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Altra Informazione, Ambiente e salute, Blog, Comitati di Lotta, Cronache di Lavoro, Cronache Politiche, Cronache Sindacali, Cronache Sinistra Europea, Cronache Sociali, Movimenti di Liberazione, sanità e salute, sicurezza lavoro — giugno 7, 2019 7:57 am

“Troviamo decisamente allarmanti le notizie sulla sospensione di due anni del codice degli appalti e la proposta di cancellare qualsiasi tetto di soglia per i subappalti fino al 2020. Quelle del ministro dell’Interno Matteo Salvini sono affermazioni gravi e pericolose che provengono proprio da chi, per il suo ruolo istituzionale, dovrebbe promuovere e garantire la tutela della legalità nelle pubbliche amministrazioni contro le infiltrazioni della criminalità organizzata”. Cgil

Appalti legalmente truccati

Pubblicato da franco.cilenti
Risultati immagini per appalti e corruzione immagini
Da almeno 30 anni, esistono solo appalti truccati “legalmente”. Non esitono appalti sostanzialmente regolari, ma solo appalti formalmente regolari. Lo sanno tutti coloro che hanno partecipato ad un appalto pubblico. Qualche volta la magistratura se ne accorge e i media fingono di scandalizzarsi.
Esistono cinque categorie di vincitori di appalti legalmente truccati: quelli legati alle mafie, quelli collegati alle cooperative rosse, quelli di appartenenza cattolica, quelli legati all’appaltatore, quelli che pagano il pizzo. Non di rado i vincitori appartengono a tutte e cinque le categorie insieme.
L’ipotesi che un appalto sia vinto da qualcuno che sa fare il lavoro bene e con onestà è remota. Capita solo quando mafie, organizzazioni rosse e cattoliche, cordate dell’oligarchia locale, e appaltatore sono talmente in conflitto da non trovare un accordo. Prima che il sistema degli appalti dilagasse, i politici affidavano i lavori a chi gli pareva. Se le cose andavano male, era sempre chiaro ed evidente chi fosse il politico responsabile. Capitava anche che qualche politico, per evitare grane, affidasse un lavoro a un’organizzazione competente. Oggi, grazie agli appalti, a meno di truffe smaccate e davvero idiote, nessun politico risponde mai degli appalti, perchè sono quasi sempre formalmente legali.CAP.1 – L’informazione
CAP.2 – I requisiti e il controllo
CAP.3 – La Commissione e i risultati
CAP.4 – Il controllo sul campo e le variazioni
CAP.5 – I pagamenti e i rendiconti

Capitolo 1 – L’informazione

Un appaltatore che desidera avere il meglio al minor prezzo facilita l’accesso al maggior numero possibile di concorrenti. Basta creare un database cui ogni impresa interessata agli appalti del settore può iscriversi liberamente: ogni bando può essere inviato a tutti via mail. Un appaltatore che vuole far vincere qualcuno fa il contrario. Invita a partecipare gli “amici” in largo anticipo e direttamente, mentre crea per gli altri una corsa a ostacoli.
Il bando viene reso pubblico pochi giorni prima della scadenza, meglio se in prossimità di feste, ponti, vacanze. In questo modo gli “estranei” hanno pochissimo tempo per partecipare. Ma come viene reso pubblico? Solitamente viene appeso alla bacheca dell’ente appaltatore, in un sottoscala buio. A volte può anche essere richiesto, purchè si sappia quando esce. Ma dopo la richiesta non viene inviato: deve essere ritirato a mano in orari fantasiosi (il mercoledi dalle 9 alle 10 oppure il venerdi dalle 16 alle 18). Ma, una volta raggiunto, non viene dato gratis: va fotocopiato a pagamento.

Gli appaltatori più innovativi arrivano a mettere il bando sul loro sito istituzionale. Peccato che quasi sempre il sito sia off line, oppure il link al bando sia nascosto. Una volta trovato il link si scopre che funziona a giorni alterni, e quando riesci a raggiungerlo, il bando è in un formato illeggibile o non scaricabile.

Un’altra furbata è l’uso di qualche appaltatore di ammettere all’appalto solo quelli che vengono invitati. Per essere invitati, raramente basta chiedere. Per ricevere il bando bisogna avere dei requisiti, che poi sono quelli già in possesso del vincitore designato. Non si arriva ad esigere che il responsabile dell’ente sia biondo/a ma ci si va molto vicino. Per esempio, alcuni esigono che l’invitato abbia una sede nella stessa regione o provincia dell’appaltante; altri chiedono che la ragione sociale sia una cooperativa o una srl; altri ancora arrivano a pretendere che i lavori pregressi del concorrente siano uguali a quello messo in bando. Ma qui viene il bello. Chi pensate che decida se il concorrente è degno di essere invitato? L’appaltatore, ovviamente, e senza dirittto di appello.

