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Il punto su dati, terapie e buone pratiche

Alzheimer in Italia e nel mondo

Pubblicato da franco.cilenti

All’inizio non troviamo le cose, non troviamo le parole: “dov’è finito il coso?” ci troviamo a dire. Ci rendiamo conto che qualcosa non va, almeno per ora, e abbiamo paura. Poco a poco cambia il nostro modo di stare con gli altri, non ci fidiamo né di loro né di noi stessi e alla fine ci ritiriamo. Perdiamo contatto con i nostri interessi, siamo disorientati, il nostro umore si fa instabile e i nostri cari si stupiscono di certe nostre azioni. Poi la cosa peggiora, e noi non sappiamo raccontare come. Da qui in poi, siamo nelle vostre mani.

demenza in Italia
Photo by Cristina Serí on Unsplash

Alzheimer e demenze: cosa sono e come si sviluppano

Il termine demenza indica una riduzione delle prestazioni cognitive come la memoria, il ragionamento e il linguaggio, tale da compromettere le attività e le relazioni della persona. Alla base della demenza, di solito progressiva, ci possono essere diverse cause legate a condizioni che riguardano il cervello. La più frequente è la malattia di Alzheimer, che rappresenta tra il 60 e il 70% dei casi.

Descritta per la prima volta nel 1906 dallo psichiatra da cui prende il nome, la malattia di Alzheimer ha solitamente un esordio oltre i 65 anni. È una condizione degenerativa progressivamente invalidante, nel senso che i suoi sintomi tendono ad aggravarsi con il passare del tempo fino a portare a una totale perdita dell’autonomia.

Anche se la velocità di progressione può variare, l’aspettativa media di vita dopo la diagnosi è di otto anni, con differenze che vanno dai quattro agli oltre vent’anni a seconda dell’età, delle condizioni generali della persona e delle cure ricevute.

Oltre all’Alzheimer, esistono altri tipi di demenza quali la demenza di tipo vascolare, la demenza con corpi di Lewy, le demenze fronto-temporali, la malattia di Huntington e la degenerazione cortico-basale.

Le fasi dell’Alzheimer

Anche se il decorso della malattia è diverso per ogni persona, può essere utile semplificare percorrendo le tappe teoriche che portano dalla comparsa dei primi sintomi alla perdita dell’autonomia.

In una fase iniziale, cosiddetta lieve, la persona sperimenta i primi disturbi della memoria: dimentica nomi e indirizzi, fatica ad assimilare nuove informazioni. È questo il sintomo cardine, che può portare la persona a perdere contatto con i propri interessi, diventare ripetitiva e sospettosa verso gli altri. In questa fase la persona è ancora consapevole dei cambiamenti, e lo stress che ne deriva è fonte di ansia, turbamenti dell’umore e depressione.

Il disturbo della memoria precede in genere il decadimento di altre competenze come il ragionamento, il linguaggio, il problem-solving, la capacità di giudizio e le competenze relazionali.

Nella fase intermedia i sintomi si aggravano. Anche la memoria remota è in parte compromessa e l’orientamento spazio-temporale è sempre più difficile. La novità più rilevante è che l’autonomia viene meno: si rischiano cadute, serve aiuto per lavarsi, vestirsi e preparare i pasti nei momenti opportuni, mentre resistono in genere la capacità di muoversi e mangiare in modo autonomo.

Anche gli sbalzi d’umore e i cambiamenti del comportamento si acuiscono. Questi sintomi portano a situazioni di isolamento sociale e marginalità, creando forte pressione anche sui caregiver.

Nella fase severa ogni tipo di memoria è compromessa. La persona è completamente dipendente dal caregiver o dal servizio a cui è affidata: non cammina, non ha controllo sfinterico e non è in grado di svolgere da sola nessuna delle attività quotidiane. In certi casi perde la capacità di parlare e possono sorgere problemi nella deglutizione, rendendo necessaria l’alimentazione artificiale a letto o in carrozzina.

È così che il rischio di condizioni associate diventa una vera e propria minaccia, fino a portare ad una fase terminale: la persona rimane costantemente a letto, dove riceve l’alimentazione e le cure necessarie finché la morte non sopraggiunge, di solito, per malnutrizione, malattie infettive, polmoniti, infezioni o altro.

