Bergamo, due anni dopo

Osio di Sotto, paesino della bergamasca a pochi chilometri da Dalmine, un tempo noto polo industriale della zona. 18 marzo 2022, due anni prima, nella stessa data, durante la notte, la città di Bergamo veniva attraversata da camion militari carichi di dolore e di morte. Erano le vittime del Covid, o meglio ancora dell’ignavia delle istituzioni, locali, regionali e nazionali, i cui corpi non trovavano più posto nei cimiteri e che venivano portati in altre regioni per essere cremati. Quelle immagini non dovevano neanche apparire ma gli automezzi facevano un rumore tale da risvegliare gli abitanti dei palazzi lungo la strada. In molte e molti, comprendendo il loro contenuto, ripresero con i cellulari il loro passaggio e la notizia divenne un pugno nello stomaco per tutto il Paese. Chissà se il pugno venne avvertito o meno da coloro che tendevano a sminuire la tragicità di quanto stava accadendo, da chi voleva impedire che le attività produttive si fermassero, da chi considerava la morte, soprattutto di persone anziane, come ragione non sufficiente per fermare l’economia. Il lockdown era già scattato da 10 giorni, troppo tardi per molte e molti, ma si continuava a dire che ne saremmo usciti presto, che “eravamo tutti nella stessa barca”, che ci si stava attrezzando, mentre ad ogni giorno che passava, a quel terribile appuntamento televisivo delle ore 18.00 aumentava il conteggio delle vittime, persone senza volto e senza storia per chi era addetto alle rilevazioni statistiche.

Già da 3 mesi almeno sarebbe dovuto scattare un allarme, prendere le necessarie decisioni, assumersi responsabilità politiche e operative, ma non accadde mentre intere valli, soprattutto in provincia di Bergamo e Brescia, ma poi in tutta la Lombardia e poi il Piemonte e il Veneto, fino ad estendersi in tutto il Paese, accadeva quello che per i profani era immaginabile, ma solo per i profani. Un piano pandemico, infatti, c’era e non venne attivato, le diverse istituzioni si rimpallarono a lungo – e tuttora continuano a farlo in sede legale – le responsabilità dell’accaduto, questo mentre si moriva nelle case, mancavano i dispositivi di protezione per chi operava nella sanità, avveniva la strage silenziosa nelle RSA, si accavallavano DPCM, interventi di virologi, dibattiti che generavano confusione e distorcimento della realtà.

Ritrovarsi due anni dopo con i parenti delle vittime, con i loro coraggiosi legali, con i pochi rappresentanti di istituzioni e forze politiche che non si sono voltati dall’altra parte, con giornaliste e giornalisti che hanno cercato di fare il proprio mestiere, procura un effetto difficile da raccontare. Mentre ormai il Covid è ridotto a notizia di cronaca, sicuramente grazie anche ai vaccini, ma soprattutto perché sopravanzato dall’allarme bellico, quegli uomini e quelle donne che hanno perso i propri cari, senza spesso poter neanche star loro vicini negli ultimi istanti, senza neanche poter elaborare il lutto nelle cerimonie funebri, perché i corpi dovevano essere portati via, hanno deciso di rincontrarsi e di incontrare coloro che ritengono, per motivazioni diverse, di aver sentito vicini.

Il silenzio suonato con la tromba e poi le immagini terribili di quei camion, le voci e i rumori di quei giorni da cui sembra trascorsa un’era geologica, da cui chi domina ed è responsabile, vorrebbe creare una barriera affinché prevalga la vigliaccheria dell’oblio sono stati il punto di partenza di una serata forte, solidale, in cui il messaggio potente che i protagonisti sono riusciti a portare non era di morte ma di vita. Ed è stata raccontata la storia, il modo con cui attraverso un uso intelligente dei social, tante persone rimaste sole col proprio lutto, hanno trovato spazio nella condivisione, tanto del dolore quanto di una battaglia di civiltà e di diritto.