Mentre i “non amici” fanno la caccia al tesoro, gli “amici” stanno già da tempo preparando l’offerta e la documentazione.

Capitolo 2 – I requisiti e il controllo

Nella scelta dei requisiti per partecipare all’appalto, i “truccatori legali” raggiungono vette artistiche. Una prima scrematura avviene con la ragione sociale. All’appaltatore non interessa sei bravo ed onesto, ma devi avere la stessa ragione sociale dell’ente che dovrà vincere. Gli appalti sono vincolati alla ragione sociale degli interessati a partecipare. Cooperative, onlus, associazioni no profit, srl, spa: ogni appalto è riservato ad una categoria specifica Questo riduce molto i rischi di concorrenza.

Una seconda scrematura deriva dal bilancio. Ogni bando richiede che per partecipare devi avere un certo bilancio (in uno o anche tre anni precedenti), ma i più astuti chiedono che il bilancio deve essere basato su lavori simili o addirittura identici a quelli messi in bando. Nei bandi di una certa entità, è richiesta una fidejussione, cioè la garanzia di una banca, che naturalmente la fa pagare: questo, prima di sapere se vincerai o no.

La terza scrematura si basa sull’organico. Non è previsto che tu assuma i collaboratori dopo l’eventuale vittoria. Per partecipare devi avere x dipendenti o collaboratori, ma non basta. Bisogna che abbiano particolari lauree o diplomi ed è obbligatorio allegare i curricula di tutti. Non importa se il lavoro inizierà fra un anno o più. Devi dire ora chi ci lavorerà: non sono previsti decessi, licenziamenti o semplici impegni in altri lavori futuri.

Se il lavoro in bando prevede una sede per i futuri utenti, questa deve essere “a norma” e restare a disposizione fino alla decisione sul vincitore perchè se vinci e cambi la sede, rischi di non essere pagato.

Molti bandi richiedono che il progetto sia preceduto da una “ricerca sui bisogni”, che devi fare a tue spese. Non importa se questa ricerca è fatta oggi, mentre le risposte a questi bisogni saranno date fra uno, due o anche tre anni. I tempi fra l’emissione del bando, la partecipazione, i ricorsi, la scelta del vincitore, l’avvìo del lavoro e la sua ultimazione sono spesso di svariati anni. Il progetto deve essere descritto nei dettagli, senza alcun interesse per i bisogni degli utenti (che non conosci e che fra 2/3 anni saranno del tutto cambiati). Cambiare un progetto in corso, sulla base di diversi bisogni emersi è il primo motivo di sospensione dei pagamenti.

L’ultima scrematura si basa su elementi formali. Se manca una firma su un foglio (tutti vanno firmati), la partecipazione è annullabile. Se manca un timbro la partecipazione è annullabile. Se la consegna avviene sei minuti dopo la scadenza, la partecipazione è annullabile. E’ successo che sia stato eliminato un candidato perchè aveva scritto sul costo finale “quarantatremila trecento50” mentre il bando chiedeva la somma in lettere: “quarantatremila trecentocinquanta”.

Sui requisiti l’appaltante si scatena, ma il trucco non sta solo nel porre requisiti bizzarri quanto ultimativi. Il vero godimento dell’appaltante sta nel controllo di questi requisiti. Chi controlla se i partecipanti al bando hanno o no i requisiti inderogabili richiesti? Qualche tirapiedi dell’appaltante, che verso gli estranei sarà severissimo, mentre per il candidato vincitore si mostra molto possibilista. Ogni requisito richiesto richiederebbe un’apposita indagine, che nessuno si mette a fare, specie verso chi è designato a vincere. I requisiti formali difettosi possono essere sanati con una telefonata, dopo la scadenza per le presentazioni: chi può sapere che prima non c’erano? La ricerca sui bisogni è fatta con un “copia e incolla” di ricerche fatte anni prima: ma chi lo viene a sapere? La sede per gli utenti non esiste o non è “a norma”? Se sei un “amico” non importa: basta una dichiarazione di “lavori di adeguamento in corso”. Nessuno saprà se questi lavori dureranno anni. Il bilancio e la fidejussione sono opzionali o addirittura falsi, ma come farà a controllare il Fantozzi preposto al controllo? Se qualche funzionario onesto si accorge per caso di anomalìe, cosa deve fare? Segnalare al dirigente, che gli dice di “farsi i c….suoi”, oppure che va dall’appaltante, che gli dice di “farsi i c….suoi”.

