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Commenti di Mauro Biani

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    Altra Informazione, Blog, Comitati di Lotta, Cronache di Lavoro, Cronache Politiche, Cronache Sindacali, Cronache Sociali, Politiche di Rifondazione, sanità e salute — Novembre 12, 2017 9:06 am

    Ma intanto Governo e Cgil-Cisl-Uil si stanno accordando, chi piu’, chi meno, sui numeri lasciando invariate le cose, ossia senza rimettere in discussione la Fornero e il metodo contributivo che ha ridotto il potere di acquisto dell’assegno previdenziale.

    Aspettativa di vita e pensioni: un concetto astratto per impedire concretamente l’acceso all’assegno mensile a milioni di lavoratori

    Pubblicato da franco.cilenti

    pensionata al lavoro

    L’aumento dell’età pensionabile in base alle aspettative di vita è stata una trovata geniale per allungare l’età lavorativa, peccato che a nessuno dei sindacati rappresentativi sia venuto in mente che solo contrastando la Fornero, e impedendone l’approvazione con scioperi e il blocco del paese, avrebbero scardinato questo meccanismo che, da qui a pochi anni, ci farà lavorare fino a 70 anni

    Il problema sta quindi al monte, ossia in una Riforma Previdenziale (la Fornero) che determina aumento dell’età pensionabile con in base alle aspettative di vita. Non è mai troppo tardi per avviare una seria riflessione sulle ragioni per le quali non una sola ora di sciopero sia stata convocata contro quella Riforma, passata nel silenzio assenso di Cgil Cisl Uil, al contrario di quanto accaduto in Francia, Belgio e Spagna con decine di scioperi in difesa delle pensioni.

    Dal canto suo l’Istat, a fine Ottobre, ha confermato che l’aspettativa di vita a 65 anni si allunga, cinque mesi in più rispetto al 2013. L’Istat conferma le stime a supporto della Fornero e , dal 2019, la pensione di vecchiaia scatterà a 67 anni e non più a 66 anni e 7 mesi, insomma 5 mesi in piu’ in attesa del 2019, anno in cui viene previsto un ulteriore aumento della età lavorativa.

    Ma siamo cosi’ sicuri che si viva meglio e piu’ a lungo, oppure è solo un problema economico da giustificare con studi, statistiche appositamente costruite ? A leggere i dati Inps si capisce che l’innalzamento dell’età pensionabile prevede un risparmio di 141 miliardi di euro.
    Sempre L’istat parla di una età media per le donne attorno a 85 anni e per gli uomini sugli 80, peccato che gli anziani di oggi siano andati in pensione 20 anni fa con una vita lavorativa sicuramente meno gravosa di quella dei loro figli e dei loro nipoti.
    Sulla qualità della vita, e incide anche sulla sua stessa durata, bisogna poi aprire una riflessione non solo statistica, dipende insomma da quanto hai lavorato,dalla prevenzione di malattie con quel sistema di controlli e di esami che il vecchio welfare state permetteva con il pagamento di abbordabili ticket e senza liste di attesa di mesi.
    Solo nell’ultimo anno, 11 milioni di italiani hanno rinunciato nell’ultimo anno ad almeno una prestazione sanitaria, siamo certi di vivere piu’ a lungo e in salute e cosi’ giustificare l’aumento dell’età pensionabile fino a 70 anni di età?
    Oppure oggi andiamo a prendere come parametro di lavoro chi è riuscito ad andare in pensione in una età accettabile e con assegni previdenziali dignitosi che hanno sicuramente alzato la qualità delle loro vite? Ma nel frattempo il sistema retributivo è scomparso, nel corso della vita lavorativa ci sono anni di precariato, le cure mediche sono sempre piu’ care e la mobilità urbana sta diventando un fattore di stress e di logoramento psicofisico. Allora alla luce di queste considerazioni elementari, siamo certi di asserire che la qualità e l’aspettativa di vita siano in continua crescita da determinare l’aumento della stessa età lavorativa?
    Noi pensiamo di no e anche in questo caso le statistiche e gli studi commissionati sono funzionali ad un obiettivo politico e di scientifico hanno bene poco.