E i familiari che si sono ritrovati hanno fondato un’associazione #SereniSempreUniti, una frase che si ritrova sulle pettorine blu e bianche con cui spesso organizzano iniziative e manifestazioni. Nell’anniversario hanno presentato un libro molto particolare, Quello che resta di una vita, che raccoglie le voci, rigorosamente senza firma, di chi è rimasto e prova a tornare a quei giorni, a ripercorrere percorsi duri da esprimere ma che, insieme, ricostruiscono comunità e collettività.

Nella serata organizzata per l’anniversario hanno voluto avere con sé persone provenienti da tutta Italia, spesso di diametralmente opposta appartenenza politica ma che, con i propri strumenti, hanno deciso, in questi due anni, di schierarsi apertamente anche contro chi negava l’evidenza, anche contro chi, per “vicinanza politica”, poteva sembrare opportuno non attaccare. Un momento toccante e forte di affermazione di civiltà, di reale esperienza di quella democrazia spesso così lontana dai palazzi del potere. Non a caso fra i giornalisti mancavano gran parte dei rappresentanti delle maggiori testate mainstream, fra gli esponenti politici c’erano singoli di cui spesso neanche si conosceva l’esistenza pur ricoprendo ruoli importanti. Uno spaccato di Paese “altro” che chi continua a vivere nella ricerca di verità e giustizia, ha imparato a riconoscere e distinguere. Il team di legali che fa parte di questo mondo continua a fornire materiale prezioso di cui le procure sembrano voler far tesoro e se, come purtroppo sembra, non si arriverà a quella commissione di inchiesta parlamentare con ampi margini di manovra, da tempo inutilmente evocata, almeno i tribunali potrebbero portare a giungere ad una verità giudiziaria che inevitabilmente potrà diventare pesante giudizio politico su un sistema che è stato incapace di reagire e di proteggere i propri cittadini.

Sarà importante continuare a seguire le loro vicende, mantenere il legame forte con l’associazione, con i legali, con quella pattuglia di giornalisti e di esponenti politici, locali e nazionali, che non si sono fatti imbrigliare da verità di comodo o dalla propaganda di regime perché di questo si tratta. Sarà importante non dimenticare pensando anche al fatto che mentre senza il minimo pudore il governo decide di aumentare a dismisura le già insopportabili spese militari, la pandemia sembra non aver insegnato nulla. Sembra che non si sia voluto capire come quanto avvenuto potrebbe, in forme e con virus diversi, facilmente ripetersi – tuttora si continua, nonostante i vaccini a morire di Covid – sembra che non si voglia accettare la necessità di un articolato e capillare sistema sanitario pubblico capace di garantire immediatamente i servizi necessari. Ma viviamo in un Paese in cui è considerata “legittima opinione” affermare che i camion carichi di bare siano stati una messa in scena ordita da chissà quali forme di potere occulto, in un Paese che guai a mettere in discussione la sospensione dei brevetti in mano a Big pharma, in cui dopo aver celebrato come eroi gli uomini e le donne del personale sanitario costretti ad intervenire senza strumenti di protezione, ora li si licenzia, ce se ne libera, perché hanno avuto solo contratti precari e a termine, perché oggi non servono più, sono un peso che impedisce di comprare nuove armi o di far arricchire chi con la pandemia ha cinicamente guadagnato.

Per questo un grazie sentito a chi ha organizzato la serata del 18 marzo. Chi scrive ha avuto come privilegio il fatto di aver incontrato Consuelo Locati, Robert Lingard, gli altri legali, Cassandra Locati (presidente dell’associazione), di averne ascoltato le voci e averle potute riportare su mezzi di informazione spesso di nicchia. Ricevere un riconoscimento per questo privilegio ricevuto, un “grazie”, vero e concreto scritto su carta ma che si leggeva ancora di più sui volti rappresenta, per chi fa il nostro mestiere, un’esperienza indimenticabile.

Stefano Galieni

23/3/2022 https://transform-italia.it

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