondo il quale la pena (non necessariamente detentiva) deve tendere alla riabilitazione e al reinserimento nella società del condannato, piuttosto che rappresentare lo strumento attraverso il quale la società civile estromette – per il massimo del tempo possibile – soggetti “indesiderati”.

Contemporaneamente, ciò non vieta che una misura restrittiva quale la custodia cautelare continui a rappresentare una concreta scelta per tentare di evitare il ripetersi di azioni delittuose riconducibili anche (6) a bancarottieri, corrotti e corruttori, truffatori seriali, stupratori, pedofili, grandi spacciatori di droga, ladri e rapinatori che – con l’eventuale vittoria del SI – sarebbero quasi tutti fuori.

Resterebbe questa, in effetti, l’unica possibilità concessa a giudice per tentare di evitare che un indagato inquini le prove, tenti la fuga e/o continui a reiterare il reato contestatogli.

Tra l’altro, sempre in ossequio alla coerenza e all’onestà intellettuale di Salvini (e dei suoi degni compari), già immagino le “bordate” sparate dalla Lega nei confronti di quel giudice che – a valle dell’eventuale affermazione del “SI” – non potendo più applicare la misura della custodia cautelare, sarebbe obbligato a lasciare “a piede libero” quel ladro di appartamenti contro il quale, lo stesso Salvini – in versione “giustizialista” – soltanto fino a ieri chiedeva di poter ricorrere all’uso delle armi da fuoco! Ben venga, quindi, un’iniziativa referendaria che stimoli un confronto tra le forze politiche e un’approfondita riflessione sugli strumenti disponibili e su ipotesi di nuovi percorsi rispetto a un tema cui poco servirebbe il semplice prevalere del “SI” piuttosto che del “NO”.

Ciò presupporrebbe, però, una classe politica coesa nel comune sforzo di operare una riforma della Giustizia che affronti i nodi reali presenti nell’ intero “sistema”.

Purtroppo, le recenti ipotesi di riforme prodotte dall’Esecutivo guidato da Draghi hanno aggiunto perplessità, dubbi e diffidenza!
Tornando alla “strana coppia”, l’impressione è che gli obiettivi dei referendari siano di tutt’altra natura rispetto alla dichiarata “azione di stimolo” nei confronti delle riforme annunciate dalla Ministra della Giustizia, Marta Cartabia.

Relativamente ai Radicali, ho la sensazione che, coerentemente alla loro controversa (7) storia – finalizzata a creare l’immagine dei “paladini dei diritti civili” sottacendo, però, su iniziative referendarie che, eufemisticamente, definirei deplorevoli (e per fortuna, sempre respinte dagli elettori) – non facciano altro che perseguire, con tenacia e determinazione, un’idea di società nella quale l’abbondante dose di esasperato liberalismo e l’eccesso di individualismo realizzino quel nuovo ordine che, personalmente, definirei “anarchismo collettivo”!
In questo senso, consentendomi una breve divagazione, rilevo che i Radicali, nella loro frenesia referendaria, sono stati artefici, nel corso degli anni, di iniziative che, se avessero trovato riscontro, avrebbero prodotto – probabilmente – danni irreparabili e conseguenze disastrose; soprattutto a carico dei lavoratori e dei soggetti più economicamente vulnerabili: altro che difesa dei diritti civili!

Sia sufficiente ricordare le iniziative dei Radicali (solo in parte, per fortuna, tradottesi in referendum regolarmente svolti) tese a:

  • Abrogazione della legge Cossiga, nata per affrontare l’emergenza del terrorismo,
  • Completa liberalizzazione dei contratti di lavoro a tempo determinato,
  • Abolizione delle norme che limitavano la concessione del porto d’armi,
  • Abolizione di qualsiasi vincolo alla stipula dei contratti di lavoro a part-time,
  • Abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori;
  • Elevazione (già nel 1999) dell’età minima per le pensioni di anzianità,
  • Completa liberalizzazione del collocamento privato,
  • Abolizione del monopolio pubblico (Inail) sull’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie, lasciando libertà di scelta di assicurazioni private,
  • Alternativa al Servizio Sanitario Nazionale, con conseguente facoltà del cittadino di scegliere se iscriversi allo stesso o pagarsi un’assicurazione privata sulle malattie.

In sostanza, un nutrito elenco di iniziative rispetto alle quali, come anticipato, non oso immaginare quali e quanti irreversibili danni avrebbero prodotto in una società civile che pure, a chiacchiere, si dichiarava voler proteggere ed emancipare!

Di diverso livello appaiono, invece, la natura (profondamente egoista), le origini (localiste), la storia (poco edificante), le politiche (votate al discredito degli avversari politici, al campanilismo separatista, all’esasperazione delle “differenze” – siano esse di carattere territoriale, xenofobo, razzista ed omofobo -) e gli obiettivi (minimalisti) della Lega. Dei suoi “Padri fondatori” (da Bossi, a Calderoli, a Borghezio), come di Salvini e dei suoi degni compari. Senza, peraltro, dimenticare, i milioni di “terroni” – della Campania, Calabria, Puglia e Sicilia – che, dimentichi di quando Salvini (e la sua degna compagnia) sull’uscio dell’osteria cantavano: “Senti che puzza, scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani”, ritrovano nel capo della Lega quell’ che tanti italiani continuano ad invocare.