Come abbiamo detto, tutto questo può durare dai 4 ai 20 anni e la durata di ogni fase varia da persona a persona. Queste differenze dipendono appunto dalle condizioni associate che possono sopraggiungere e dalla qualità e tempestività dell’assistenza ricevuta.

Demenza e Alzheimer in Italia e nel mondo: i dati

Secondo l’Alzheimer Europe Yearbook 2019, in Italia si stimano oltre 1 milione e 200 mila persone affette da demenza (dati 2018 relativi ad ogni tipo di demenza), che rappresentano il 2,12% della popolazione totale. È un dato destinato quasi a raddoppiare entro il 2050, quando secondo le stime raggiungerà il 4,13%.

I dati del report dicono che le donne con demenza in Italia sono più del doppio degli uomini e che il numero dei casi cresce con il crescere dell’età, raggiungendo il suo picco tra gli 80 e gli 84 anni per gli uomini e oltre i 90 anni per le donne. Su questa asimmetria di genere si sa ancora poco, ma in parte ha a che fare con la maggiore aspettativa di vita delle donne.

Dati analoghi riguardano l’Unione Europea, dove la popolazione con demenza corrisponde all’1,73% ed è destinata a salire a 3,28% nel 2050. Anche a livello europeo la popolazione femminile con demenza è oltre il doppio di quella maschile.

Su scala mondiale sono stimate circa 50 milioni di persone con demenza, con 10 milioni di nuovi casi ogni anno. Nel 2000 erano 25,5 milioni e si prevede che il numero possa salire a 82 milioni entro il 2030 e a 152 milioni entro il 2050.

Con questi numeri, le demenze rappresentano una delle principali cause di disabilità tra la popolazione anziana mondiale. Come ogni disabilità, essa ha un impatto fisico, psicologico, sociale ed economico non solo sulle persone direttamente colpite, ma anche sui loro caregiver e sulla società in generale. Le demenze, quindi, rappresentano una sfida per i sistemi socio-sanitari, soprattutto nei paesi in cui l’aspettativa di vita è più alta.

Oltre ad essere un problema sanitario e sociale, la diffusione delle demenze è anche una sfida economica. A livello globale, nel 2015 si stimava una spesa di 818 miliardi di dollari con incremento progressivo (erano 604 miliardi nel 2010). Diversi studi europei calcolano che i costi annuali diretti per ciascun paziente siano compresi tra 9 mila e 16 mila euro, in base allo stadio della malattia. In Italia le stime dei costi socio-sanitari associati alle demenze sono pari a circa 10-12 miliardi di euro ogni anno. Di questi, 6 miliardi sono relativi alla malattia di Alzheimer in Italia.

Cause e terapie della malattia di Alzheimer

Sappiamo ancora poco sulle cause scatenanti della malattia di Alzheimer. Ciò che è noto è che comporta una perdita di cellule cerebrali e una conseguente riduzione del volume del cervello, soprattutto della corteccia cerebrale, responsabile di importanti funzioni tra cui l’elaborazione del pensiero e la memoria.

Un elemento ricorrente nel cervello colpito da Alzheimer, inoltre, sembra essere l’accumulo di due proteine, la beta-amiloide e la “tau”. Una delle ipotesi, su cui si sono puntate molte energie e molti fondi negli ultimi anni, suggerisce infatti che la perdita di cellule cerebrali sia dovuta all’accumularsi di placche e grovigli delle due proteine, responsabili della morte dei neuroni e dei collegamenti tra i neuroni (sinapsi).

Tuttavia, la quasi totalità delle sperimentazioni condotte in passato per individuare sostanze che potessero prevenire l’accumulo di beta-amiloide sono andate incontro a fallimenti e non è ancora chiaro il ruolo della proteina nell’insorgenza della malattia, e in particolare se ne sia una causa o un effetto.

Altri filoni di ricerca hanno puntato l’attenzione verso la diagnosi precoce e la prevenzione, nel tentativo di ridurre l’incidenza della malattia. Ad oggi, gli strumenti diagnostici a disposizione sono i test cognitivi, la risonanza magnetica nucleare o la tomografia a emissione di positroni (PET) per misurare l’accumulo di beta-amiloide nel cervello e test per misurare i livelli di proteina “tau”.

