Cannabis, Cassazione choc: piantarla non è reato

Cannabis, Cassazione choc: piantarla non è reato

Non costituirà più reato coltivare in minime quantità la cannabis in casa. A stabilirlo una decisione epocale quella delle sezioni unite penali della Cassazione. Maurizio Acerbo, segretario del Prc lo definisce «un bel regalo di Natale». Per Sinistra anticapitalista è un «segno preciso che la battaglia per la legalizzazione debba essere di segno opposto al modello “profit driven”». Comunque la sentenza della Cassazione sull’autocoltivazione di cannabis per uso personale è destinata a lasciare il segno anche perché sconfessa un parlamento che, non ammettendo l’emendamento sulla possibilità di commercializzare le infiorescenze di cannabis con meno dello 0,5 di Thc, aveva imboccato la tragicomica via della guerra alla non droga, variante salviniana di un proibizionismo tanto ottuso quanto feroce.

«In attesa di leggere le motivazioni – continua Acerbo – non si può che plaudire a una sentenza che potrebbe sancire la fine della persecuzione di tanti onesti cittadini. I magistrati della Cassazione hanno parzialmente posto riparo all’ignavia del parlamento e del governo che non si decidono a legalizzare la cannabis».

Si è sentenziato per la prima volta che «non costituiscono reato le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica» e «per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante ed il modesto quantitativo di prodotto ricavabile appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore». In sostanza chi coltiva per sè non compie più reato. Viene sostenuta così la tesi per cui il bene giuridico della salute pubblica non viene in alcun modo pregiudicato o messo in pericolo dal singolo assuntore di marijuana che decide di coltivarsi per sè qualche piantina. I kit per la coltivazione dei semi di cannabis sul balcone di casa sono ormai assai diffusi, venduti anche on line su siti specializzati di internet, ma si incorreva in rischi da un punto di vista legale, finora a livello giuridico non c’era mai stata un’apertura vera in questa direzione. Dopo questa decisione, che è stata sin da subito commentata come un evento epocale, per Giovanni D’Agata, presidente dello «Sportello dei Diritti», è giunto il momento che il legislatore prenda una posizione definitiva sulla legalizzazione o meno della cannabis e dei suo derivati.

«Consentendo l’autocoltivazione nell’orto o sul balcone di casa si riducono affari delle narcomafie e si salvaguarda la salute dei consumatori che sul mercato illegale spesso acquistano ogni sorta di schifezze -riprende Acerbo – ricordo che l’isteria proibizionista continua a rendere difficile l’accesso persino alla cannabis terapeutica. Una situazione tragicomica e irrazionale in cui lo stesso Ministero della Sanità Ministero fa bandi per acquistare le piante escludendo espressamente coltivatori italiani. Invece di dare retta ai deliri ipocriti di Salvini il parlamento proceda alla legalizzazione e all’approvazione di una normativa seria.

Se la Cassazione ha depenalizzato il giardinaggio una buona legislazione potrebbe consentire lo sviluppo di un intero comparto agricolo e produttivo consentendo anche positive entrate fiscali per lo Stato».

Ma il proibizionismo sembra essere il miglior alleato delle narcomafie: anche il successo dei grow shop, quei negozietti che fanno inorridire Salvini e Giovanardi, Binetti e San Patrignano, ha intaccato del 10% (dati della York University) i profitti delle cosche e ha causato la loro reazione rabbiosa: a Monterotondo lo riconobbero dal labbro, era bruciacchiato, conseguenze di un incendio che lui stesso aveva appiccato a un grow shop, un negozio di cannabis light. E’ capitato a marzo del 2018 nell’hinterland di Roma e la bocca ustionata era quella di un pusher di 21 anni, uno di quelli del “Pincetto”, la zona da cui partivano per fornire di ecstasy, cocaina e fumo le discoteche di Montesacro e i consumatori della loro cittadina, e che in 14 sono stati arrestati nel febbraio di quest’anno. Poche settimane prima, a Barletta, era andato a fuoco un grow shop, come rappresaglia delle cosche dopo una maxiretata, 126 gli indagati, contro gli spacciatori che «militarizzavano gli spazi della movida dopo il tramonto», dissero gli inquirenti.

Ercole Olmi

26/12/2019 www.popoffquotidiano.it

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *