Braccianti, facchini, migranti e curdi

Il 12 novembre del ’98, giunse a Roma Abdullah Öcalan. Centinaia di curdi e solidali italiani sono scesi in piazza ieri, sabato 12 novembre, tra Roma, Napoli, Venezia, Parma, Brescia, Milano, Firenze, Trieste, Genova, Ragusa, Bari, Catania, Reggio Calabria, Martano di Lecce. Una giornata di mobilitazione lanciata dalle comunità curde e dall’Uiki, Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia, e dalla Rete Kurdistan Italia. La repressione del governo e del presidente turco ha raggiunto un nuovo picco: Selahattin Demirtas e Figen Yüksekdag e altri 11 deputati del Partito Democratico dei Popoli (HDP) sono stati arrestati in tutta la Turchia. Da quando l’HDP ha ottenuto una storica vittoria alle elezioni del 7 giugno 2015, è diventato il principale obbiettivo delle politiche autoritarie dell’AKP. Nonostante la proclamazione di nuove elezioni nel novembre 2015 e numerosi attacchi contro dirigenti e strutture del partito, l’HDP è riuscito ad entrare di nuovo in parlamento superando l’antidemocratica soglia del 10%, ottenendo 59 seggi che hanno rappresentato il principale ostacolo all’introduzione di un sistema presidenziale in Turchia. Venerdì, il ministero turco degli Interni ha chiuso 370 associazioni accusate di avere legami con la rete di Fethullah Gulen, predicatore accusato di essere la mente del tentato golpe del 15 luglio, ma anche con i curdi del Pkk e con il sedicente Stato islamico (Is). Lo annunciato il ministero, come riportano i siti di Ankara. Almeno 190 delle associazioni a cui è stata imposta la chiusura sono accusate di legami con il Pkk, mentre altre 153 avrebbero a che fare con Gulen. Diciannove delle associazioni sciolte dal ministero sarebbero legate al Partito-Fronte rivoluzionario per la liberazione del popolo, organizzazione fuorilegge di estrema sinistra. Le rimanenti avrebbero legami con l’Is.

Il 30 ottobre, Gülten Kisanak e Firat Anli, co-sindaci della Municipalità di Diyarbakir, eletti democraticamente, sono stati arrestati e messi in carcere. Al loro posto è stato messo un funzionario Ankara. Il numero di municipalità curde gestite da burocrati designati dal governo centrale ora è arrivato a 28. Circa 30 sindaci eletti democraticamente si trovano in carcere e altri 70 sono stati destituiti dal governo centrale. Dal tentativo di colpo di stato del 15 luglio 2016, l’AKP ha colto l’occasione per eliminare qualsiasi opposizione. Con la dichiarazione dello stato di emergenza, migliaia di dirigenti, consiglieri comunali e provinciali, sono stati incarcerati con accuse prive di fondamento. Non c’è libertà di espressione e di stampa, libertà accademica, né un sistema giudiziario giusto e indipendente. Sono stati epurati migliaia di accademici, docenti, avvocati e giuristi. Con i decreti del governo oltre 170 organi di informazione sono stati vietati. Più di 130 giornalisti sono in carcere, compresi autori e intellettuali di fama internazionale. Recentemente due agenzie stampa DIHA e JINHA (unica al mondo fatta di sole donne) e diversi quotidiani curdi sono stati chiusi; i redattori i e giornalisti del quotidiano Cumhuriyet sono stati arrestati. Da luglio 2015 più di 80.000 persone sono state poste in detenzione e in gran parte si trovano ancora in carcere.

