Capitali d’argento: politica e affari nel mondo delle Rsa

Il 23 aprile il direttore regionale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per l’Europa, Hans Kluge, ha annunciato in una conferenza stampa che «quasi metà delle persone morte per Covid-19 in Europa era residente nelle case di cura», aggiungendo inoltre che «vi è la necessità urgente e immediata di ripensare il modo in cui operano queste strutture, perché emerso anche che gli operatori socio-sanitari che vi operano sono spesso sottopagati, sovraccaricate di lavoro, infine, sono privi di protezione adeguate». Dichiarazioni forti, rimaste però quasi sotto traccia nel dibattito mediatico e che peraltro seguivano di qualche giorno le prime risultanze ufficiali sui decessi nelle Rsa italiane avvenuti tra i mesi di marzo e aprile, evidenze diffuse per l’Italia dall’Istituto superiore della Sanità attraverso una indagine condotta insieme al Garante nazionale dei detenuti.

Era la fotografia, parziale, di una strage, come scrivevamo il 18 aprile, non completa perché si trattava di una indagine in continuo aggiornamento, ma, soprattutto, perché era molto basso il numero delle strutture per anziani che avevano deciso di collaborare all’indagine intrapresa dall’ISS: «Tra le Rsa interpellate hanno risposto infatti soltanto in 1082, pari al 33% delle strutture contattate», aveva riferito il presidente dell’Istituto Superiore della Sanità Silvio Brusaferro. «Il numero totale dei decessi nelle case di cura nel periodo di riferimento analizzato è pari a 6773, fino alle 20 del 15 aprile, data a cui risalgono gli ultimi rilievi».

Si scopriva soltanto il 18 aprile, dunque, che soltanto nelle case di cura della Lombardia in un mese erano morte più di 3000 persone, di cui solo 166 erano persone decedute ufficialmente a causa della Covid-19 (vale a dire: confermato da tampone).

E ancora: considerando il dato complessivo italiano erano 364, fino ad allora, i morti Covid-19 positivi: il 3,3% del totale dei decessi avvenuti tra marzo e la metà aprile nelle Rsa. Che mancasse più qualche piccolo elemento o punto percentuale nei dati diffusi sui decessi dei pazienti avvenuti nelle Rsa di Milano, ad esempio, lo ha messo in dubbio il 24 Aprile scorso Usb Lombardia: «Accogliamo con grande perplessità le dichiarazioni di giovedì 23 aprile del Dr. Walter Bergamaschi, rese di fronte alla Commissione Consiliare congiunta Affari istituzionali e Politiche sociali del Comune di Milano, in merito alla situazione delle Rsa presenti in città».

Attilio Fontana

Hanno riferito dal sindacato di base, a proposito del numero degli operatori sanitari presenti nelle strutture: «I dati forniti non sono del tutto corretti o in alternativa non viene rispettato lo standard regionale per l’accreditamento. Sarebbe opportuno chiarire con più precisione i dati forniti, a maggior ragione in virtù del numero dei tantissimi operatori assenti per malattia e/o quarantena». Instillando dunque un dubbio, che nella realtà suonava come un vero j’accuse, sul fatto che

«l’assenza di un vero controllo istituzionale sull’effettuazione della sorveglianza sanitaria per i dipendenti delle Rsa sia uno dei motivi che sta alla base dei 3045 decessi nel 39,3% delle strutture regionali, certificati dall’Iss».

Accuse, queste, che fanno il paio con quelle contenute in una lettera diffusa il 20 aprile e firmata dai medici geriatri impiegati all’interno della Rsa della Fondazione Castellini onlus di Melegnano, una struttura da 365 posti alle porte di Milano: «Quel che non ci spieghiamo è come sia stato possibile che nessuna istituzione abbia riflettuto sul fatto che le Rsa sono un concentrato di popolazione a rischio. Tutti si sono dimenticati di noi». Così hanno scritto i medici, urlando tutta la loro rabbia: «Dove erano le istituzioni quando chiedevamo i tamponi che non ci venivano dati, se non con il contagocce. Dove erano le istituzioni quando i nostri impiegati degli uffici acquisti cercavano di acquistare mascherine e protezioni introvabili?». E ancora:

«Dove sono le istituzioni? Perché non hanno pensato di mandare qui dentro consulenti infettivologi? Perché non vengono a vedere come ci inventiamo mille strategie per continuare ad alimentare i nostri anziani?».

Domande di fronte alle quali i vertici politici della sanità della Lombardia, il presidente della Regione, Attilio Fontana, e l’assessore al Welfare Giulio Gallera, ancora qualche giorno fa sembravano invece giocare al rimpallo delle responsabilità, nel tentativo evidente di dividere le responsabilità politiche dal modo in cui i dirigenti delle Ats e Asst lombarde (nominati dagli stessi vertici regionali) hanno affrontato la pandemia. «I controlli ci sono stati, le Ats avevano il compito di sorvegliare e adesso stiamo andando a verificare situazione per situazione», aveva dichiarato Gallera.

Che qualcosa non funzionasse già da tempo all’interno di molte Rsa italiane, lo ha raccontato il 26 aprile l’inchiesta Rapporto su una strage di Giovanni Tizian. Il giornalista del settimanale “L’espresso” ha afferma nella sua indagine che una residenza per anziani su tre presentava irregolarità già prima dell’epidemia. Non solo. Tizian ha riferito, inoltre, che tra il 2019 e i primi due mesi del 2020 erano state controllate dai carabinieri del Nas oltre 3500 strutture, tra le quali più di un migliaio erano quelle che mostravano varie irregolarità: «inadeguatezze strutturali, mancanza di figure professionali, la presenza di un numero superiore di anziani rispetto al previsto».

