Bruno Trentin, il «Leone» della lotta partigiana

Il 24 aprile 1945 il futuro segretario Cgil assume il comando della Brigata Rosselli. “Un ragazzo dal sangue freddo eccezionale”: così lo descrivono i compagni

l 24 aprile 1945 Bruno Trentin viene incaricato dal Comando formazioni Giustizia e libertà di assumere il comando della Brigata Rosselli.

Silvio e Bruno Trentin, rientrati in Italia dopo la caduta di Mussolini pochi giorni prima dell’8 settembre 1943, vengono arrestati e imprigionati a Padova a metà novembre, poi liberati ma sotto sorveglianza. In carcere Silvio è colpito da un nuovo attacco di cuore: viene ricoverato prima a Treviso poi a Monastier dove muore nel marzo 1944, dopo aver dettato a Bruno, nel mese di gennaio, un abbozzo di un piano tendente a delineare la figura costituzionale dell’Italia al termine della rivoluzione federalista in corso di sviluppo e redatto un ultimo appello ai lavoratori delle Venezie.

Bruno, che non ha ancora diciotto anni alla morte del padre, si dedica anima e corpo alla guerra partigiana con lo pseudonimo Leone: prima nella Marca trevigiana, soprattutto nelle Prealpi sopra Conegliano, poi, dopo il rastrellamento tedesco dell’estate 1944 a Milano, agli ordini del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia e di Leo Valiani, cui il padre lo aveva affidato prima di morire.

“Bruno – scriveva Luisa Bellina – è un gappista determinato, dal sangue freddo eccezionale. I compagni di lotta ne ricordano il carisma: ti inchiodava con lo sguardo. Più giovane di tutti loro, impartisce ordini, risolve problemi, corre da un posto all’altro con la furia di un ragazzo che aveva solo voglia di divorare, di divorare conoscenze, luoghi, persone”.

Emilio Lussu, in una lettera dell’11 maggio 1945 alla sorella Franca Trentin, lo definisce come “uno dei più audaci capi dell’insurrezione di Milano. (…) È stato semplicemente magnifico e ha rischiato mille volte: gli hanno sparato addosso in tante occasioni e si è sempre salvato. Egli ha in modo luminoso tenuto alto il nome dei Trentin”.

Scrive ancora il 6 giugno: “Capo delle squadre giovanili all’insurrezione di Milano, comandava oltre 2 mila uomini. Ora fa dei comizi nelle fabbriche con successi strepitosi! Se l’è cavata per miracolo. In una spedizione, sullo stesso camion sono morti otto suoi giovani compagni presi di mira dai fascisti che vi lanciavano bombe. Si è salvato solo lui e lo chauffeur. Ha avuto anche altre avventure del genere. Insomma, è in vita. Ed è ben orgoglioso di portare il nome di Trentin”.

“Bruno Trentin o Leone, come lo chiamavamo – ricorderà Leo Valiani – il figlio di Silvio Trentin, un ragazzone massiccio che era stato commissario della ‘Italia libera’ del Grappa, venne da me, silenziosamente, perché facessi di lui, dopo la sconfitta, e come aveva promesso al padre, qualche cosa. Il suo posto, ovviamente, era nelle più ardite squadre di Milano”.

“A Milano – racconterà Trentin – venni inserito in una formazione Gap, che agiva in zone attorno a corso Magenta e corso Washington. A me, però, come ‘giellista’, venne anche dato l’incarico di costituire un’organizzazione militare, che, una volta formata, si chiamò Brigata Rosselli’. Inoltre facevo anche opera di propaganda, servendomi della bicicletta per portare in varie zone la stampa clandestina, e svolsi pure alcune missioni in Valtellina, su mandato del Clnai”.

Racconta ancora Trentin: “Nella notte fra il 24 e il 25 aprile fu deciso tutto. Io ebbi allora l’incarico di occupare il Palazzo dei giornali di piazza Cavour, dove il giorno della liberazione vennero stampati vari quotidiani, fra cui Italia Libera, lo storico organo del Partito d’azione. Il mio compito era quello di garantire la sicurezza del posto. Poi fummo chiamati a proteggere anche la sede del Comune, dove ci furono scontri durissimi con i fascisti della X Mas, con morti e feriti”.

Gli vengono affidate missioni praticamente impossibili quali, ad esempio, il salvataggio di Ferruccio Parri, arrestato e tradotto all’Hotel Regina di Milano prima, a Verona poi (“Io – ricorderà Bruno – a Verona ci andai, ma mi resi subito conto che non ci sarebbe stato nulla da fare. Sarebbe stato come suicidarsi. Parri, i nazisti lo avevano messo nel bunker del Palazzo delle assicurazioni. Impossibile aprirsi un varco. Comunque, assieme ad altri compagni, qualcosa avremmo tentato. Non era uso, allora, rifiutarsi. Per fortuna all’ultimo momento venni avvisato di tornare indietro. Era successo, come del resto è noto, che Parri era stato scambiato con un generale tedesco. Quello scambio salvò la vita a Parri, ma la salvò anche a noi”).

Ma Bruno non si limita a svolgere azioni militari. Partecipa attivamente alla preparazione politica della Liberazione redigendo insieme a Vittorio Foa il proclama per l’insurrezione di Milano.

“Scrivemmo – dirà – assieme l’appello all’insurrezione per Italia Libera”. Era la prima volta che si trattava di scrivere in libertà sul futuro e ci sembrava quasi di sognare. La prima frase sulla quale fummo d’accordo fu “la bandiera rossa su Berlino”. Ora non so che effetto possa fare, ma allora bisogna averli vissuti quei momenti per capire che cosa rappresentava quel simbolo sulla capitale del Terzo Reich hitleriano, che aveva insanguinato l’Europa e che ora finalmente cadeva sconfitto”.

Per la sua partecipazione alla Resistenza riceverà la croce al valor militare con la seguente motivazione: “Partigiano combattente – brigate G.L. – Partecipava con grande slancio alla lotta partigiana. Benché giovanissimo, dimostrava ottime capacità nell’organizzare alcune formazioni, alla testa delle quali compiva numerose azioni e concorreva efficacemente ai vittoriosi combattimenti delle giornate insurrezionali – Treviso – Milano settembre 1943 –  aprile 1945”.

“La Resistenza a Milano – scriverà Alessandro Casellato – è stata decisiva per far entrare Bruno Trentin, appena diciottenne, nella cerchia dei dirigenti nazionali del Partito d’azione. Ma è quella condotta nel Veneto ad averlo toccato più in profondità. In città si era trattato della solita, durissima e alienante ‘clandestinità pura’ che aveva conosciuto anche in Francia; invece, la guerra all’aria aperta sulle colline trevigiane, nella lunga estate del ’44 così ricca di speranze, era stata una rivelazione: Bruno aveva vissuto il suo particolare incontro con l’Italia profonda, con le avanguardie contadine e operaie in lotta, e con le masse rurali in attesa, partecipi e diffidenti allo stesso tempo rispetto al movimento partigiano; la ‘guerra di popolo’ era stata un’esperienza conturbante, che l’aveva conquistato a una nuova patria e a una nuova idea di politica, e aveva orientato già allora la sua scelta di rimanere in Italia a guerra conclusa”.

Ilaria Romeo

24/4/2023 https://www.collettiva.it

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