C’est la jeunesse qui porte la lutte. Gli studenti e la mobilitazioni in Francia

In tutta la Francia da mesi è in atto un’imponente mobilitazione contro la riforma delle pensioni proposta dal governo Macron, il cui simbolo è l’innalzamento dell’età pensionabile per alcuni lavori da sessantadue a sessantaquattro anni. Contro questa riforma è nato un movimento fondato su scioperi e oceaniche manifestazioni, che per partecipazione non ha eguali negli ultimi trent’anni di storia francese.

Anche molti studenti si sono uniti alla mobilitazione, occupando e bloccando licei e università, partecipando agli spezzoni sindacali o al cortége de tête in piazza, organizzando supporto a chi sciopera nei luoghi del sapere o altrove. Al contempo, si tratta di una mobilitazione che, sia mediaticamente che nella gestione di piazza, è caratterizzata dalla presenza del coordinamento intersindacale e rispetto alla storia recente dei movimenti francesi lascia meno spazio all’organizzazione assembleare e orizzontale, nonché alle iniziative autonome. È parso quindi interessante intervistare due studenti, uno delle superiori e un universitario, per sondare le modalità di partecipazione giovanile a questo movimento, nonché i modi e gli spazi di azione autonoma rispetto a sindacati e partiti. Il loro punto di vista è espresso a livello personale, ma è significativo per comprendere il posizionamento studentesco autonomo, in particolare del milieu antifascista. L’intervista è stata condotta domenica 12 marzo, prima dell’approvazione della legge di giovedì 16.

La Francia attraversa da qualche anno una fase politica molto interessante. Abbiamo assistito a movimenti di massa contro le riforme neoliberali, dal 2016 a oggi. Al contempo, sono sorte anche forti lotte locali, radicate ma con la capacità di generalizzare la propria traiettoria politica, penso alla Zad o alla lotta contro i mega-bacini. Inoltre, si è strutturato un importante livello di conflitto istituzionale, con partiti come la Nupes o il coordinamento intersindacale che coordina oggi le manifestazioni. Del movimento studentesco si parla forse un po’ meno. Cosa è successo in questi anni a riguardo, come ha attraversato l’emergenza Covid e in che stato è oggi?

UNIV: La gioventù ha giocato un ruolo fondamentale nel 2016, con l’emergere del cortége de tête che era principalmente composto da studenti. È una forma che poi non si è più ritrovata nel 2019, nella prima fase della lotta contro la riforma delle pensioni, e oggi è nuovamente praticata, non solo da giovani. Nel 2016, e anche nel 2019, erano soprattutto i liceali i più attivi nella lotta; gli universitari meno. Io credo che il problema sia che in università un ruolo importante è giocato dai sindacati studenteschi, che incanalano la partecipazione in forme poco radicali. È vero che il Covid ha imposto un colpo d’arresto al movimento. Si è diffusa una specie di opinione dominante secondo la quale chiunque si mobilitava, per qualsiasi motivo, era da considerare un irresponsabile. Il liceo in Francia dura tre anni, quindi c’è stata una generazione che non ha conosciuto la vita liceale, né la mobilitazione politica. Oggi c’è stato un ritorno ad alcune pratiche, come le occupazioni e i blocchi. La gioventù affronta la questione non solo come un problema di pensionamento, ma pensando al lavoro e alle prospettive di vita. Io credo che ci sia ancora molto da fare: si può costruire una critica molto più radicale contro il lavoro. E anche contro il Parcoursup, che è una piattaforma a cui i liceali sono costretti a iscriversi e che organizza la selezione per l’università. Ci sono critiche a riguardo tra i giovani, ma possono essere più strutturate e radicali.

LIC: Oggi, più che ieri, ci sono molti studenti che si organizzano e che sono in collera. Nei licei c’è una forte tradizione autonoma, che si organizza con coordinamenti. Non ci sono sindacati o linee da seguire, si lavora tutti insieme in maniera orizzontale. La cosa fondamentale è stare insieme, vivere bene e rivoltarsi. Quindi, se nel 2016 gli studenti erano i protagonisti della mobilitazione, anche oggi ci sono blocchi, assemblee e partecipazione di piazza. Ma i media non parlano molto del protagonismo giovanile. Sicuramente, ed è scontato, c’è un sostegno ai lavoratori in sciopero. Ma la questione è più ampia. Per noi riguarda il modo come si concepisce il lavoro. Proprio perché siamo giovani abbiamo la forza di dire che non vogliamo vivere lavorando fino a sessantaquattro anni, stritolati dalla competitività. Inoltre, abbiamo riconosciuto la stessa logica di fondo che vediamo nel Parcoursup: la riforma delle pensioni è un elemento del quadro neoliberale e un ulteriore passo verso un tipo di società che rifiutiamo.

