Come migliorare (davvero) l’assistenza sanitaria

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L’ultimo numero del BMJ (19 maggio, n. 8153) dedica la copertina e una serie di riflessioni su come migliorare la qualità delle cure e sul perché da molti anni i sistemi sanitari non registrano significativi progressi in questa direzione; ad esempio da 25 anni il tasso di eventi avversi è rimasto stabile, a livello di circa 1 ogni dieci pazienti. “Come affrontare il problema in un modo veramente nuovo e efficace?”, si chiede l’autore dell’articolo principale[1], Jeffrey Braithwaite, direttore dell’Australian Institute of Health Innovation.

Una premessa – un’ulteriore domanda – è d’obbligo: perché in sanità i cambiamenti sono così difficili? La risposta sta nell’estrema complessità del sistema sanitario; nessun altro sistema – le banche, la scuola, l’industria manifatturiera, la difesa – è così complesso. Nessun’altra industria o settore ha equivalenti livelli di gamma e di ampiezza – come i complessi modelli di finanziamento, la varietà e la molteplicità dei servizi, la complessità dei bisogni e le così tante opzioni e interventi per le esigenze di una persona. Il sistema sanitario ha inoltre molteplici attori, con ruoli e interessi diversi, e regolamenti non uniformi che controllano strettamente alcune questioni e toccano a malapena le altre. Le varie combinazioni di cura, attività, eventi, interazioni e risultati sono, a tutti gli effetti, infinite.

Quando i sostenitori del miglioramento cercano di attuare il cambiamento, i sistemi sanitari non reagiscono in modo prevedibile; rispondono in modi diversi agli stessi input (personale, finanziamenti, bisogni dei pazienti, edifici e attrezzature). Nel linguaggio della scienza della complessità, questa è “non-linearità“. L’enorme numero di variabili e l’imprevedibilità delle loro interazioni rendono difficile l’ordine. E i sistemi sanitari sono indeterministici, il che significa che il futuro non può essere previsto estrapolando dal passato.
Perchè allora un sistema complesso e apparentemente dinamico come quello sanitario si trova in genere in una condizione di evidente stagnazione? Perché l’insieme dei negoziati, dei trade-off e del posizionamento degli stakeholder spinge decisamente verso l’inerzia. Nessuna persona o gruppo è in sé da biasimare; ma un sistema complesso chiaramente non cambia solo perché qualcuno concepisce e quindi impone una soluzione progettata allo scopo.

Ciò solleva ulteriori domande: quali circostanze possono facilitare i cambiamenti nei sistemi sanitari complessi e quali circostanze invece ne impediscono i progressi? L’Autore sintetizza in uno schema (Tabella 1) le prime (attractors) e le seconde (repellents).

Tabella 1. Fattori che facilitano o impediscono i cambiamenti.

1. I sistemi possono cambiare quando:

Sono stimolati dal progresso medico, ad esempio nuovi test diagnostici e nuovi farmaci efficaci, nuove acquisizioni nel campo della produzione d’immagini e di tecniche chirurgiche;
Prove incontrovertibili mostrano benefici per la sanità pubblica, come ad esempio le vaccinazioni o la lotta contro il fumo;
Si affermano nuovi ed efficaci modelli d’assistenza, come ad esempio nel campo della gestione delle malattie croniche (chronic care model) o nel campo della chirurgia (one day surgery).
2. I sistemi rigettano il cambiamento quando:

La principale o unica strategia è quella di imporre soluzioni dall’alto;
Il cambiamento non è supportato da attori che hanno il potere di resistere o di ostacolare, come la professione medica o i media;
Vengono introdotte nuove strategie e procedure che si aggiungono a una molteplicità di strategie e procedure esistenti;
I tentativi di modificare politiche o culture profondamente radicate sono superficiali.

Il messaggio chiave proveniente da questa tabella è che il cambiamento è accettato quando le persone sono coinvolte nelle decisioni e nelle attività che li riguardano, ma resistono quando il cambiamento viene imposto da altri. Il cambiamento imposto dalla politica non ha mai lo stesso peso del cambiamento clinicamente guidato.

Sistemi hardware e software

Molto è stato scritto sui molti sforzi per avviare il cambiamento nei sistemi sanitari in tutto il mondo, la maggior parte dei quali sembra presupporre due percorsi familiari. Uno è quello di modificare l’ “hardware” del sistema, ristrutturando gli organigrammi, modificando l’infrastruttura o cambiando modelli di finanziamento. Il NHS e altri sistemi sanitari hanno investito pesantemente in molti di questi sforzi. Ma i guadagni sono stati modesti e la misura in cui tali cambiamenti hanno contribuito a migliorare la cura del paziente non è chiara. L’altro approccio è quello di cambiare il “software“ del sistema misurandosi con la cultura dei settings clinici e utilizzando i classici metodi di implementazione e di miglioramento della qualità.