A Benevento, decine di attivisti del comitato campano di solidarietà con il Kurdistan hanno occupato a scopo dimostrativo l’azienda AgustaWestland, una società del gruppo Leonardo-Finmeccanica e quindi una controllata del governo italiano che vende da anni gli elicotteri militari, i micidiali T129, alla Turchia. Un’iniziativa che vuole denunciare la vergogna del commercio di armi verso un regime, quello del presidente Erdogan, sempre più autoritario e dittatoriale, con decine di migliaia di arresti di attivisti, funzionari pubblici, giornalisti  e insegnanti solo negli ultimi mesi, la chiusura di centinaia di riviste e associazioni, le violenze e gli assassini soprattutto nei confronti della minoranza curda, a partire dalla guerra sporca nel Kurdistan del Nord con centinaia di civili uccisi solo nell’ultimo anno, per finire ai bombardamenti in Siria nel Rojava e al sostegno ormai svelato alle bande dell’Isis. Un commercio sporco di sangue e palesemente illegale, non solo perchè viola il dettato Costituzionale, ma anche la legge 185 del 1990 che vieta espressamente la vendita e perfino il transito di armi verso “paesi in guerra o che non rispettano i diritti umani” e quale migliore definizione delle attuali pratiche dello Stato Turco (membro per altro della Nato)!
L’Italia è di gran lunga il primo esportatore europeo di armi verso la Turchia con quasi il 50% delle vendite complessive. Per questo il disappunto di circostanza del premier Renzi (e della UE) rispetto agli ultimi gravissimi avvenimenti, appare del tutto formale e ipocrita se non viene immediatamente rotta questa complicità a partire naturalmente dalle aziende controllate dal governo. Esattamente questo rivendicava l’azione di ieri, nella giornata nazionale di mobilitazione e di solidarietà verso il popolo Curdo.

Le comunità curde sono preoccupate per il perdurare della segregazione del leader del popolo curdo Abdullah Öcalan, vero artefice del processo di risoluzione democratica al quale ha messo fine unilateralmente il regime turco, che invece sta scatenando una guerra senza confine contro il popolo e la resistenza curda.

E’ stato chiesto il rilascio immediato dei co-presidenti, deputati e dirigenti dell’HDP, la fine della detenzione dei sindaci nelle municipalità della regione curda in Turchia e della politica del governo turco, che con l’obbiettivo di cancellare le conquiste democratiche del movimento curdo – che rappresentano un possibile modello di convivenza per tutto il Medio Oriente – unitamente a vecchie rivendicazioni territoriali, rischia di trascinare la regione nel baratro.

Anche i curdi condannano l’atteggiamento dell’Unione Europea e delle Istituzioni Internazionali che hanno assistito alla degenerazione autoritaria in Turchia senza assumere alcuna iniziativa concreta, l’ipocrisia dell’UE e del governo italiano che finge di non vedere civili uccisi sul confine turco o attaccati nell’Egeo e ignora lo sfruttamento, in particolare dei bambini,gli innumerevoli casi di violenze e abusi sessuali su donne e minori. Si reclama l’immediata cessazione dei rapporti diplomatici e commerciali con la Turchia e la sospensione delle trattative per l’ingresso nella UE.

Tutto ciò nel giorno della mobilitazione nazionale dei e delle migranti che a Roma nello stesso giorno hanno sfilato fin quasi al Viminale: «La loro lotta è la nostra lotta».

Poco dopo le 15, un corteo s’è mosso da piazza Porta San Giovanni a piazza dell’Esquilino con i lavoratori delle campagne, spesso immigrati irregolari sfruttati fino allo stremo in virtù del loro status, per chiedere maggiori diritti. Hanno aderito numerosi movimenti provenienti da tutta Italia. Si Cobas, No Tav, Movimenti per il diritto all’abitare ed associazioni che si occupano di assistenza ai migranti insieme per rivendicare «la regolarizzazione per i lavoratori e le lavoratrici delle campagne privi di permesso di soggiorno; l’abolizione di campi di lavoro di qualsiasi natura (ghetti, tendopoli, campi container); accesso alla residenza per tutte e tutti; stop alle deportazioni interne ed internazionali; ed apertura di canali di ingresso e transito e libertà di circolazione». Ad aprire il corteo, animato da circa 2 mila persone, in gran parte migranti provenienti dalle campagne del sud, un grande striscione che riassume lo spirito della protesta: ‘Liberi di abitare questo mondo basta ricatti repressione, sfruttamento’.

Francesco Ruggeri

13/11/2016 http://popoffquotidiano.it

 

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