Ci vivresti qui?

Ci vivresti qui? Questa è la domanda con la quale un somalo che abita da vent’anni a Borgo Mezzanone ci ha accolto durante l’incontro che abbiamo avuto nel ghetto auto-organizzato, nelle campagne tra Manfredonia e Cerignola, in provincia di Foggia. Borgo Mezzanone è come una stazione deturpata, un’ultima fermata, sotto le intemperie, in cui viverci o fare sosta tra un lavoro e un altro in giro per l’Italia. Le persone che ci vivono mediamente sono 2.000, ma d’estate sono oltre 4.000. Quasi tutte di origine africana, molte provengono dalla Nigeria.

La temperatura è di 34 gradi a fine maggio, in una giornata asciutta, ma già assolata e molto calda, che lascia presagire l’arsura dell’estate. Non c’è un albero, non c’è ombra sennò quando il sole si abbassa al tramonto e le case basse disegnano spazi riparati con un calore accettabile. Se c’è un leggero venticello, come quando siamo andati, si riesce quasi a respirare. Ma d’estate la temperatura arriva anche a 50 gradi.

Borgo Mezzanone è un insieme quasi ordinato di baracche di mattoni e lamiere metalliche, senza servizi igienici, discariche a cielo aperto che il vento distribuisce nelle campagne estese che si perdono a vista d’occhio. Attività economiche di ogni tipo: artigiani e artigiane come barbieri, estetiste, gommisti, meccanici, commercianti di generi alimentari, di bombole di gas, abbigliamento e altro ancora, e poi bar, ristoranti, discoteca, bordello e moschee, il tutto lungo la strada asfaltata vicino alla “pista”, quella dell’aeroporto abbandonato. Ma dietro le prime case il degrado è ancora più evidente, un livello ancora più deturpato di case misere, degradate e piccolissime in mezzo alla terra, che d’inverno non ci si arriva perché diventano fangose e melmose. Un impatto molto forte, soprattutto per il contrasto tra abbandono e organizzazione, tra disperazione e capacità di reazione.

Borgo Mezzanone è al centro del tema delle migrazioni, esempio di quello che non dovrebbe mai accadere, ma rappresenta pur sempre una risposta dei cittadini del mondo che arrivano nel nostro paese per lavorare, a volte anche assunti regolarmente. Le leggi Bossi Fini e il decreto Salvini, che ha tolto il permesso di soggiorno per motivi umanitari, sono i temi principali dibattuti, ma con riferimento ai casi concreti. È stupefacente comprendere come leggi, apparentemente così distanti per molti italiani, abbiano un effetto sulla carne e sulla vita di persone, per lo più giovani, alcune delle quali vivono da tanto in Italia. L’avvocatessa presente nel nostro gruppo è presa quasi d’assalto; a lei vengono affidate fotocopie e racconti che per loro rappresentano una possibilità di riscatto nella giustizia. Ci offrono riparo, ci fanno sedere, per noi è un vero ristoro perché ci offrono anche un caffè, dolce e malinconico, come l’aria di ospitalità che si respira. Al termine qualcuno lascia un po’ di soldi, ma alcuni uomini si offendono, mentre le donne sorridono con gli occhi pieni di riconoscenza.

Ci raccontano di truffe che gli italiani perpetrano ai loro danni offrendo residenze fittizie, necessarie per i diritti sanitari o dell’impossibilità di avere un lavoro fisso che consente loro a scadenza di prorogare il permesso di soggiorno. Ci dicono che quello che vediamo lo abbiamo voluto noi, ma che loro ne farebbero volentieri a meno. Nessun italiano vive permanentemente nel ghetto di Borgo Mezzanone e forse un motivo ci sarà.

Ho conosciuto molte persone di Manfredonia che neanche sapevano del ghetto nel loro comune. Per tanti il ghetto esiste, ma è lontano, in un altro comune o forse fuori dal mondo. Eppure ogni mattina la superstrada Foggia-Manfredonia è disseminata di lavoratori che con le loro bici costeggiano la strada a percorrenza veloce a volte attraversandola a rischio di vita. Ti verrebbe la voglia di definirlo un girone dell’inferno dove delinquenza e vite sane, di lavoratori dei campi, convivono, per la stragrande maggioranza sfruttati, dove i bambini e le bambine vengono tenuti nascosti alla visita di noi ospiti, per timore dell’arrivo delle assistenti sociali che potrebbero portarli via alle madri.

Ho desiderato esserci nel ghetto, me ne hanno sempre parlato, ma ora che ho visto per poche ore qualcosa di esteriore, senza viverci, mi chiedo perché quel punto del mondo vive e sopravvive in mezzo all’apparente nonsenso di quel non luogo. Tante cose verrebbero da dire, ma si resta impotenti. Noi che il lavoro sociale ce lo mangiamo a colazione, pranzo e cena, qualcosa possiamo sempre fare. Molte realtà associative, cooperative e sindacati lavorano in quello spazio di vita e per quelle persone e si sono prese in carico storie, sofferenze, angustie, progetti, domande e speranze. Tutto questo è possibile perché il sociale si associa, si unisce, progetta e partecipa a percorsi denominati Asimmettrie – “Azione di Sistema Integrato Multiregionale MEdio-adriatico contro la TRatta e lo sfruttamento e per l’Inclusione socio-lavorativa delle vittimE” – finanziato dal Dipartimento Pari Opportunità. Oppure altri progetti come Diagrammi per persone vittime di grave sfruttamento lavorativo. E se mi sono trovato lì è perché le cooperative lombarde, umbre, marchigiane, laziali, abruzzesi, molisane e pugliesi hanno organizzato uno studio di un caso. Da essi ho ricevuto osservazioni, stimoli e indicazioni ricche e stimolanti. Oggi persino il PNRR si sta occupando dei ghetti e vorrebbero trasformare il tutto in una accoglienza dignitosa con servizi igienici veri, ma sul tavolo ci sono anche altre idee come le ospitalità diffuse, utilizzando le case abbandonate dei paesi.

È evidente come quelle problematiche emerse dalla visita in quel ghetto e dalla conoscenza delle storie, richiedano una soluzione politica con leggi giuste, per scelte giuste, frutto del dialogo, del rispetto e dell’accoglienza profonda. Politicizzare il sociale è ancora più urgente, cercare di assumere il bene comune che è nel lavoro sociale che svolgiamo. Questo sembra essere uno dei richiami di quella visita. Forse occorre una grande manifestazione nazionale per risvegliare le coscienze di chi rifiuta la semplice idea dell’esistenza di un luogo così. Socializzare il politico è l’altra faccia della medaglia, chi ricopre ruoli e cariche politiche dovrebbe prendersi carico di queste vite, di queste storie, riconoscerle, accogliendole. Ma ci dicono che sempre più la regione Puglia ed altre istituzioni se ne occupano, forse anche perché è un’occasione importante di restituire un senso di umanità a lavoratori utili e necessari, ma non rispettati. Il sistema ha creato, il sistema può ricreare tanti Borgo Mezzanone, fintato che non si incide sulle cause profonde, sul diritto all’abitare, sul diritto a vivere.

Se Cristo si è fermato ad Eboli, il sistema, di cui noi tutti facciamo parte, si è fermato a Borgo Mezzanone. E tu ci vivresti?

Antonio De Lellis

3/6/2022 https://comune-info.net

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