UNIV: Aggiungo che è vero che lottiamo contro la riforma delle pensioni, ma questa non va analizzata solo da un punto di vista economico. Ci sono persone che l’hanno denunciata come sessista, perché le donne sono più toccate. Ci sono numerosi punti di attacco per una riforma che difende un modello produttivista, di mezzo per esempio c’è anche la questione climatica. Questo è cruciale, perché su questo c’è una spaccatura nel movimento: le organizzazioni sindacali limitano la questione al piano economico, e vogliono che la gioventù si mobiliti “in sostegno” ai lavoratori. Ma le espressioni giovanili, come le scritte e le tag durante le occupazioni dei licei, dimostrano che ci si mobilita perché si cerca di trovare un senso più generale della propria vita, e un punto di vista politico generale. Il punto allora è creare legami con altri movimenti e istanze, non perdere mai la speranza della trasformazione. Durante le elezioni dell’anno scorso il movimento studentesco era molto calmo; poi c’è stato un appello per ritrovarsi alla Sorbona, ed è stata occupata. È stato sorprendente, soprattutto in un momento in cui la scelta era tra neoliberalismo e post-fascismo.  

Qui l’intersindacale è la struttura portante della mobilitazione, ma spesso entra in conflitto con le fazioni autonome. Come vedete il ruolo dei sindacati nella mobilitazione, e il rapporto con i gruppi fuori dai sindacati e dai partiti?

LIC: La Francia è uno dei paesi meno sindacalizzati d’Europa. I sindacati hanno però un impatto mediatico enorme in questa mobilitazione. Sono loro che l’hanno messa in moto, ma al contempo gli stanno imponendo anche delle forti limitazioni. È su questo che c’è la rottura con la gioventù, anche da parte dei sindacati che hanno molti giovani e di quelli universitari. Anche in università i sindacati sono molto mediatizzati, e vengono sempre interpellati; ma non sono quelli che fanno le occupazioni o altre pratiche di rottura. Perché? Proprio perché dicono cose accettabili. Le iniziative autonome non vengono mai mediatizzate.

UNIV: Bisogna fare una differenza tra la burocrazia sindacale e la base. La burocrazia per noi non è un alleato: l’ha dimostrato la Cfdt nel 2019, quando c’era la prima fase della mobilitazione contro la riforma delle pensioni e ha tradito il movimento ritirandosi dall’intersindacale, anche se la riforma restava terribile e neoliberale. Così ha fatto anche nel 2016. La testa sindacale per noi è lì solo per mediare con il potere, è il suo ruolo. Infatti è stata completamente aggirata e superata dai gilet gialli, un movimento completamente orizzontale che non voleva rappresentanti. Il rischio è che oggi riprenda piede il loro ruolo di mediazione.

Queste riflessioni non valgono per la base sindacale, che è sempre stata più vicina ai movimenti. Per esempio, nel 2016 dei portuali hanno bloccato il porto di Le Havre per chiedere la liberazione degli studenti in stato di fermo; sempre nel 2016 abbiamo visto pezzi del sindacato prendere parte al cortége de téte. Oggi quello che mi sembra potente è questo legame tra la base sindacale e le parti più radicali. Alcune basi sindacali hanno anche partecipato a blocchi e occupazioni studentesche.

Ma non pensate che il ruolo dei sindacati, in quanto strutture dalla grande capacità organizzativa, sia stato anche positivo in questa mobilitazione? Possono essere visti come uno spazio politico importante in cui si può giocare una partita di radicalizzazione, o sono principalmente un freno?

