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Altra Informazione, Blog, Comitati di Lotta, Cronache Politiche, Cronache Sinistra Europea, Culture, Editoria Libera, Internazionale, Politiche di Rifondazione, Storia e Lotte — Febbraio 25, 2022 8:22 am

In una fase di interessi nazionali contrastanti, l’auspicio è che quella ‘terza potenza mondiale’ come veniva definita la comunità pacifista all’inizio del millennio possa davvero rilanciare le evidenze della necessità di una vera cooperazione, che metta al centro l’approccio umanitario.

Appello per la pace all’internazionalismo solidale

Pubblicato da franco.cilenti

La ‘luce in fondo al tunnel’ della pandemia rischia di essere il bagliore di un proiettile tracciante nella notte buia della diplomazia europea, che cala sul Donbass.

Dal 2014 il cessate-il-fuoco stabilito dagli accordi di Minsk è stato ripetutamente violato, ma il deterioramento dei rapporti fra NATO e Russia, rispetto all’instabilità della situazione in Ucraina, ha trovato nelle Repubbliche separatiste di Luhansk e Donetsk il casus belli, per la trasformazione delle esercitazioni militari di Mosca in una nuova modifica dei confini orientali europei, dopo l’annessione della Crimea.

Già da settimane è cresciuta la tensione per la richiesta di adesione alla NATO da parte di Kyev e l’allargamento oltranzista dell’alleanza militare atlantica nelle ex-repubbliche sovietiche, vissuta come una minaccia da Putin, che dal canto suo cerca di uscire dall’angolo di questo confronto geopolitico, facendo leva sugli interessi energetici, particolarmente cari a molti stati importatori dell’Unione Europea.

In un contesto di forte criticità per i rincari delle bollette, con una crescente inflazione che sembra frenare il rimbalzo economico post-pandemia, paragonato alla crisi energetica del 1973; altri accostamenti – scongelati dal repertorio della guerra fredda – hanno portato a leggere, nella contrapposizione fra USA e Russia sulla questione ucraina, una riproposizione dello scenario di crisi dei missili a Cuba del 1962 a parti invertite.

Fino alla dichiarazione unilaterale di lunedì scorso con il riconoscimento delle repubbliche separatiste del Donbass come territorio russo, si sono susseguiti incontri diplomatici più di scena mediatica che di sostanza, in cui dell’armamentario retorico e di quello comunicativo non si è risparmiata la proliferazione di allarmismi da parte della Casabianca e di notizie fuorvianti da parte del Cremlino.

A condannare l’escalation ed il rischio di degenerazione in maniera incontrollata della situazione, richiamando perciò ad una distensione, è stata anche una nota della Sinistra Europea sul rigetto di minacce o aggressioni all’integrità territoriale, invitando a rilanciare iniziative diplomatiche multilaterali come nel “formato Normandia”, con una struttura pan-europea ampia, che comprenda anche la Russia, per la salvaguardia della sicurezza, sul modello dell’OSCE.

Il timido balbettio dell’ONU con appena qualche comunicato stampa nei giorni scorsi ha di fatto lasciato alle cancellerie europee la prerogativa di condurre in modo bilaterale le relazioni diplomatiche per la gestione di questa fase, con tentativi propagandistici a scopi elettorali, come nel caso del Presidente francese Macron, o affatto disinteressati sul piano economico, come per il cancelliere tedesco Scholz.

I colloqui con Putin, prevalentemente mirati ad avere rassicurazioni sull’approvvigionamento energetico e sull’attivazione del gasdotto Nord-Stream 2 – vera spina nel fianco per la strategia egemone degli USA – sono state accompagnate da ingenti forniture di armi a Kyev.

Fra le priorità riportate nella nota del gruppo della Sinistra Europea anche il riconoscimento della neutralità di paesi euro-asiatici e la loro libera scelta di accesso o uscita da alleanze militari regionali; oltre all’implementazione del Trattato per la Proibizione degli arsenali militari (TPNW), entrato in vigore nel gennaio 2021, pur senza la ratifica di alcun paese dei nove possessori di testate atomiche, comprese Francia e Gran Bretagna, in evidente contraddizione con l’adesione dell’UE.

Sulla minaccia di un nuovo conflitto armato in Europa come tragico finale con il botto della pandemia, quasi a riprova che al peggio non c’è mai fine, si è interrogata anche Taras Bilous della Fondazione Rosa Luxemburg, focalizzandosi sull’approccio della sinistra, utile alla distensione nel Donbass.

