British medical journal: “Sull’efficacia al 95% del vaccino Pfizer dateci tutti i dati per risolvere i dubbi”

Chi scrive non intende schierarsi con i no vax, tutt’altro, si augura che i vaccini arrivino presto e funzionino davvero. Il Salvagente, proprio per la sua stessa natura, non può che avere un atteggiamento laico nei confronti di questi temi, come li ha nei confronti di molti altri. E dunque anche nel caso dei vaccini contro il Covid19, osservare e riportare il dibattito scientifico, senza censure. Specie se il dibattito è orientato a favorire la messa a disposizione dei dati necessaria per dare avvio a quello che è sempre stato il compito di una scienza indipendente: il controllo, democratico e universale, di qualunque asserzione. È questo che avviene sempre e che dà credibilità a un qualunque studio: il fatto che possa essere smontato e rimontato da altri scienziati, in ogni luogo e in qualsiasi momento, e possibilmente (e vogliamo aggiungere sperabilmente quando si tratta di vaccini contro il Covid) alla fine validato.

Fine della premessa, necessaria a raccontarvi quella che molti scienziati in tutto il mondo e in casa nostra stanno definendo “una bomba”. Esplosa tra addetti ai lavori (e non ci sembra ancora emersa nell’opinione pubblica) il 4 gennaio scorso, quando sul British medical journal è stata pubblicata l’opinione di Peter Doshi, editore associato dell’autorevole giornale medico internazionale, dal titolo “Peter Doshi: Pfizer and Moderna’s “95% effective” vaccines—we need more details and the raw data” (Pfizer e Moderna “95% di efficacia” – abbiamo bisogno di dettagli e dati grezzi).

L’autore – professore di ricerca sui servizi sanitari farmaceutici dell’Università del Maryland –  già poco più di un mese fa aveva sollevato domande sui risultati delle sperimentazioni sui vaccini covid-19 di Pfizer e Moderna, quando tutto ciò che era di dominio pubblico erano i protocolli di studio e alcuni comunicati stampa.

Oggi, spiega Doshi, sono disponibili due pubblicazioni su riviste e circa 400 pagine di dati di riepilogo sotto forma di più rapporti presentati da e alla FDA prima dell’autorizzazione di emergenza dell’agenzia per il vaccino mRNA di ciascuna azienda. E su questi dati l’editore associato di Bmj ragiona, concludendo che “Mentre alcuni dei dettagli aggiuntivi sono rassicuranti, altri no”.

Il problema dei sospetti covid-19

Tutta l’attenzione – scrive Doshi – si è concentrata sui risultati di efficacia ma per quanto riguarda Pfizer questi numeri sono pesantemente condizionati da una categoria di malattia chiamata “sospetto covid-19”, chi in sostanza è risultato sintomatico al covid-19 ma la cui positività non è stata confermata dalla PCR, ossia dal tampone molecolare. Secondo il rapporto della FDA sul vaccino della Pfizer, ci sono stati “3.410 casi totali di covid-19 sospetti ma non confermati nella popolazione complessiva dello studio, 1.594 si sono verificati nel gruppo vaccino contro 1816 nel gruppo placebo”.

“Con 20 volte più casi sospetti rispetto a quelli confermati – osserva Doshi – questa categoria di malattia non può essere ignorata semplicemente perché non c’è stato un risultato positivo del test PCR. Anzi, questo rende ancora più urgente capire. Una stima approssimativa dell’efficacia del vaccino contro lo sviluppo di sintomi di covid-19, includendoli tra i positivi, porterebbe a una riduzione del rischio relativo del 19%, molto al di sotto della soglia di efficacia del 50% per l’autorizzazione fissata dalle autorità di regolamentazione”. L’editore ammette che alcuni di questi casi di sintomatologia non confermata possano derivare dagli effetti collaterali del vaccino nella prima settimana, ma osserva: “Anche dopo aver rimosso i casi verificatisi entro 7 giorni dalla vaccinazione (409 sul vaccino Pfizer vs 287 sul placebo), che dovrebbe includere la maggior parte dei sintomi dovuti alla reattogenicità del vaccino (cioè la capacità di indurre effetti collaterali e reazioni indesiderate, ndr) a breve termine, l’efficacia del vaccino rimane bassa: 29%”.

Dunque, in parole povere, se chi ha sviluppato la sintomatologia ma non ha avuto le conferme dal tampone, rientrasse nella categoria dei positivi al Covid, l’efficacia del vaccino Pfizer sarebbe meno di un terzo di quella dichiarata del 95%.

E come potrebbe essere considerato infetto un paziente che ha sintomi ma una PCR negativa?

Qui Doshen formula un’ipotesi: “Se molti o la maggior parte di questi casi sospetti riguardassero persone che avevano un risultato del test PCR falso negativo, ciò diminuirebbe drasticamente l’efficacia del vaccino”.

Dubbi, lo ammette lo stesso Doshi, che meriterebbero un contraddittorio basato sui numeri.