LIC: Per riassumere, pensiamo che i sindacati abbiano dei limiti, ma che possano essere superati. La cosa fondamentale è cercare l’unione dei lavoratori e delle lavoratrici, uniti nelle pratiche radicali, ed è possibile. Sabato [11 marzo] c’è stato un momento di tensione di piazza tra alcune fazioni autonome e la burocrazia della Cgt, ma forse questa non è la tattica migliore. Vediamo come si evolve.

UNIV: La burocrazia non è recuperabile, perché è funzione del potere; ma è fondamentale partecipare alle iniziative delle basi sindacali per creare dei legami. Sui sindacati studenteschi ho un giudizio più netto: penso che vadano proprio combattuti. Le persone che prendono parte a sindacati e partitini studenteschi lo fanno per mettersi in mostra, per aprirsi un futuro politico, o anche solo perché gli piace avere delle responsabilità e un ruolo di potere. In ogni caso, non sono al servizio di coloro che lottano e soffrono la violenza istituzionale. In futuro sarà necessario passare per un confronto contro questi burocrati. D’altronde, in strada ci sono sempre tensioni tra il servizio d’ordine e il corteo di testa. Io capisco che la gente sia incazzata con il sevizio d’ordine, ma penso che non sia questo il punto delle manifestazioni e non lo sostengo.

Quali sono le forme di organizzazione e di lotta studentesche? E quali le prospettiva di lotta nei licei e nelle università, non solo in questo movimento, ma in generale?

UNIV: All’università non credo si possa dire che c’è un movimento di massa. Partecipa soprattutto gente che ha già una sensibilità politica, o era già militante. La mia speranza per il futuro è che vengano coinvolte sempre più persone. Durante questa mobilitazione ci sono state una decina di occupazioni di atenei, e non solo questo, anche voglia di vivere in modo diverso l’università; sono stati organizzati numerosi incontri e laboratori. Una trentina di studenti hanno occupato uno spazio universitario molto securizzato al Campus Condorcet, tra l’altro un ateneo in una banlieue popolare. Un gesto molto forte. La polizia è arrivata subito e ha messo tutti in guardina. A seguito di ciò, è stato lanciato un appello per il giorno dopo che ha radunato più di duecento persone. Questo ha cambiato i rapporti di forza, e innescato una serie di eventi: il presidente ha chiamato il ministero dell’istruzione, che a sua volta ha chiamato la prefettura e un’ora dopo tutti gli studenti sono stati rilasciati. È stato un momento importante. Oggi il luogo che era stato occupato è diventato un luogo autogestito, molto animato. In conclusione, il mio augurio rispetto al movimento studentesco è che si allarghi, e che una molteplicità di pratiche fioriscano dappertutto.

LIC: Rispetto alle scuole, l’anno scorso c’era una sorta di tolleranza per le occupazioni, quindi hanno occupato quasi tutti, e questo ha generato una radicalizzazione. Oggi c’è invece una repressione molto forte, ma la radicalità è rimasta. Per l’avvenire della lotta sarà importante emanciparsi dai sindacati, e oltre a questo estendersi e anche uscire da Parigi, andare nelle banlieue, perché anche lì si blocca ma non c’è attenzione mediatica. Generalizzare e rompere questa frattura che c’è tra Parigi e la sua periferia, ma anche differenziare le nostre tattiche e non fare solo blocchi.

Avete detto che partecipa soprattutto gente militante o con sensibilità politica. Come si organizzano le aree autonome? Oltre a questo, qual è il rapporto con gli insegnanti?

UNIV: Nel movimento autonomo ci sono due forme di organizzazione: i gruppi di affinità, che non hanno una dimensione pubblica o mediatica, per esempio non esistono sui social, ma si organizzano per le manifestazioni e altri eventi; oltre a questo, una forma che si usa sempre di più è quella della “coordinazione”: si costituisce un gruppo largo ed eterogeneo, che non ha un’ideologia rivendicata e si organizza in maniera orizzontale rispetto a degli obiettivi. Inoltre, c’è da dire che alle occupazioni degli atenei partecipano anche i sindacati, non c’è una frattura su questo, partecipano tutti.

