Caro ministro Manfredi, la nostra scelta è restare per lottare!

Ieri, all’inaugurazione dell’Anno Accademico del Politecnico di Torino Manfredi – nuovo ministro dell’università e della Ricerca – ha dichiarato: “Dobbiamo valorizzare i nostri giovani e per questo qui da Torino voglio mandare un messaggio positivo al Paese. Non dobbiamo pensare però che andare all’estero significa per forza una perdita perché viviamo in un mondo globale”. Questa dichiarazione segue di qualche giorno quella del premier Conte con cui esprime l’intenzione di istituire una specifica direzione sull’internazionalizzazione nel neonato ministero dell’Università e della Ricerca. L’obiettivo sarebbe quello di favorire l’ingresso degli studenti stranieri ma Manfredi specifica che “Dobbiamo trasformare l’andare all’estero in una scelta e non un obbligo ed attrarre talenti stranieri”. Il discorso di Manfredi al Politecnico ha chiarito ancora una volta che l’unica prospettiva che la classe dirigente di questo paese offre ai giovani è l’emigrazione. Non un segno di discontinuità rispetto al passato, ancora si parla di un mondo globale nel quale l’emigrazione sarebbe un valore e non una “perdita”. Andare all’estero per il Ministro deve diventare una scelta, ma come si può parlare di scelta quando il mercato del (non)lavoro e la ristrutturazione di questo a livello europeo impongono con violenza gli intensi flussi migratori da e verso l’Italia? Come si può parlare di scelta se l’alternativa all’emigrazione è morire di fame in africa o finire a fare un lavoro precario e sottopagato con il rischio di morire per strada nel tentativo di consegnare un cheeseburger a bordo di una biciletta?!

Caro Ministro, l’emigrazione non è un’idea! L’emigrazione oggi è un fatto strutturale che obbliga – soprattutto le nuove generazioni – a rispondere alle necessità dei grandi gruppi industriali e finanziari europei, tanto è vero che resta una priorità nonostante i cambi di governo e i diversi ministri che in questi lunghi anni si sono succeduti.

Il nostro futuro noi lo vogliamo prima di tutto qui!

È qui che vogliamo un’Università diversa e non ci bastano le briciole del piano sull’edilizia universitaria perché sappiamo bene come questi soldi verranno spesi.

In una città come Torino con il polo di scienze umanistiche, Palazzo Nuovo, pieno di amianto e con lavori che durano ormai da 5 anni, Saracco – il rettore del Politecnico – ha già chiarito la direzione che prenderanno i fondi, saranno utilizzati per la costruzione del Competence Center di Mirafiori e per il polo dell’Aerospazio in corso Marche. Due progetti che danno il segno delle linee strategiche che si continuano ad imprimere all’università italiana: l’aziendalizzazione – che a Torino è fortemente declinata sulla produzione militare- e la privatizzazione. Infatti, ci ricordiamo che ogni volta che negli ultimi anni, tra un taglio e l’altro, sono stati stanziati dei fondi per l’istruzione universitaria non sono mai stati distribuiti equamente a quegli atenei che ne avevano più bisogno ma sono stati usati per creare nuovi poli di eccellenza oppure complessi edilizi per soddisfare gli interessi delle aziende private che sempre di più influenzano l’università italiana. Basti guardare proprio Torino. L’anno scorso è stata costruita la Palazzina Moro, un complesso di proprietà di Unito che con un progetto project financing l’ha fatto costruire e gestire da un’azienda privata che ha affittato il 40% degli spazi a grosse multinazionali come il Burger King, tanto che ora più che un’università abbiamo un centro commerciale. Tutti i progetti che Unito e Politecnico stanno portando avanti ora, dal polo di Grugliasco a quelli citati da Saracco, sono costruiti con accordi pubblico-privato che faranno gli interessi delle grandi multinazionali che ci investono.

Questi 400 milioni quindi che cosa andranno a finanziare? Saranno ripartiti secondo criteri premiali andando ad aumentare ancora di più la differenza tra poli di serie A e di serie B -ossia quelle del Sud Italia- come il MIUR fa già da anni attraverso le valutazioni dell’ANVUR? Ne siamo certi!

Il problema dell’edilizia universitaria e più in generale di tutto il sistema formativo italiano sono certamente i tagli ai finanziamenti pubblici ma soprattutto le decisioni politiche che stanno dietro la ripartizione dei fondi basate su un modello di università che punta all’elitarizzazione, alla privatizzazione, all’aziendalizzazione e alla sottomissione del pubblico agli interessi delle aziende. E Manfredi lo sa bene essendo stato dal 2015 Presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI).

Ancora a proposito della visita di Manfredi a Torino, occorre dire anche qualcosa in merito ai 1600 posti che Manfredi e Conte hanno promesso ai ricercatori.
Prima di tutto sottolineiamo che, 1600 ricercatori probabilmente assunti, non sono nulla in confronto al fatto che negli ultimi 10 anni il numero dei ricercatori italiani si è dimezzato e che il 70% di questi è ora precario. Quindi la prima domanda è: con che contratti verranno assunti? Precari a 600 euro al mese? E poi racconterà loro che l’emigrazione è una scelta?
In seconda istanza, la ricerca in Italia è estremamente sotto finanziata, soprattutto quella di base proprio perché la maggior parte della ricerca è finanziata da enti e aziende private che puntano a servirsi dello studio dei ricercatori per i loro interessi sottomettendo la ricerca alle logiche competitive del mercato. Questi fondi stanziati per le assunzioni dei ricercatori saranno distribuiti egualmente o come sempre andranno a potenziare quei poli universitari più finanziati dalle aziende private presenti nel tessuto produttivo del territorio? Poi magari qualcuno continuerà ancora a stupirsi del fatto che le Università del mezzogiorno si svuotano!

Queste decisioni di Manfredi e Conte sono la solita manciata di briciole che ci lanciano senza alcuna garanzia e che presto si riveleranno un arretramento per i diritti dei lavoratori e degli studenti. Con questo modello di università, una disoccupazione giovanile quasi al 40% e una precarietà lavorativa dilagante sempre più giovani laureati cercano un lavoro e una vita dignitosa nei paesi del centro-nord Europa. Per permettere ai giovani di rimanere in Italia senza rimanere disoccupati per anni oppure passare da un lavoro gratuito ad un tirocinio malpagato occorre un investimento pubblico strutturale che vada a creare posti di lavoro con un salario dignitoso e non continue politiche di privatizzazioni come i nostri governi di ogni colore hanno portato avanti negli ultimi anni, soprattutto a seguito della crisi economica iniziata nel 2008. Per rendere l’emigrazione all’estero non un obbligo ma una scelta occorre opporsi non solo alla distruzione del mercato del lavoro in Italia ma anche alle politiche europee di gestione neoliberista della crisi che con il taglio alla spesa pubblica dei paesi del Sud Europa hanno strutturato un Unione Europea a due velocità: da un lato i paesi del centro-nord che attraggono i giovani neolaureati che se lo possono permettere, dall’altro i paesi del sud (i cosiddetti PIGS) parcheggio per disoccupati e precari.

Siamo stufi delle belle parole e della falsa retorica europeista di un mondo senza confini.
La nostra scelta è restare per lottare contro chi ci costringe ad un futuro fatto di disoccupazione e precarietà dentro e fuori il nostro paese.
La nostra scelta è restare per lottare per un’istruzione qualificata e accessibile a tutti e per un lavoro dignitoso.

23/1/2020 noirestiamo.org

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