In effetti, Salvini non fa nulla di diverso rispetto a quello che ha sempre fatto. Il “doppio gioco” della Lega di governo (8) e, contemporaneamente, di opposizione, rappresenta l’altra faccia della medaglia di una Lega che faceva (e fa) il gioco “delle tre carte”: nelle valli montane nel Nord parla ancora – seppure sottovoce – di separatismo antimeridionalista, a Roma inneggia al governo delle banche e della finanza (e, intanto, spariscono 49 mln di euro) mentre al Sud non sa andare oltre il ponte sullo Stretto.

Oggi, pertanto, i sei quesiti referendari danno alla Lega la possibilità di mantenere le luci della ribalta proponendo ai cittadini di intervenire in prima persona per risolvere alcuni problemi in tema di Giustizia, che però, realisticamente – anche se Salvini dichiara di operare così al solo fine di “stimolare” una riforma complessiva da parte della Ministra Marta Cartabia – rappresentano un atto sorprendente e molto discutibile da parte di una forza di governo.

La sensazione che ne ricavo è quella di assistere a una mossa preventiva tesa unicamente a “forzare” l’andamento della discussione – e, soprattutto, delle decisioni – tra le forze di governo. Ciò al solo scopo, presumo, di indurre il Parlamento ad accelerare i lavori – pena il ricorso alle urne – condizionandolo rispetto alle conseguenze di un’eventuale vittoria dei SI e inducendolo, quindi, ad adottare provvedimenti legislativi sostanzialmente in linea con gli obiettivi reconditi dei referendari.

Obiettivi inconfessabili ma difficilmente occultabili quando, nel caso dell’altro quesito che intendo affrontare, si tratta di evitare che, l’eventuale successo del SI, svuoti di significato la famosa legge Severino che, come noto (9), fece decadere Silvio Berlusconi dalla carica di Senatore in seguito della sentenza Mediaset con la condanna a 4 anni per frode fiscale.
In effetti, il quesito chiede di abolire l’automatismo – previsto dalla legge Severino (risalente al governo Monti) – tra le condanne per specifici reati e l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza che ne consegue per parlamentari europei ed italiani, consiglieri e governatore regionale, consiglieri provinciali e circoscrizionali e sindaci.

Quindi, nell’ipotesi di un successo del SI, all’eventuale condanna definitiva per reati gravi e gravissimi non corrisponderebbe più – come, invece, avviene oggi – l’automatica incandidabilità agli incarichi politici. Sarebbe il giudice a stabilire caso per caso se, oltre alla sanzione penale, aggiungere anche quella accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici e per quanto tempo.

Tra l’altro, secondo quanto dichiarato in una recente intervista rilasciata a Giovanni Floris dall’ex magistrato Piercamillo Davigo “Chi dice certe cose non sa che il codice non permette di infliggere misure alternative, tipo l’interdizione di pubblici uffici, per coloro che sono stati eletti direttamente dal popolo”!

Appare quindi chiaro che l’eventuale abrogazione del Decreto legislativo 31 dicembre 2012, nr. 235 (oggetto del quesito) rappresenta un tema molto caro agli italici politici perché tutto relativo a loro probabili “disavventure” ed “incidenti di percorso”!

NOTE

  • 1- La coppia è “strana” se si pensa alle posizioni storicamente espresse dalle due formazioni politiche. Vocazione transpartitica e transnazionale dei Radicali contro “separatismo, xenofobia, razzismo ed omofobia” quali caratteristiche che, da Bossi a Salvini, hanno sempre rappresentato il “brodo di coltura” della Lega. Sufficientemente attrezzata per stare bene insieme, invece, quando ci si riferisce a politiche general/generiche, avversione nei confronti delle OO.SS. diffidenza nei confronti della Magistratura e predisposizione (direi) genetica alle alleanze più disparate, pur di conseguire i propri fini.
  • 2- “Referendum: i primi due ”, su www.blog-lavoroesalute.org
  • 3- Secondo i dati diffusi dall’ Associazione “Antigone”.
  • 4- Senza dimenticare, però, che nel nostro Paese – come sostenuto da Piercamillo Davigo – gli imputati sono considerati in custodia cautelare anche dopo la condanna in primo grado.
  • 5- Dopo circa 30 anni dalle vicende di “Tangentopoli”, non sono pochi a riconoscere che, da parte del pool di “Mani pulite”, vi fu un troppo facile e ricorrente ricorso alla misura della custodia cautelare, al fine di esercitare indebite “pressioni” sugli indagati di turno.
  • 6- Esempi di alcuni reati che, con l’eventuale vittoria del “SI”, non prevederebbero più la possibilità di ricorrere alla custodia cautelare.
  • 7- Quello italiano è un popolo senza memoria storica, per cui credo siano in pochi a ricordare tutti i particolari.
  • 8- In quella che, una volta, era considerata “Roma ladrona”.
  • 9- Fonte: “Wikipedia”

di Renato Fioretti

Collaboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute

16/7/2021

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