A livello liceale la situazione è simile. Esiste il Clap, coordinamento liceale autonomo Paris-Banlieu, che lancia gli appelli per le differenti iniziative. Ciò che ci piacerebbe vedere sarebbe la creazione di comitati locali per ogni scuola. Nel ’68 c’erano i Cal – Comitati di azione liceali, e ci piacerebbe vederli risorgere nella forma di gruppi anche non troppo numerosi, venti o trenta persone, che però agiscono quotidianamente in ogni scuola per evidenziare gli aspetti politici e agire di conseguenza. Sarebbe importante anche per per allargare la partecipazione politica oltre la questione delle pensioni.

A livello universitario direi che gli insegnanti partecipano ma in un modo abbastanza tradizionale, come quello dello sciopero. C’è comunque una certa reticenza, non li si vede nelle occupazioni o nelle azioni più radicali. C’è sostegno ma non partecipazione attiva. A livello delle scuole, direi che i professori agiscono più che altro come mediatori per quanto riguarda la repressione, per limitarla e rassicurare. Ma è normale, perché sono i giovani che combattono.

Qual è la prospettiva che vedete per questo movimento, e quali pensate che saranno i prossimi passaggi, sia nelle manifestazioni che al di fuori di esse?

UNIV: La riforma sarà votata a breve. La questione più pressante è quindi cosa si farà dopo la votazione. La lotta continuerà, deve svilupparsi anche dopo il voto. Vorrei che si allargasse anche il discorso politico di opposizione, che si assumesse una prospettiva “altra” più generale. Per quanto riguarda le pratiche, si è molto divisi al riguardo. Io ho l’impressione che, rispetto al 2016, il cortége de tête prende meno, c’è meno partecipazione attiva. Certo, a ogni manifestazione ci sono tensioni, ma molto meno intense. Molta gente è stata arrestata o ha dei processi. Credo sia interessante ragionare su come agire al di fuori delle manifestazioni, e non solo nelle forme tradizionali come i blocchi, le occupazioni, i momenti di sostegno a chi sciopera. Penso a momenti anche fuori dalle città, come sta succedendo per la mobilitazione contro i mega-bacini, o nelle Zad. In generale, esperienze che possano creare connessioni tra persone diverse. Per quanto riguarda i mega-bacini, il primo appello per contrastarli è davvero riuscito, anche perché in quel momento il movimento languiva, l’umore era pessimista e la sensazione diffusa era che non succedesse niente. Di colpo, una chiamata che ha raggruppato migliaia di persone, costruendo un rapporto di forza in grado di tenere contro la repressione e la polizia come non succedeva da tempo.

Più in generale, penso che sia fondamentale rinfocolare uno spirito di insubordinazione. Anche se un’azione non raggiunge il proprio scopo, o non ha un obiettivo specifico da raggiungere. Mostrare forme di irrispettosità nei confronti della polizia e dei simboli del capitale, anche fuori dal quadro di un movimento sociale ben definito: per esempio, organizzarsi per fare le autoriduzioni. Mettere uno spirito di rivolta nel nostro quotidiano, perché è lì che subiamo la violenza e la sottomissione. Tutto questo non può essere limitato alle manifestazioni. (edoardo girardi)

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La notte dei fuochi. A Parigi e in tutta la Francia

Arrivo a place de la Bastille tardi. Ho mandato il pezzo al giornale alle otto di sera, il tempo di passare da casa a depositare il computer e sono già le dieci e mezzo quando riesco finalmente a scendere per strada. Nel frattempo, cortei “selvaggi” hanno già attraversato Parigi in lungo e in largo, dalla stazione St. Lazare al boulevard St. Germain, per poi ricongiungersi sulla rue de Rivoli e nella place de la République.

In questi casi ho sempre paura di arrivare tardi, di perdermi la folla che, in genere, si muove veloce. Invece mi basta seguire la puzza di bruciato nella metro. Il tempo di uscire davanti al teatro dell’Opera, con la Colonna di luglio sullo sfondo, ed ecco spuntare un grande corteo – un migliaio di persone, o forse il doppio – che intona all’unisono l’odio verso la polizia. Là dove passa il corteo, spuntano le fiamme.

Sono giovani, mi sembrano soprattutto liceali e ai primi anni di università. Si lanciano nel faubourg St. Antoine con un’energia ammirabile, e il corso si riempie di cassonetti e transenne. Un ragazzo appicca il fuoco a un sacchetto del McDonald’s. Un altro accende direttamente i cestini agli angoli della strada. Rapidamente, è tutto un gran bruciare di spazzatura.