CAP.3 – La Commissione e i risultati

Per essere proprio sicuri che il vincitore designato vinca l’appalto, nel settore sociale gli appaltanti evitano di fare bandi basati solo sulla cifra offerta. Questo renderebbe troppo poco discrezionale la decisione. Ecco dunque l’ideona: una Commissione che decide una certa parte del punteggio finale. Chi sceglie e designa questa Commissione è ovviamente l’appaltatore. I commissari vengono scelti fra i parenti dell’appaltatore, i suoi tirapiedi, qualche funzionario ricattabile. I più arditi mettono nella Commissione anche una “foglia di fico”. Qualche sedicente esperto o addirittura un accademico. Tanto la Commissione voterà e se c’è un membro non allineato sarà in minoranza. Le riunioni della Commissione sono segrete, come anche i suoi criteri di decisione. Se per caso le cose non vanno come da programma e la commissione sceglie un candidato sgradito, non c’è problema. Il peso della decisione della Commissione viene bilanciato dal peso del restante punteggio, deciso dall’appaltatore.

Una volta che i conteggi sono fatti, salta fuori il nome del vincitore. Il quale viene formalmente avvisato (informalmente lo sapeva già). Qualche volta i trombati vengono cortesemente avvisati, ma non è detto: devono chieere con insistenza. Se poi questi chiedono verbali, punteggi e motivazioni, la cosa si fa drammatica. I risultati di un appalto sono più secretati dei documenti del controspionaggio. I più cialtroni dicono chiaro e tondo che non sono tenuti a dirti niente. I più audaci giurano che ti manderanno tutto, ma non si sa quando (e passano mesi). Altri ti mandano documenti incompleti, lacunosi, illeggibili.

Certo, chi perde può fare anche un ricorso amministrativo. Siamo tutti per la legalità ! Dopo 5 anni e 20.000 euro buttati, può anche vincere. Cosa vince? Niente, perchè i lavori appaltati sono finiti da un pezzo.

Chi vince dovrebbe ricevere un anticipo, come da capitolato. Se chi vince è un “amico” l’anticipo viene inviato il giorno stesso. Se il vincitore è un altro (caso rarissimo) il giorno stesso deve cominciare il lavoro, ma l’anticipo arriva dopo mesi e decine di solleciti.

CAP.4 – Il controllo sul campo e le variazioni

Se per caso hai vinto un appalto, senza aver pagato nessun pizzo o tangente, e cerchi di fare al meglio il tuo lavoro…..ti fanno morire! Tanto per scoraggiarti la prossima volta. Ogni controllo, tipo gestapo, che trova una pur minima variazione dal capitolato, si traduce nella riduzione o sospensione dei pagamenti.

Il primo problema sta nel numero dei partecipanti/utenti. Due o tre anni prima, quando è stata fatta la rilevazione dei bisogni, molte persone sembravano interessate al progetto. Se si trattava di adolescenti, oggi sono tutti impegnati per la maturità. Se si trattava di anziani, la metà è passata a miglior vita. Se si trattava di piccole, imprese, la maggioranza ha chiuso i battenti. Se si trattava di utenti provenienti da istituzioni o organizzazioni (scuola, comunità terapeutica, centro informagiovani, ecc.) il dirigenti con cui due anni prima hai fatto un accordo, oggi è cambiato e quello nuovo non ha tempo da dedicare al tuo progetto.

D’altronde, se il capitolato prevedeva un numero preciso di utenti, è prevista la riduzione o sospensione dei pagamenti. Questo naturalmente non capita mai se chi ha vinto è chi era stato designato. Siccome ogni respiro durante il progetto prevede, firme, timbri e ricevute sono molti quelli che danno vita al “mercato truccato” dei partecipanti. La cosa più semplice è mettere sui registri le fime di parenti, affini, amici. I più raffinati arrivano a dare dei soldi in più a coloro che partecipano. Così è nata la professione di “partecipante a progetti appaltati”. Sono parecchi i giovani che firmano i registri di varie iniziative prendendo due o tre diarie . Tanto, nessuno controlla.

Non c’è progetto sociale nè appalto che non dichiari a gran voce la necessità di “seguire i bisogni del utenti”. In pratica, i cambiamenti vanno autorizzati dall’appaltante uno per uno, ma spesso le autorizzazioni arrivano qualche settimana o mese dopo le necessità. Ogni cambiamento di sede, orario, contenuto o organico è ufficilmente motivo di riduzione o sospensione dei pagamenti.

A nessuno interessa se il progetto raggiunge o meno i risultati richiesti dal bando. Per gli “amici” i controlli non vengono fatti. per gli “estranei” i controlli sono fiscalissimi ma solo sul piano formale. I registri, la contabilità, la sede della attività, il calendario, i nomi degli operatori vengono sottoposti ad un vaglio implicabile e ogni errore o deroga è motivo di riduzione o sospensione dei pagamenti.