La sede dell’Iss

Questo ha raccontato, anche, il giornalista: «I Nas, dall’inizio dell’emergenza, hanno controllato 601 strutture (104 non erano in regola)». E ancora: «In queste Rsa, hanno riscontrato i carabinieri, gli operatori giravano senza mascherina, non erano formati per affrontare una crisi sanitaria e presentavano gravi carenze strutturali, per questo 15 sono state chiuse e gli ospiti trasferiti di urgenza».

Da Nord a Sud, dunque, il sistema di medicalizzazione privata della vecchiaia è crollato alla prova della grande pandemia, ma già da prima ve ne erano i sintomi. Ne erano state rivelate le falle, le negligenze, le superficialità alla base di un sistema di economia politica della cura, di un asset su cui avevano messo le mani già da tempo alcuni big player della finanza italiana.

Il grande affare del mercato d’argento

A leggerei bollettini finanziari risalenti giusto a qualche mese fa sembrerebbe quello delle Rsa sembrerebbe un mercato altamente redditizio. Gli analisti spiegano i motivi del successo di un settore considerato di nicchia, ma ad alto tasso di rendimento: per usare le parole del Ceo per l’Europa di Savillis Investment Managment Giuseppe Oriani si tratta di «un settore a metà tra l’immobiliare e l’infrastrutturale, che rappresenta un ottimo modo per diversificare e proteggere i portafogli, soprattutto nei momenti di ciclo economico debole». E in un recente studio redatto da Ubi Banca si spiegava ulteriormente l’alta redditività di tali investimenti, così: «solo una parte delle rette di degenza è a libero mercato, ma una quota consistente è coperta dal pubblico, come in Francia e Germania, nel nostro caso dalle Regioni».

Secondo un rapporto pubblicato ormai dieci anni fa dal mensile Liberetà dello Spi Cgil, il costo medio di una singola degenza in una RSA arrivava a sfiorare la cifra di 3000 euro mensili. Appetiti finanziari su cui già allora si stavano spostando grandi gruppi economici.

Oggi gli stessi analisti hanno stimato un rendimento medio lordo oscillante tra il 6 e il 7,5% e le strutture di questo tipo continuano a proliferare, almeno ciò accadeva fino a qualche mese fa. L’Italia contava circa 4.000 RSA per circa 200.000 posti di letto. E tutte le previsioni raccontavano di aspettative di crescita di investimenti entro il 2035 per circa 20 miliardi di euro. È il mercato d’argento, è l’economia politica della terza età. Che avvantaggia grandi player capaci di influenzare le politiche regionali. Giganti come Kos group, parte del gruppo Cir (De Benedetti) che da solo gestisce decine e decine di strutture in diverse regioni italiane, tra cui la struttura “Anni Azzurri San Faustino”, a Milano, dove si sono contati una decina di morti a causa della Covid-19. È andata meglio, invece, nelle altre strutture del gruppo.

Non è andata tanto meglio a San Mauro Torinese, in Piemonte, dove la Rsa di un altro colosso del settore, la società Sereni Orizzonti ha contato decine di contagi, anche tra gli operatori sanitari.

Sempre gli stessi analisti del settore, appena un anno fa, così incensavano le imprese della società: «Presente in Italia, Germania e Spagna con 80 strutture, 5.600 posti letto, 200 milioni di fatturato sta realizzando ex novo o ristrutturando 10 Rsa tra le province di Milano, Bergamo, Torino, Vercelli, Bologna e in Sardegna. Ma ha anche deliberato un piano di nuove acquisizioni in Europa per 30 milioni di euro». Poi vennero i mesi cupi per il proprietario di Sereni Orizzonti, l’ex consigliere regionale del Friuli, Massimo Blasoni, arrestato lo scorso ottobre e tornato libero a gennaio, sotto inchiesta per truffa aggravata al servizio sanitario regionale nell’ambito proprio di una inchiesta sulle Rsa. A quanto pare, ora ci si mette pure la Covid-19.

Rocca di Papa

Una parabola simile sembra seguire un altro colosso della sanità privata italiana. Antonio Angelucci, attuale deputato di Forza Italia ed editore dei quotidiani “Libero”, “Il Tempo”e il “Corriere dell’Umbria”, gestisce attraverso la finanziaria di famiglia la Tosinvest, decine di Rsa tra Roma e la Puglia, un Irccs, diversi ambulatori, una università privata, tutti sotto il marchio del San Raffaele.

La Tosinvest nel recente passato è uscita indenne da una inchiesta della procura di Velletri che aveva chiesto 15 anni di reclusione per Angelucci, poi prosciolto in primo grado dall’accusa di aver truffato il servizio sanitario regionale.

E da un’altra inchiesta più lontana nel tempo della procura di Bari, che aveva messo nei guai il figlio, Gian Paolo, per cui i giudici pugliesi avevano chiesto l’arresto insieme all’allora deputato Raffaele Fitto; Ma ora sembrano essere di nuovo mesi cupi pure per la Tosinvest, a causa del della Covid-19, che è esplosa a due passi da Roma, a Rocca di Papa, dove i contagi dei malati e degli operatori sanitari nella Rsa gestita dagli Angelucci non si contano nemmeno più da tanto che il numero pare essere elevato. Non si contano, come i capitali d’argento che ne hanno fatto uno degli uomini più ricchi di questo Paese, capace di influenzare come pochi le politiche regionali in materia sanitaria.

Francesco Brusa, Gaetano De Monte

30/4/2020 https://www.dinamopress.it/

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