Il punto focale del contributo riguarda la considerazione della centralità dell’aspetto umanitario e delle persone da una parte e dall’altra del fronte ucraino, legate da decenni di storia alla Russia, che considerano inaccettabile e altamente impopolare una soluzione militare alla crisi. L’escalation bellica riduce infatti i margini di manovra per soluzioni condivise e sostenibili, dato che anche per Putin l’occupazione dell’Ucraina determinerebbe rischi e costi troppo elevati, in termini di relazioni internazionali ma anche di consenso interno.

Nel documento viene individuata una data significativa, quella del 26 ottobre 2021 quando, poco prima dell’assembramento di truppe russe ai confini ucraini, il governo Zelensky ha dispiegato nel conflitto con le repubbliche separatiste i droni turchi dell’azienda Bayraktar, gestita dal genero del sultano Erdogan e fortemente in espansione con l’impiego di quei sistemi d’arma in Siria, Libia e altri scenari, in cui la Turchia cerca di avere un ruolo di potenza regionale.

L’ingombrante attivismo bellico russo, dopo il Piano d’azione per l’adesione (MAP) di Kyev alla NATO predisposto già da George W. Bush ha infatti convinto i governi ucraini a rivolgersi al vicino turco – separato solo dal Mar Nero – come referente importante nel bilanciamento di forze, rappresentato dall’esercito di Ankara, il secondo più numeroso dell’Alleanza Atlantica.

Al contrario, una via diplomatica impone anche per Putin di fare concessioni sul Donbass e la smilitarizzazione della Crimea.

Senz’altro le dinamiche geopolitiche in un contesto di crisi sanitaria e climatica è acuito dalla latitanza del multilateralismo, sempre più bloccato da veti incrociati al Consiglio di Sicurezza ONU e dalla rimonta degli interessi strategici nazionali sulle questioni estere.

Perciò l’approccio della Fondazione Rosa Luxemburg verte sulla necessità di un internazionalismo solidale con le popolazioni, che rischiano di subire come sempre i danni maggiori di un nuovo conflitto armato, mostrandosi del resto più lungimiranti di molti governi, per la propensione a compromessi pacifici con la Russia e l’evidente disinteresse all’adesione ucraina al patto atlantico.

Le immagini ampiamente diffuse dai media europei dei campi di addestramento di civili, organizzati nei fine-settimana dagli ultranazionalisti filo-nazisti del battaglione Azov, rilanciano invece la scioccante retorica dell’orgoglio patriottico e dello scontro senza quartiere.

Proprio per evitare ulteriori provocazioni, anche Bilous invoca un rilancio del multilateralismo con il dispiegamento di forze d’interposizione delle Nazioni Unite in Donbass, così da evitare il confronto diretto fra interessi evidentemente inconciliabili sul terreno.

In questa situazione però il silenzio più assordante, forse proprio per i postumi della cattività pandemica, resta quello della società civile e del mondo pacifista che, pur stordito dai continui shock – economici, sanitari, climatici, bellici – di un sistema capitalistico predatorio, cerca ora di rialzare la voce, con la mobilitazione per la pace, lanciata per il prossimo sabato da Peacelink e dalla Rete Italiana Pace e Disarmo.

Proprio partendo dal presupposto che la guerra è un crimine contro l’umanità e che nessuno dei contendenti sembra escludere l’eventualità di un conflitto armato, si sollecitano posizioni di neutralità attiva, per scongiurare – come scrive Alex Zanotelli – il “momento drammatico della storia umana” minacciata da “un inverno nucleare” e “dall’estate incandescente” della crisi ambientale. Le mobilitazioni rilanciano il rifiuto ad avventurismi bellici, il ritiro dei rispettivi contingenti militari dai confini ucraini, la cessazione degli armamenti ad un paese in conflitto e la definizione della neutralità dell’Ucraina.

In una fase di interessi nazionali contrastanti, l’auspicio è che quella ‘terza potenza mondiale’ come veniva definita la comunità pacifista all’inizio del millennio possa davvero rilanciare le evidenze della necessità di una vera cooperazione, che metta al centro l’approccio umanitario.

Tommaso Chiti

INFO:

https://www.european-left.org/no-to-war-taking-political-initiative-for-de-escalation/

https://www.rosalux.de/publikation/id/45718/linke-vorschlaege-fuer-eine-deeskalation-im-donbas

https://www.peacelink.it/campagne/index.php?id=104&id_topic=3

23/2/2022 https://transform-italia.it

Tags: Biden Donbass Guerra guerre NATo movimento per la pace NATO pace Putin Rete Italiana per il Disarmo Russia Ucraina Unione Europea
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Autore: franco.cilenti

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