CAP.5 – I pagamenti e i rendiconti

Circa i pagamenti e i rendiconti abbiamo personalmente assistito alla differenza fra “amici” ed estranei. Il famoso capo di una onlus si è presentato dall’appaltante a fine progetto, portando con sè una decina di scontrini per giustificfare l’ ammontare dei due miliardi del bando. L’appaltante gli ha fatto un modesto rimprovero verbale ed ha pagato. Un’associazione di estranei che aveva vinto “per caso” un appalto, dopo dodici anni dalla fine del lavoro, riceve una lettera con una richiesta perentoria dell’invio di tutta la documentazione che l’appaltante aveva smarrito, pena l’obbligo di restituire la somma incassata.

Ogni bando richiede un’offerta economica, scomposta a pacchetti: per gli operatori, per la segreteria, per i materiali, ecc. In fase di rendicontazione, non basta una fattura uncica, e nemmeno per pacchetti. L’appaltante agli “estranei” richiede che tutte le spese vengano giustificate da fatture regolarmente pagate: pena l’annullamento del rimborso. Questo significa che il vincitore dell’appalto deve prima pagare tutte le spese e poi, mesi dopo, riceverà il compenso (se non c’è un impedimento da cavilli formali). Chi anticipa questi pagamenti? Il vincitore dell’appalto o una sua banca. Chi paga gli interessi? Il vincitore “casuale” dell’appalto.
Nessuno pensi che l’ente vincitore si rifaccia ampiamente di queste spese, mediante la percentuale di ricavo sul totale dell’appalto. Nel settore sociale è proibito indicare che l’appaltatore tratterrà un 5-10% come utile. Gli appalti richiedono che le spese di ricerca, progettazione, segreteria, di partecipazione alla gara, interessi bancari siano tutte a carico del vincitore. Cioè, chi partecipa ad un appalto e vince, dovrebbe fungere da semplice trasferitore di danaro dall’appaltante al progetto.

Tutto questo non vale per gli “amici”, che vengono saldati quasi in toto a metà lavoro. Chi può controllare ?

L’appaltante ha un’altra arma potente per “punire”chi vince un appalto senza essere un vero “amico”. Il ritardo sine die nei rimborsi. Questo consente anche all’appaltatore di far maturare gli interessi bancari a suo favore. Su decine di progetti, si tratta di milioni di euro.

L’anticipo non viene dato, come specificato nel bando, all’inizio del lavoro, ma due, tre e anche sei mesi dopo. La seconda rata non viene data, come specificato nel bando, a metà del lavoro, ma due, tre e anche sei mesi dopo. Il saldo non viene versato, come specificato nel bando, al termine del lavoro, ma due, tre e anche sei mesi dopo. Le scuse per questi ritardi sono infinite. Non abbiamo ricevuto la documentazione, il funzionario è in vacanza, la documentazione non è completa o precisa, aspettiamo l’OK del dirigente, abbiamo passato la pratica all’ufficio amministrativo, al momento l’ente non ha liquidità…

Il contenzioso è causidico. A volte si basa su cavilli formali: “manca una firma a pagina 7, vi rimandiamo tutto e poi provvederemo”. Fra la prima spedizione, la scoperta del cavillo, l’avviso della necessità di correggere, la spedizione e la ri-spedizione con firma esatta, passano due o tre mesi, nel corso dei quali i rimborsi sono sospesi.

A volte si basa su questioni più corpose, che aprono spesso guerre fra consulenti amministrativi che danno interpretazioni della legge in modo diverso. Secondo alcuni appaltatori devi pagare l’Iva due volte: quando fai una spesa (per esempio, un viaggio) paghi l’Iva, e quando invii il rendiconto di quella spesa devi fare una fattura in cui ripaghi l’Iva. Secondo le norme fiscali ogni ente deve conservare per almeno 5 anni gli originali di tutte le fatture emesse o pagate. Secondo i contabili di molti appaltatori, i rimborsi vengono dati solo dietro invio dei documenti originali. Queste “guerre” interpretative possono durare anche uno o due anni, nel corso dei quali i rimborsi sono sospesi.
Tutte le variazioni al progetto fatte in corso d’opera, sono punibili con la riduzione o l’annullamento del rimborso.

* (NOTA: queste riflessioni sono tratte dall’esperienza in appalti del settore sociale, ma è altamente probabile che gli appalti in altri settori siano dello stesso tipo)

Eva Zenith

4/6/2019  www.miogiornale.com

 

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