    In Commissione Parlamentare hanno una proposta, una sorta di compromesso che parte dei sindacati ha già accettato, ossia esentare alcune figure lavorative dall’aumento dell’età pensionabile a 67 anni.
    Nel 2019 allora potrebbero essere 15 le categorie di lavoratori esentati perchè impiegati in attività gravose, ossia le 11 già previste dell’Ape social ai quali aggiungere agricoli, pescatori, marittimi e siderurgici e a condizione che abbiano svolto anche negli ultimi anni di lavoro (6 anni almeno su 7) queste mansioni particolarmente gravose. Significativo è trovare le educatrici delle scuole materne e dei nidi, le addette alle pulizie, i facchini della logistica e gli operatori ecologici in questa lista, almenosi inizia a riconoscere la gravosità di questi lavori.

    Tradotti in numeri, dovrebbero essere esentati tra 15 e 17mila lavoratori, il 10% delle pensioni di vecchiaia nell’anno 2019.
    Se avessimo dei sindacati dignitosi dovrebbero rimettere in discussione la Legge Fornero, invece si limitano a chiedere di allargare la platea degli esentati, insomma una questione di numeri (o di tessere) e non di sostanza. L’aumento dell’età lavorativa è un fattore negativo per le giovani generazioni in cerca di lavoro e un fattore determinante che peggiora la qualità della vita di molti lavoratori e lavoratrici. Poi, non dimentichiamo che in pensione si va sempre piu’ tardi anche perchè i contributi versati sono esigui e prospettano solo una vecchiaia da fame, questa è una delle conseguenze non solo del precariato ma anche del sistema di calcolo previdenziale sul modello contributivo che nasce da quanti contributi hai versato nell’intera vita lavorativa e non piu’ sulle retribuzioni percepite negli ultimi anni (il risparmio derivante dall’applicazione del metodo contributivo è servito per pagare gli interessi del debito secondo i dettami della BCE).

    Ma intanto Governo e Sindacati si stanno accordando, chi piu’, chi meno, sui numeri lasciando invariate le cose, ossia senza rimettere in discussione la Fornero e il metodo contributivo che ha ridotto il potere di acquisto dell’assegno previdenziale.
    Il confronto invece verte su altro, magari per ridurre i sei anni richieste o , cosa piu’ plausibile, abbassare la soglia dei 36 anni di contributi necessari per la esenzione.

    Altro aspetto rilevante è l’astrattezza del concetto di aspettativa di vita che dovrebbe essere relazionato alle attività lavorative svolte, dubitiamo che in media gli addetti a mansioni gravose abbiano una vecchiaia piu’ lunga e in salute degli altri. I meccanismi astratti, costruiti solo per contenere la spesa pubblica, si sono rivelati spesso fuorvianti ed errati, basterebbe ricordare la spending review.
    Anche il pensionamento anticipato con 41 anni di contributi versati per chi aveva lavorato almeno 12 mesi prima d’aver compiuto 19 anni , come previsto dalla scorsa Legge di stabilità, si sta dimostrando un boomerang con due terzi delle domande rifiutate dall’Inps e i beneficiari che risultano assai meno di quanto detto dal Governo (ma sulle domande respinte e sulle ragioni di questa decisione i sindacati hanno aperto un contenzioso con l’inps?).

    Se poi in ambito governativo la volontà generale è quella di trovare un accordo con i sindacati complici, dall’altra non mancano divisioni sulle scelte da operare, per esempio c’è chi, come il presidente dell’Inps Boeri, parla di cambiamenti da portare anno dopo anno verificando puntualmente l’aumento della speranza di vita.
    Ricordiamo intanto gli appuntamenti già previsti per rivedere la speranza di vita, sono le scadenze caldendarizzate per aumentare l’età lavorativa: 2019, 2021, 2023 e 2025. La proposta Boeri allora potrebbe dimostrarsi ancora peggiore della Fornero accellerando ulteriormente l’innalzamento della età pensionabile, non a caso proprio l’Inps chiede con maggiore insistenza di allungare la vita lavorativa.
    Mai fidarsi dei liberal guidati dal contenimento della spesa, ma altrettanto possiamo dire di sindacalisti, parlamentari ed opinionisti impegnati , in questi giorni, a costruire una verità assoluta sulla manovra economica del Governo. Ma alla fine tutti canteranno vittoria, eccetto chi si ritroverà nelle condizioni di prima ossia con servizi sanitari scadenti e insufficienti, assegni previdenziali da fame, retribuzioni sempre piu’ vicine alla soglia di povertà. Una miseria che non è solo economica ma umana, culturale e sociale.

    Federico Giusti

    12/11/2017 www.controlacrisi.org

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