Cassa Depositi e Prestiti utilizza i tuoi soldi per privatizzare.

15-trappola debito Non passa giorno che la Cassa Depositi e Prestiti non venga invocata per finanziare questo o quel progetto, per tappare questo o quel buco, per rilanciare questo o quel settore dell’economia. Quasi nessuno tuttavia riflette su cosa sia veramente Cassa Depositi e Prestiti e cosa sia diventata da quando nel 2003 è stata trasformata in società per azioni e al suo interno sono entrate le fondazioni bancarie. Cassa Depositi e Prestiti fin dalla sua nascita a Torino nel 1850 e sino al 2003 aveva funzioni ben precise : era un ente dello Stato, con il compito di raccogliere il risparmio postale dei cittadini e dei lavoratori e di tutelarlo attraverso un interesse basso –trattandosi di risparmio “a vista”, ovvero ritirabile in qualsiasi momento – ma garantito dallo Stato. Contemporaneamente, l’insieme del gettito raccolto veniva convogliato ad un unico scopo : finanziare a tassi calmierati gli investimenti degli enti locali. Si trattava a tutti gli effetti di una doppia funzione pubblica e sociale. Nel 2003, Cassa Depositi e Prestiti viene trasformata in Spa e le fondazioni bancarie entrano nel suo capitale sociale con il 30%.  Da quel momento e progressivamente, Cassa Depositi e Prestiti muta strutturalmente la propria funzione che, da pubblica, diviene privatistica, ovvero finalizzata alla produzione di dividendi per gli azionisti (Ministero del Tesoro e fondazioni bancarie). Nel contempo assume sempre più funzioni, alcune per conto dello Stato, altre come soggetto a tutto campo nell’economia del Paese, fino al ruolo preponderante di oggi, in cui rappresentando il vero snodo delle risorse a disposizione nel pieno della crisi globale, diviene il focus per ogni scelta di politica economica in atto o in progetto.  Il fatturato attuale di Cdp supera i 310 miliardi di euro, 250 dei quali provengono dalla raccolta del risparmio postale. Nel pieno della crisi globale e della trappola del debito pubblico, costruita ad arte per rendere ancor più profonde le politiche di espropriazione dei diritti e di privatizzazione dei beni comuni, i grandi capitali finanziari vedono la Cassa Depositi e Prestiti come leva per un’ulteriore finanziarizzazione dell’economia e della società, in questo sostenuti da un quadro politico istituzionale trasversale che, avendo interiorizzato le politiche liberiste e i diktat monetaristi dell’Ue, chiedono a Cdp il solo obiettivo di “fare cassa”. Di fatto, oggi il ruolo di Cassa Depositi e Prestiti corrisponde direttamente a queste esigenze e lo fa attraverso i molteplici strumenti di cui si è nel tempo dotata.  Dalla sua trasformazione in SpA, il ruolo di Cdp nei confronti degli enti locali è profondamente mutato. Coerentemente con il mandato di una SpA, Cassa Depositi e Prestiti ha continuato  a finanziare gli investimenti degli enti locali, ma da quel momento lo ha fatto a tassi di mercato, spingendo gli stessi a finanziarsi direttamente dalle banche (di cui le fondazioni sono i principali azionisti) e consentendo a queste ultime di poter intervenire a tutto campo sul mercato degli investimenti degli enti locali, fino a pochi anni prima per loro inaccessibile. Nell’attuale fase di collasso economico della finanza locale, i Comuni si trovano a mettere in gioco le risorse di cui dispongono, sostanzialmente riconducibili a tre settori : il territorio, il patrimonio pubblico e i servizi a rete. Oggi Cdp si propone come “partner ideale” per tutti i Comuni che vogliano dismettere il proprio patrimonio pubblico (attraverso Fiv, fondo di valorizzazione degli immobili) e che vogliano privatizzare i servizi pubblici a rete procedendo, attraverso fusioni societarie, alla creazione di multiutility (attraverso  Fsi, fondo strategico italiano e attraverso la partecipazione a F2i, il fondo investimenti per le infrastrutture). Cassa Depositi e Prestiti è da tempo al servizio dei poteri forti del nostro Paese : dalle grandi opere autostradali, finanziate attraverso F2ì, agli interventi nelle partecipazioni azionarie di società, attraverso Fsi; dai progetti di “social-housing”agli interventi a favore delle Pmi, alle joint-venture con il fondo sovrano del Qatar, di fatto Cdp è divenuta una vera e propria “merchant bank” a sostegno del capitalismo finanzarizzato e di un sistema bancario al collasso.Il tutto viene sostenuto dal nuovo “mantra” ideologico che ad ogni rivendicazione sociale invariabilmente risponde dicendo “I soldi non ci sono”. In realtà, non è vero che in Italia non ci siano i soldi, ce ne sono anche troppi : il problema è che sono inegualmente distribuiti e che sono tutti al servizio dei grandi interessi finanziari. D’altronde, un Paese che, avendo nel 1990 il 74% del sistema bancario sotto controllo pubblico, ha deciso di ridurre lo stesso allo zero assoluto, non può che trovarsi in balia dei poteri forti del sistema bancario e finanziario.  