“C’è una chiara necessità di dati per rispondere a queste domande, ma il rapporto di 92 pagine di Pfizer non menzionava i 3410 casi di “sospetto covid-19”. Né la sua pubblicazione sul New England Journal of Medicine. Nemmeno I rapporti sul vaccino di Moderna. L’unica fonte che sembra averlo riferito è la revisione della FDA del vaccino della Pfizer”, scrive il medico.

I 371 esclusi dall’analisi di efficacia del vaccino Pfizer

E questo non è l’unico aspetto che non convince Doshi. “Un altro motivo per cui abbiamo bisogno di più dati è analizzare un dettaglio inspiegabile trovato in una tabella della revisione della FDA del vaccino di Pfizer: 371 individui esclusi dall’analisi di efficacia per “importanti deviazioni del protocollo entro o prima di 7 giorni dopo la dose 2”. Ciò che preoccupa è lo squilibrio tra i gruppi randomizzati nel numero di questi individui esclusi: 311 dal gruppo del vaccino contro 60 del placebo. Quali erano queste deviazioni dal protocollo nello studio di Pfizer e perché c’erano cinque volte più partecipanti esclusi nel gruppo del vaccino? Il rapporto della FDA non lo dice” è l’osservazione di Doshi.

Comitati poco trasparenti

L’editore del Bmj, spiega anche che si sa poco sui processi dei comitati di aggiudicazione dell’evento primario, quelli che hanno contato i casi covid-19. “Erano all’oscuro dei dati sugli anticorpi e delle informazioni sui sintomi dei pazienti nella prima settimana dopo la vaccinazione?” E quello che si sa non lo convince: “Sebbene Moderna abbia nominato il suo comitato di aggiudicazione composto da quattro membri, tutti medici affiliati all’università, il protocollo Pfizer afferma che tre dipendenti Pfizer hanno svolto il lavoro. Sì, membri dello staff Pfizer”.

Efficacia del vaccino in persone che avevano già il Covid?

Gli individui con una storia nota di infezione da SARS-CoV-2 o una precedente diagnosi di Covid-19 sono stati esclusi dagli studi di Moderna e Pfizer. E questo appare logico, dato la presumibile immunizzazione di cui godevano. Tuttavia, osserva Doshi dalla lettura dei dati disponibili, 1.125 (3,0%) dei partecipanti agli studi di Pfizer e 675 (2,2%) di quelli Moderna sono stati considerati positivi per SARS-CoV-2 al basale ossia al momento iniziale del trial.

“La sicurezza e l’efficacia dei vaccini in questi destinatari non ha ricevuto molta attenzione, ma poiché porzioni sempre più grandi della popolazione di molti paesi possono essere “post-Covid”, questi dati sembrano importanti. Secondo il mio conteggio, la Pfizer ha riportato 8 casi di Covid-19 sintomatico confermato in persone già positive per SARS-CoV-2 al basale (1 nel gruppo vaccino, 7 nel gruppo placebo,) e Moderna, 1 caso (gruppo placebo)”.

E questi numeri fanno riflettere il medico che osserva: “Ma con solo da 4 a 31 reinfezioni documentate a livello globale (ossia un massimo di 31 persone che hanno mostrato di reinfettarsi nuovamente in tutto il mondo), come potrebbero esserci 9 casi confermati di covid-19 tra quelli con infezione da SARS-CoV-2 al basale in studi con un follow-up mediano di due ?”

Abbiamo bisogno dei dati grezzi

Affrontare le molte domande aperte su questi studi richiede l’accesso ai dati grezzi dello studio. Ma nessuna azienda sembra aver condiviso i dati con terze parti a questo punto, osserva Doshi nelle sue conclusioni.

Pfizer afferma che sta rendendo i dati disponibili “su richiesta e soggetti a revisione”. Ciò impedisce di rendere i dati pubblicamente disponibili, ma almeno lascia la porta aperta. Quanto sia aperta non è chiaro, dal momento che il protocollo dello studio dice che Pfizer inizierà a rendere disponibili i dati solo 24 mesi dopo il completamento dello studio”.

Anche sul fronte Moderna i tempi non migliorano: “La dichiarazione sulla condivisione dei dati di Moderna afferma che i dati “potrebbero essere disponibili su richiesta una volta completato il processo”. Ciò si traduce in un periodo compreso tra la metà e la fine del 2022, poiché il follow-up è previsto per 2 anni”.

Forse qualche speranza in più perché gli scienziati abbiano a disposizione tutti i numeri per rispondere ai dubbi viene dall’’Agenzia europea per i medicinali e da quella canadese Health Canada, che  potrebbero condividere i dati per qualsiasi vaccino autorizzato molto prima. L’EMA si è già impegnata a pubblicare i dati presentati da Pfizer sul suo sito web “a tempo debito”, così come Health Canada.

Riccardo Quintili

7/1/2020 https://ilsalvagente.it

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