Nella strada a fianco, che aggira il faubourg, ci sono ancora più fiamme, un fumo nero appesta l’aria, spesso e puzzolente. Mentre seguo a passo spedito la folla, uno scoppio in alto nel cielo e una nuvoletta annunciano i primi lacrimogeni. Faccio marcia indietro, mentre i Crs tagliano il corteo in due. Una linea di poliziotti si trova presa tra la folla. Nessuno lancia niente. Noncuranti, i giovani continuano ad appiccare il fuoco alla spazzatura che tracima sui marciapiedi della capitale, dopo due settimane di sciopero degli spazzini.

I netturbini scioperano dal 7 marzo contro la riforma delle pensioni e per l’aumento dei loro miseri salari. Hanno bloccato depositi e inceneritori, col risultato che più di diecimila tonnellate di spazzatura si sono accumulate per le strade di Parigi. Di fronte alle immagini dei turisti disgustati, il governo ha imposto la serrata, caricando i picchetti con l’antisommossa e andando a requisire gli spazzini sotto casa, mandando le volanti a controllare i camion del pattume. Ciononostante, i sacchi neri continuano a tracimare dai bidoni, mentre gli spazzini fanno lo sciopero dello zelo e attivisti “ammanettano” i cassonetti tra di loro.

Stanotte, la lotta degli spazzini trova un’inattesa convergenza con la folla inferocita dall’autoritarismo di Macron, tramite accendini e fiammiferi, sotto forma di carburante per barricate.

La folla si riforma al di qua dello schieramento di polizia, sotto alla Colonna di luglio, e parte verso il Marais. Un gruppo di poliziotti scatenati carica di qua e di là, i lacrimogeni saturano l’aria. M’infilo in una viuzza, appena in tempo per evitare una carica, poi mi schiaccio contro il muro mentre ne arriva un’altra. Un poliziotto prende di mira un giovane passante e gli apre il cranio, lo insulta e se ne va. Il ragazzo inebetito si tocca la testa, appoggiato contro un muro. Qualcuno gli passa un fazzoletto. Non era neanche un manifestante.

Per quanto agitino i manganelli, i poliziotti sono in totale confusione. C’è troppa gente, che si muove troppo in fretta, per troppo tempo. Come ti giri, spunta un gruppo nuovo. Un amico dice: «Sembra che la gente esca dai muri». Si va avanti così fino a quasi l’una di notte. E non è solo a Parigi, anzi: a Lione, a Nantes, a Rennes, a Montpellier, a Strasburgo, ovunque, migliaia di persone – giovani, per lo più – appiccano fuoco alla spazzatura, mentre la polizia scatenata picchia, soffoca, arresta, alla cieca.

Questo, poi, di notte. Perché di giorno i blocchi si moltiplicano: di qua i ferrovieri invadono i binari a Versailles; di là i lavoratori delle raffinerie di Le Havre chiudono depositi e impianti; laggiù a Marsiglia chiudono il porto dei container dei carburanti; e così via. Poi, di notte, il tempo di far accumulare un po’ di spazzatura, si riaccendono i fuochi. Per le strade, e sui picchetti.

Succede a Parigi e nelle città, ma soprattutto succede nei piccoli centri. In questo senso, si vede che i gilet gialli sono passati di lì. Non so se durerà, ma quando vedi che nei posti più sperduti ci sono blocchi e fiamme, che le rotonde sono bloccate, è impossibile non pensare a quell’esplosione che furono i gilet jaunes.

Forse è l’unico linguaggio che Macron capisce: l’émeuteLa rivolta di piazza, coniugata questa volta al blocco economico, all’arresto dei flussi. Macron è l’incarnazione stessa dell’autoritarismo neoliberale, autore di una riforma che non vuole nessuno, che non ha votato nessuno, neanche un parlamento che pure, nell’assetto istituzionale francese, ha un peso tutto relativo. Un monarca decisamente poco illuminato – e allora, non deve stupire che nelle piazze, soprattutto alla Concorde, all’imbocco degli Champs-Elysées, là dove una volta era montata una delle ghigliottine, la gente urli il suo nome assieme a quello di Louis XVI, «qu’on a décapité / Macron, on peut recommencer». (filippo ortona)

21/3/2023 https://napolimonitor.it/

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