Che diritti hanno le donne contro la violenza

Nel 2021, secondo il bollettino del Ministero dell’Interno, le donne uccise in Italia dall’inizio dell’anno nell’ambito familiare e affettivo sono state 103, la maggior parte per mano del partner o dell’ex partner. Un numero alto, troppo alto, e in aumento. Come ogni anno della violenza di genere si parla prevalentemente nel mese di novembre, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, che cade il 25 novembre e coincide generalmente anche con il momento in cui vengono pubblicati dati e studi sulla violenza che – nelle sue varie forme – colpisce le donne in quanto donne, a causa cioè dell’oppressione specifica che subiscono in una società patriarcale, aggravata spesso dall’intersezione con altre caratteristiche personali oggetto di discriminazione, quali la classe, l’orientamento sessuale, l’identità di genere, l’etnia e il background migratorio, la classe e la disabilità.

A quasi due anni dall’inizio dell’epidemia di Covid-19 che, come sappiamo, ha causato un acuirsi della violenza di genere, specialmente tra le mura domestiche – è stata pubblicata la relazione aggiornata della Commissione d’inchiesta del Senato su femminicidio e violenza di genere, focalizzata sulla risposta giudiziaria ai femminicidi in Italia nel biennio 2017-2018; ed è stato approvato un disegno di legge recante “Disposizioni per la prevenzione e il contrasto del fenomeno della violenza nei confronti delle donne e della violenza domestica”, il cui testo non è stato ancora reso pubblico e che dovrà essere discusso in Parlamento.

Quello che però sappiamo, dalle prime analisi pubblicate, è che l’obiettivo di questa proposta legislativa è quello di rafforzare lo strumento penale come mezzo di contrasto alla violenza, sulla scia di un approccio fondamentalmente criminalizzante in voga da anni, in Italia come altrove, che ha portato, per esempio, nel 2019 all’approvazione della cosiddetta legge sul “Codice Rosso”.

Quanto è efficace e come viene utilizzato il diritto penale nel contrasto alla violenza di genere? È in grado di offrire una reale riparazione e una fuoriuscita concreta dalla violenza? È sufficiente per rispondere a un’oppressione strutturale? O necessita di essere adeguatamente integrato da politiche di finanziamento ai servizi e alle opportunità di inserimento sociale che sono alla base di una vita libera dalla violenza? Sono domande cruciali.

Un primo passo nella comprensione delle questioni in campo può essere quello di analizzare come i sistemi legislativi e penali dei paesi europei definiscono e affrontano la violenza di genere nelle sue varie forme, compresa la violenza esercitata con mezzi informatici, ovvero i crimini d’odio perpetrati online e la diffusione non consensuale di immagini intime, impropriamente e comunemente nota come revenge porn.

È proprio questo l’obiettivo del report recentemente pubblicato dallo European network of legal experts in gender equality and non-discrimination, a firma delle docenti Sara De Vido e Lorena Sosa, dal titolo Criminalisation of gender-based violence against women in European States, including ICT-facilitated violence. Attraverso un dettagliato questionario (disponibile in allegato al rapporto) somministrato a 31 espertə nazionali del network, il rapporto ricostruisce la normativa esistente in 31 sistemi giuridici europei: i 27 Stati membri dell’Unione europea, Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Regno Unito.

Il primo elemento a emergere è sicuramente la mancanza, nella maggior parte degli stati considerati, di una definizione chiara e specifica di violenza di genere. Nonostante l’esplicito orientamento in questo senso della normativa comunitaria e internazionale, il riferimento alla violenza di genere nelle normative e nelle policy nazionali acquisisce infatti una veste neutra, senza specificare che ad agire quella determinata forma di violenza che il diritto penale intende contrastare sono gli uomini cisgenere e che è proprio il ruolo di potere strutturale loro riconosciuto nei sistemi sociali sessisti e patriarcali che richiede forme specifiche di tutela per le persone che questa violenza la subiscono.

La violenza di genere non viene, quindi, quasi mai riconosciuta come una forma di discriminazione e come risultato delle disparità di genere. L’intersezionalità dei motivi di discriminazione è poi praticamente assente: solo cinque paesi fanno implicitamente riferimento a questo tema o dispongono di norme a tutela delle condizioni di vulnerabilità di gruppi specifici di donne, in particolare nel campo delle politiche dell’asilo.