Dove non arriva la medicina: le terapie per l’Alzheimer

Anche se attualmente la malattia di Alzheimer non è guaribile, è possibile far fronte ai sintomi e alle difficoltà di natura socio-sanitaria agendo su diversi fronti.

Non esistono farmaci in grado di fermare e far regredire la malattia, anche se alcuni farmaci vengono utilizzati per mitigare per un po’ di tempo alcuni sintomi cognitivi, funzionali e comportamentali, soprattutto nella fase lieve della malattia.

In assenza di farmaci risolutivi, l’aspetto più importante è prendersi cura della persona per migliorare la qualità della sua esperienza quotidiana. Vi sono diversi aspetti e tipi di percorsi da prendere in considerazione in base alle caratteristiche della persona, alle sue capacità residue e ai suoi bisogni.

Esistono attività che agiscono sulle funzioni cognitive come la R.O.T. (Reality Orientation Therapy), inizialmente sviluppata negli Stati Uniti per trattare i veterani di guerra che presentavano confusione mentale. L’obiettivo della R.O.T. consiste nel dare riferimenti alle persone affinché possano orientarsi attraverso ripetute stimolazioni che riguardano la propria storia personale, l’ambiente e il tempo. Altre attività possono incentrarsi sulla stimolazione della memoria residua (ad esempio attraverso l’utilizzo dei ricordi) o sulla “rimotivazione” verso l’ambiente esterno e le relazioni.

Nello svolgere questo tipo di attività, però, è fondamentale che gli operatori sappiano tenere in primo piano i bisogni della persona con demenza, tenendo conto della sua percezione della realtà e della relazione terapeutica. Ad esempio, in alcuni casi potrebbe essere controproducente costringere la persona a memorizzare la data odierna, il proprio indirizzo, o ad ammettere di non trovarsi negli anni cinquanta. Al contrario, potrebbe essere utile sintonizzarsi con il suo vissuto, in modo da favorire un’esperienza emotivamente positiva in cui sia possibile una relazione d’aiuto.

Questo approccio è alla base della e fa riferimento al concetto di validazione, che comporta un atteggiamento non giudicante e la legittimazione di quanto la persona riferisce. Vi sono poi molti altri tipi di intervento utilizzabili nel campo delle demenze. Citiamo ad esempio la musicoterapia, la psicomotricità e la Pet Therapy.

alzheimer in italia
Photo by Tiago Muraro on Unsplash

Buone pratiche per l’Alzheimer in Italia e nel mondo

Fortunatamente, con l’aumentare della sensibilità e delle conoscenze sulle demenze, nascono sempre nuovi progetti e pratiche virtuose per la gestione dell’Alzheimer in Italia e nel resto del mondo.

Un esempio, di origine olandese, è la creazione di villaggi dedicati alle persone con demenza, soprannominati “Dementia village”. Si tratta di centri simili a piccole città con appartamenti, strade, negozi e tutto ciò che possa ricondurre a un senso di “normalità”, così che le persone sperimentino una quotidianità più libera rispetto a quella che vivrebbero in una classica casa di riposo.

L’idea è quella di un luogo sicuro, dalla sorveglianza discreta, in cui le persone con Alzheimer possano ricevere l’assistenza necessaria e allo stesso tempo muoversi liberamente, ricevere stimoli simili a quelli della quotidianità perduta con la possibilità di seguire i propri tempi e le proprie inclinazioni. Dal 2018 ne esiste uno anche in Italia, Il paese ritrovato di Monza.

Quello dei villaggi dedicati alle persone con demenza è un modello interessante, soprattutto perché potenzialmente replicabile nei molti borghi abbandonati disseminati per le province italiane, con il duplice vantaggio di offrire un servizio di qualità ad anziani e famiglie e di creare posti di lavoro, andando a ripopolare e animare zone da lungo tempo in declino.

Un’altra buona idea è quella di realizzare progetti pensati per i caregiver, che per tutti gli anni della malattia ne subiscono indirettamente gli effetti, andando incontro a problemi psicofisici, impoverimento economico e isolamento sociale. I caregiver hanno bisogno di servizi utili affinché possano recuperare tempo ed energie per mantenersi in salute e portare avanti il proprio lavoro e i propri progetti personali.

