Capitalismo della sorveglianza tra web, dati personali, emergenza sicurezza

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Il capitalismo della sorveglianza inizia ad agitare i fin troppi tranquilli sonni dei benpensanti, perfino sui giornali del capitalismo che conta se ne va parlando tanto da suggerire il titolo all’ultimo numero del settimanale Internazionale che traduce in italiano articoli pubblicati in lingua originale su prestigiosi quotidiani e periodici.
L’articolo in questione è di Shoshana Zuboff, tradotto dal Financial Times, autrice di un testo in lingua inglese , ma non ancora tradotto in italiano, particolarmente discusso : The Age of Capitalism of Surveillance, anche se l’autrice inizia il percorso di studi dalla fine degli anni ottanta quando pubblica la sua prima ricerca sul mondo digitale: In the age of the smart machine.

La tesi principale del testo parte dalla critica del capitalismo che si appropria dei nostri dati personali per utilizzarli a fini di mercato, una sorta di immane sorveglianza per estrapolare dati, conoscenze che rappresentano la merce di uso dell’era digitale. Detta in termini ancora piu’ semplici, le aziende utilizzano i dati personali attraverso i social per indirizzare i desideri individuali \collettivi a fini di mercato (acquisto di merci) ma alla occorrenza anche per propaganda elettorale occulta, dati inventati da un motore di ricerca (google) e poi adottati da Facebook come si legge dall’articolo tradotto da Internazionale.

Quanti scatenano paure ataviche contro il comunismo e il capitalismo di stato forse hanno da occultare la moderna realtà capitalistica, una realtà che si appropria dei nostri dati e li utilizza a fini commerciali, per indirizzare a piacimento desideri, scelte , acquisti, e opinioni . Il capitalismo della sorveglianza è andato ben oltre al totalitarismo su cui ironizzava G Orwell, i soli a non rendersene conto sono proprio gli apologeti del capitalismo stesso per i quali capitale è sinonimo di libertà.
Google, i motori di ricerca e i social hanno la stessa valenza che ebbe il fordismo per il capitalismo di inizio novecento, occuparsi dell’era digitale oggi vuol dire ripercorrere la strada di Antonio Gramsci negli anni venti con i Quaderni del carcere su fordismo e taylorismo.
Solo poche settimane fa è uscito un articolo su questi argomenti che meglio di noi analizza il problema, ne consigliamo la lettura integrale (clicca qui per leggere).

Ma perchè occuparsi del capitalismo della sorveglianza? Perchè siamo in presenza di due luoghi comuni da confutare. Innanzitutto non è vero che il futuro digitale sia irreversibile o meglio non dobbiamo subirne la fascinazione che scaturisce dalla scarsa conoscenza dei meccanismi sui quali è stato costruito. Hanno sottratto i nostri dati per anni e lo stanno facendo ogni giorno, eppure alcuni sondaggi pubblicati in Inghilterra e negli Usa evidenziano che la stragrande maggioranza degli intervistati non condivide, anzi avversa, la occulta raccolta di informazioni e a loro insaputa e non approverebbe che da questi dati scaturiscano i grandissimi utili accumulati dalle aziende del settore.

Per i profitti del capitale la sottrazione di dati e informazioni diventa dirimente ma è altrettanto importante anche ai fini del controllo politico e sociale, per indirizzare le opinioni collettive, un po’ come sta accadendo in Italia con le fake news e con la campagna contro i migranti della Lega.
E qui entra in gioco un secondo aspetto: il nuovo Pacchetto sicurezza, il Salvini bis o meglio il Decreto legge per approvare alcune misure urgenti in materia di sicurezza. Trattasi di un decreto Presidenziale che dovrà essere presentato alle Camere per la conversione in Legge ma visto l’assenso del Mov5 Stelle al Pacchetto sicurezza non ci facciamo illusioni sul loro voto (merce di scambio, l’ennesima, per il Reddito di cittadinanza?), ebbene questo testo presenta alcuni articoli pericolosi per gli equilibri democratici del nostro paese: dalla riscrittura del codice della Navigazione per colpire le associazioni di solidarietà con i migranti all’aumento delle pene per i manifestanti, una macchina penale in costruzione contro i reati sociali.

Il continuo ricorso alla cultura emergenziale (tanto cara del resto anche al Pd e all’ex ministro Minniti), nel nome della quale si vanno distruggendo i residui spazi della democrazia, avviene con un utilizzo costante e quasi maniacale del web, con l’idea e la pratica della sorveglianza sui dati e sulle persone nonchè sulla costruzione di presunte emergenze verso le quali indirizzare odi e attenzioni collettive. Sorvegliare, punire e manipolare giusto per deviare l’attenzione pubblica da una deriva autoritaria e securitaria in corso nel paese.

Federico Giusti

12/5/2019 www.controlacrisi.org

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