La necessità di invertire la rotta comporta che siano proprio i soldi gestiti da Cdp, frutto del risparmio dei cittadini del Paese, a poter divenire la risorsa per immaginare una diversa uscita dalla crisi e per costruire un altro modello sociale. Cassa Depositi e Prestiti ha come sua prima finalità la tutela del risparmio che i cittadini le affidano attraverso l’intermediazione di Poste Italiane. L’enorme quantità di denaro raccolta non può essere utilizzata come leva per i mercati finanziari, trampolino per le grandi opere o come supporto per il sistema bancario. Si tratta di giocare a carte scoperte con l’ideologia dei poteri dominanti che costantemente ripetono come la crisi sia del Paese e come tutti si stia sulla stessa barca. Sappiamo che, in realtà, questa è una crisi del sistema bancario, scaricata sugli Stati sotto forma di debito pubblico e da questi riversata sui cittadini attraverso le politiche di austerità. Ma accettando la metafora del “siamo tutti sulla stessa barca” (benché ci sia chiaro chi da sempre stia ai remi), occorre allora affermare con forza che se la crisi è di tutti, allora tutti hanno diritto di decidere come se ne esce, attraverso quali processi e utilizzando quali risorse. A maggior ragione quando, come nel caso di Cassa Depositi e Prestiti, le risorse appartengono ai cittadini stessi, essendo il frutto dei loro risparmi. Cassa Depositi e Prestiti,  deve essere al servizio di un nuovo modello di economia sociale territoriale che, sul terreno dei beni comuni, veda le risorse raccolte attraverso il risparmio postale impegnate nel sostenere gli investimenti finalizzati: a) alla riappropriazione sociale dei beni comuni e dei servizi pubblici; b) alla tutela idrogeologica del territorio, alla messa in sicurezza del patrimonio pubblico e degli edifici scolastici, alla realizzazione di opere pubbliche finalizzate all’espansione dei servizi offerti ai cittadini; c) a garantire il diritto all’abitare, attraverso progetti di manutenzione straordinaria del patrimonio abitativo pubblico esistente e progetti di riutilizzo a funzione abitativa popolare di edifici dimessi e/o abbandonati. E che, sul terreno dell’economia e del lavoro, convogli le risorse per sostenere gli investimenti finalizzati : a) a favorire l’occupazione e la riconversione ecologica della produzione agricola e industriale in direzione dell’economia a km zero; b) a sostenere le aziende sottoposte a processi di ristrutturazione o di crisi aziendale per favorirne processi di riconversione produttiva che garantiscano l’occupazione dei lavoratori; in questa direzione, particolare priorità andrebbe data alle esperienze di autogestione realizzate dai lavoratori in contrasto ai processi di delocalizzazione produttiva.; c)a sostenere i processi di riconversione energetica degli edifici e degli impianti, finalizzati al risparmio energetico e all’obiettivo della massima diffusione dell’autoproduzione diffusa di energia pulita e rinnovabile. d) a sostenere i processi di riconversione della mobilità urbana ed extra-urbana in direzione dell’espansione del trasporto pubblico urbano e pendolare e di una mobilità pulita e sostenibile. Occorre capovolgere il quadro : non più un management di una società privatistica che decide la strategia industriale di un Paese, bensì gli enti locali al centro di un nuovo modello di economia sociale territoriale che abbia il proprio fulcro nella riappropriazione sociale dei beni comuni. Siamo immersi in una crisi sistemica, la cui gravità  impone una drastica inversione di rotta. A partire da una semplice constatazione sugli ultimi quaranta anni di modello neoliberista: l’unica possibilità di sopravvivenza del modello capitalistico passa per la consegna totale delle nostre esistenze al volere dei mercati. Di conseguenza, l’unica possibilità di futuro per gli uomini e le donne di questo pianeta richiede la capacità di mettere in campo i cuori e le menti riappropriandoci collettivamente di ciò che ci appartiene. La riappropriazione sociale della ricchezza prodotta diventa un obiettivo necessario e irrinunciabile. Marilena Pallareti Attac Forlì 1/2/2015

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