Prima di tutto, però, i caregiver hanno bisogno di formazione e informazione, perché spesso la malattia entra nella loro vita trovandoli impreparati rispetto a ciò che li aspetta, costringendoli a imparare tutto in poco tempo.

Un progetto utile in questo senso, pensato dalla Fondazione Sacra Famiglia Onlus per l’attuale periodo di restrizioni che rendono la gestione dei malati ancor più difficile, è Alzheimer Lab, un canale con più di 100 video a distribuzione settimanale dove è possibile trovare le informazioni necessarie per assistere i propri cari. I video propongono esercizi da svolgere all’interno dell’ambiente domestico, esercizi di stimolazione cognitiva dell’anziano e contenuti dedicati al benessere psicologico del caregiver.

Un altro esempio, gestito dalla cooperativa Nomos, è Atelier Alzheimer, attivo dal 2013 a Firenze e provincia, un laboratorio dove le persone con demenza si incontrano sotto la supervisione di personale esperto.

Una realtà ormai diffusa sono i Caffè Alzheimer, luoghi in cui le persone con demenza e i loro caregiver si possono incontrare in modo informale e mantenere vive le relazioni sociali. I Caffè Alzheimer sono molto utili sia agli anziani che ai caregiver, che incontrandosi contrastano l’isolamento sociale, trovando un parziale sollievo dalla routine dell’assistenza e un confronto tra pari sui problemi quotidiani.

Cura dell’Alzheimer: l’importanza dell’ambiente di vita

Un aspetto, spesso trascurato, che può migliorare la qualità della vita delle persone con demenza è l’attenta progettazione degli spazi interni ed esterni. Se ne è occupato il World Alzheimer Report 2020, con un focus sulla progettazione di strutture dedicate alla demenza. Ne emergono innumerevoli spunti e soluzioni, che seguono alcuni principi di base adattabili anche a un ambiente domestico.

Un ambiente libero da ostacoli e pericoli, con spazi a misura umana e facili da riconoscere, può aiutare a ridurre confusione e incertezza, permettendo alle persone con demenza di esplorare in modo sicuro l’ambiente in cui vivono. Allo stesso modo, è importante ridurre gli stimoli non necessari come rumori, segnali e oggetti, così da consentire alle persone di trovare punti di riferimento chiari su dove sono e dove possono andare.

Negli ambienti pensati per le persone con demenza il movimento dovrebbe essere incoraggiato fornendo percorsi ben definiti e privi di ostacoli, sia all’interno che all’esterno. Il luogo dovrebbe risultare familiare, con veri mobili e oggetti che riflettano il background della persona.

Dovrebbero essere previsti spazi per stare soli, interagire, svolgere attività o semplicemente guardare fuori dalla finestra, a seconda della volontà. Un aspetto importante, inoltre, è garantire il collegamento con il mondo esterno, con luoghi adatti a incoraggiare l’interazione con parenti, amici o visitatori.

Alzheimer in Italia e nel mondo: per concludere

Se c’è una cosa che la pandemia da Covid-19 dovrebbe averci insegnato è che la scienza è uno strumento importante ma non può risolvere tutti i problemi, almeno non sempre e non subito. Ci sono condizioni sulle quali la conoscenza medica deve fare molti passi avanti, e la demenza è una di quelle. Questo non significa però arrendersi alla propria impotenza in attesa del progresso.

Non poter guarire non è la stessa cosa di non poter curare, e dove non arrivano i farmaci a estirpare le cause di una malattia, possono arrivare le buone pratiche a lenire le sofferenze delle persone con demenza e dei loro caregiver. Servizi alla persona, tecnologie dedicate, nuovi modi di organizzare le abitazioni, informazione e sensibilizzazione diffusa sono tutti modi per intervenire su situazioni difficili e per non lasciare sola una fetta enorme di popolazione con cui un giorno, non è escluso, potremmo avere a che fare.

Andrea Genzone

6/4/2021 https://www.lenius.it

Tags: Alzheimer Anziani Demenza malati di Alzheimer morbo di Alzheimer Validation Therapy World Alzheimer Report 2020
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Autore: franco.cilenti
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