Arresti a Roma. Stanata la complicità con la “non sicurezza” sul lavoro.

Arresti a Roma. Stanata la complicità con la "non sicurezza" sul lavoro

Roma. Con Operazione Vetruvio, la Capitale è stata ferita da una nuova inchiesta e da rinnovati scandali, ma al peggio non ci si può e non ci si deve mai abituare. 28 persone indagate tra dipendenti e funzionari di Municipi e ASL, indegni rappresentanti di un rituale e squallido mazzettificio fuori dall’inchiesta di Mafia Capitale, di cui 6 agli arresti, 16 ai domiciliari, 6 con l’obbligo di firma e 40 perquisizioni in abitazioni e uffici.

Ma quello che colpisce, e deve colpire, sono le motivazioni dell’arresto dei funzionari dello Spresal, che è il Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro delle ASL. Le indagini li individuano come coloro che avrebbero “sorvolato” sulle irregolarità nei cantieri in cambio di tangenti, che entrano quindi a pieno titolo tra i potenziali mandanti del migliaio circa di morti all’anno sul lavoro.

Queste persone e questi comportamenti offendono tutti noi e mortificano l’impegno serio e responsabile di tanti Ispettori e Tecnici della Prevenzione, che svolgono con coscienza il proprio lavoro ma operano in condizioni molto difficili in quanto falcidiati da anni nell’organico, e sono quindi nella orribile condizioni di poter effettuare un controllo ordinario nello stesso luogo di lavoro solamente ogni 30 anni, intervenendo nella stragrande maggioranza dei casi solo sulle emergenze o su segnalazioni dirette.

I morti sul lavoro del 2014 hanno superato quelli del 2013 e, purtroppo, il 3 gennaio 2015 registriamo già il primo morto sul lavoro, un operaio romeno di 39 anni caduto da un tetto di un capannone in via Salaria, sempre a Roma. Tra l’altro l’aumento dell’età pensionabile ha fatto crescere gli incidenti tra gli over 50 e oltre, la precarietà del lavoro fa tacere le denunce e, con il ricatto dei licenziamenti facili previsti dal Jobs Act, tutto questo potrà solo peggiorare se non si pongono rimedi.

Ma solo le stragi bucano pietosamente i media, come quella ferroviaria di Crevalcore, della Thyssen, della Umbria Olii o dei lavoratori cinesi di Prato, le singole vittime fanno poca notizia, eppure è in atto una vera guerra , che sul lavoro lascia morti e feriti quasi ogni giorno.

E’ in questo quadro che si inserisce la meschinità e l’indecenza delle mazzette per coprire colpevoli mancanze sulla prevenzione e sulla sicurezza sul lavoro, che di certo non possono essere equiparate a nessun altro tipo di illecito, sia esso edilizio o di altro genere, perchè a volte basterebbe davvero poco per salvare una vita umana: scarpe e dispositivi antiscivolo, caschi, imbracature, segnalatori acustici e/o visivi, manutenzione dei dispositivi antincendio con annesse esercitazioni di evacuazione in casi di emergenza, aggiornamento costante e condiviso del DVR (Documento di Valutazione dei Rischi), solo per citarne alcune.

Da anni rivendichiamo la certezza della pena per questo tipo di reati, ma mai nessun responsabile che sacrifica vite umane sull’altare dello sfruttamento e del profitto ha mai pagato il conto, come testimoniano in questi giorni l’indecente accordo governativo sull’Ilva e la prescrizione ai padroni Eternit di Casale Monferrato, dove in entrambi i casi l’assenza di prevenzione e le poche norme esistenti mai rispettate hanno coinvolto, in questo disastro di morti e infortuni, non solo i lavoratori ma anche i loro familiari e semplici cittadini del territorio circostante.

Si esprime invece scetticismo sul tentativo di istituire una Agenzia Unica che aggreghi tutti i diversi livelli ispettivi rapresentati da Inps, Inail, ASL e fisco, soprattutto se rivendicata dal ministro Poletti che la descrive come una “operazione di semplificazione, efficienza, risparmio e meno complicazioni per le imprese, per disturbare di meno l’azione degli imprenditori”; e già questo basterebbe per lasciarci consapevolmente preoccupati. In realtà, senza confondere e depotenziare i diversi ambiti ispettivi di intervento, ma rafforzando e valorizzando invece le diverse competenze, sarebbe invece più prezioso ed efficace creare forme di interazione e soprattutto di scambio di informazioni in tempo reale tra i diversi livelli ispettivi per evitare di sovrapporsi, ignorarsi e/o intralciarsi per assenza totale di coordinamento, limiti questi da superare e da gestire per disturbare invece di più l’azione degli imprenditori sordi al rispetto di tante leggi che esistono, ma andrebbero almeno rispettate. Di certo la proposta governativa non è la soluzione del problema.

E ancora una volta facciamo risuonare la nostra richiesta di tutelare istituzionalmente gli RLS da eventuali ricatti e ritorsioni padronali nel corso del loro mandato, prevedendo anche un ovvio aumento numerico di questa figura sindacale e soprattutto di prevedere nel più breve tempo possibile nuove e massicce assunzioni di Ispettori del Lavoro e Tecnici della Prevenzione, due figure essenziali e complementari tra di loro, ma ancora oggi decisamente e gravemente insufficienti a gestire la sicurezza nei luoghi di lavoro e a diffondere soprattutto la cultura della prevenzione.

Pretendiamo di vivere in un Paese normale e civile dove si esce da casa per andare a lavorare e si può e si deve tornare a casa vivi ed in buona salute; per questo, se verranno accertate le responsabilità, la gravità di queste tangenti va molto oltre il semplice, comune e odioso reato di corruzione, ma tocca le nostre coscienze e lacera le nostre vite.

Daniela Cortese

RLS Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza sul Lavoro;  Comitato 5 Aprile per la sicurezza nei luoghi di lavoro, nodo romano della Rete Nazionale

9/1/2015

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