Inoltre, solo tra gli stati analizzati ha introdotto nella legislazione statale una definizione chiara e compiuta di violenza online; gli altri si sono limitati a prevedere disposizioni di contrasto di forme specifiche di questo tipo di violenza. Secondo le autrici, l’approccio neutrale alla violenza di genere ha effetti deleteri sull’efficacia dello strumento penale nel contrastare, per esempio, la violenza domestica, causando sottostime e un numero esiguo di procedimenti e condanne.

Sempre nell’ambito della violenza domestica, molti stati richiedono – ai fini dell’azione penale – la natura ripetuta e regolare della violenza, alimentando la vittimizzazione delle donne. Allo stesso modo, la vittimizzazione secondaria è alimentata anche dalla scelta di molti ordinamenti giuridici di considerare la violenza psicologica solo in relazione alle sue conseguenze e non come una forma di coercizione in sé, aumentando l’onere probatorio a carico delle donne.

Per quanto riguarda la violenza sessuale e lo stupro, le autrici sottolineano che solo pochi stati – undici – tra quelli analizzati hanno introdotto definizioni di queste forme di violenza fondate sulla mancanza di consenso, come raccomandato dalla Convenzione di Istanbul, ma non solo. Come sopra, nella gran parte degli ordinamenti giuridici la definizione di violenza sessuale è neutra da un punto di vista di genere, e questo rende invisibile la natura strutturale dei rapporti di potere.

Un capitolo del rapporto si concentra poi sulle mutilazioni genitali femminili: 18 paesi tra quelli considerati hanno introdotto specifiche disposizioni penali per contrastare queste pratiche che sono perseguibili, generalmente, d’ufficio anche se linee guida specifiche per le autorità investigative sono presenti solo in un paese. Nello stesso capitolo, le autrici affrontano anche il tema delle altre pratiche di intervento non consensuale sui corpi, includendo gli interventi medici sui corpi delle creature intersessuali, in quanto invasivi, non necessari e non volontari.

La dimensione virtuale della violenza emerge con particolare evidenza quando si parla di stalking, forma di violenza ormai disciplinata nella maggior parte degli stati inclusi nel rapporto. Lo stalking online risulta essere sempre più frequente e questo si riflette in molteplici aspetti del diritto penale: dalla formulazione del reato, alla configurazione dei comportamenti che rientrano in questa fattispecie, alle linee guida in materia e alle circostanze aggravanti della condotta.

Tuttavia, le donne che subiscono stalking fanno fatica a portare questa forma di violenza nelle aule dei tribunali a causa delle difficoltà nel provare la condotta subita, della mancanza di sensibilità e consapevolezza da parte delle autorità pubbliche e dello scarso peso generalmente attribuito a questo tipo di violenza.

Difficoltà in ambito giudiziario vengono evidenziate anche per le donne che devono affrontare la diffusione non consensuale di immagini intime. Laddove non esiste una disposizione di legge che affronta nello specifico questo tipo di violenza, l’unico rimedio a loro disposizione è il reclamo contro le piattaforme che ospitano questi contenuti e la richiesta di rimozione degli stessi: in questi casi, tuttavia, la decisione in merito rimane una prerogativa di chi gestisce la piattaforma stessa, con risultati spesso poco efficaci.[1]

Ogni capitolo del report fornisce raccomandazioni per rendere il diritto penale uno strumento efficace nel contrasto alle differenti – e sempre in evoluzione – forme di violenza di genere. Le autrici, inoltre, evidenziano che la violenza contro le donne deve essere affrontata con urgenza e in modo efficace a livello europeo anche per mitigare la forte disomogeneità a livello statale.

Al di là degli ambiti tematici specifici, una conclusione generale a cui le autrici arrivano è che senza dubbio lo strumento penale da solo non basta: c’è bisogno, invece, quello che loro definiscono un approccio olistico, ovvero è necessario accompagnare uno strumento penale efficace a servizi a supporto delle donne e anche – a loro avviso – degli uomini che agiscono la violenza.

Quello che serve, dunque, è un approccio strutturale alla violenza di genere da parte delle autorità pubbliche, più fondi per finanziare servizi, centri anti-violenza, case rifugio e una maggiore consapevolezza da parte chi amministra lo strumento penale per far sì che il ricorso alla giustizia, ove scelto da chi la violenza la subisce, non sia un percorso a ostacoli e un’ulteriore causa di violenza e vittimizzazione.

È quello di cui le donne avrebbero forse bisogno per essere libere dalla violenza: c’è chi lo dice da tempo e c’è chi ascolta, o finge di farlo, solo a novembre. 

Note

[1] In Italia è il Codice Rosso del 2019 ad aver introdotto il reato per diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (art. 612-ter codice penale). 

Marta Capesciotti

1/2/2022 https://www.ingenere.it

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