Nei sistemi adattativi complessi vi sono attori con diversi gradi di discrezione e di autonomia professionale in grado di respingere, ignorare, modificare o adottare selettivamente i mandati top down. I medici si comportano come pensano che dovrebbero, imparando e influenzandosi a vicenda, piuttosto che rispondere alle ammonizioni dei dirigenti o dei responsabili politici. I clinici in prima linea nei sistemi adattativi complessi accettano nuove idee basate sulla loro logica, non su quelle delle alte sfere. L’assistenza sanitaria è governata molto più dalle culture e dalle politiche organizzative locali che non da quello che vuole il ministro della sanità, un responsabile politico o un top manager.

Quelli che si trovano in prima linea (medici, personale, pazienti) si muovono nella loro piccola parte del sistema, adattandosi alle loro circostanze locali e rispondendo ai propri interessi piuttosto che alle istruzioni che provengono dall’alto. In questo modo, l’assistenza sanitaria è naturalmente resiliente, sempre al riparo da cambiamenti che non hanno senso per coloro che sul campo erogano l’assistenza sanitaria.

Per un nuovo approccio al cambiamento

Ecco sei principi su cui – secondo Jeffrey Braithwaite – potrebbe essere costruito un nuovo approccio al cambiamento.

In primo luogo, dobbiamo prestare molta più attenzione a come viene fornita l’assistenza nella prima linea. Burocrati e manager, tra gli altri, non miglioreranno il sistema né renderanno i pazienti più sicuri, emettendo più polizze assicurative, aumentando le tariffe, introducendo sistemi informatici sempre più ingombranti o eliminando i medici.

In secondo luogo, tutti i miglioramenti significativi sono locali, centrati su reti naturali di medici e pazienti. Modelli validi per tutti troppo spesso falliscono. Dobbiamo incoraggiare le idee da molte fonti; i processi e i risultati di cura varieranno qualunque cosa facciamo.

In terzo luogo, dobbiamo essere consapevoli che i medici che svolgono un lavoro quotidiano complesso fanno molte più cose giuste di quante ne possano sbagliare. Ci concentriamo sul 10% degli eventi avversi, mentre per lo più trascuriamo il 90% delle cure che non danno alcun problema. Comprendere gli errori è fondamentale, così come lo è cercare di smettere di erogare cure obsolete, inutili o eccessive. Ma, se apprezziamo come i medici gestiscono le situazioni complesse, adattandosi costantemente e ottenendo buoni risultati, possiamo iniziare a identificare i fattori e le condizioni che sostengono tale successo.

Ciò porta a un quarto punto correlato. Un recente libro che esamina i risultati nella fornitura di assistenza sanitaria in 60 Paesi a basso, medio e alto reddito ci ha mostrato che ogni sistema può raccontare molte storie di successo[2]. Si va dalla donazione e trapianti di organi in Spagna a sistemi di allerta precoce per l’aggravamento dei pazienti in Australia e Qatar, alla realizzazione di standard minimi richiesti in Afghanistan, al miglioramento delle tecnologie informatiche a Taiwan, alla diffusione di assicurazioni sanitarie basate sulla comunità in Ruanda. Questi risultati apparentemente molto diversi hanno quattro fattori comuni: iniziare con iniziative su piccola scala per poi allargare l’intervento; raccogliere i dati e fornirli ai decisori politici; ricordarsi che il modello di eroe solitario in sanità non funziona e che la collaborazione è alla base di tutti i cambiamenti produttivi; e avendo sempre il paziente al centro di qualsiasi intervento di riforma. Tali idee ispiratrici riflettono il pensiero sulla complessità e non sono necessariamente basate sulla logica riduzionista, causa-effetto.

In quinto luogo, potremmo semplicemente essere più umili nelle nostre aspirazioni. Mettendo da parte il mito dell’inevitabile progresso, dovremmo riconoscere che gli interventi su vasta scala a volte hanno effetti scarsi o nulli e che piccole iniziative possono talvolta produrre risultati imprevisti. Dobbiamo ammettere a noi stessi che non possiamo sapere in anticipo quale si verificherà.

In sesto luogo potremmo adottare un nuovo modello mentale che apprezzi la complessità dei sistemi di assistenza e capisca che il cambiamento è sempre imprevedibile, difficile da realizzare e richiede tempo, spesso è tortuoso e deve sempre essere adattato all’ambiente.

Dobbiamo trasformare – conclude Braithwaite – l’assistenza sanitaria in un sistema di apprendimento, con i partecipanti in sintonia con le caratteristiche dei contesti e con forti cicli di feedback per cercare di creare lo slancio per il cambiamento. Se costruiamo una prospettiva condivisa e attingiamo a nuovi paradigmi del pensiero, forse possiamo andare oltre le prestazioni degli attuali rigidi sistemi.

Bibliografia

Braithwaite J. Changing how we think about healthcare improvement. BMJ 2018; 361 doi: https://doi.org/10.1136/bmj.k2014
Braithwaite J, Mannion R, Matsuyama Y, et al., eds. Health Systems Improvement Across the Globe. Success Stories from 60 Countries. CRC Press Taylor and Francis Group, 2017.

Gavino Maciocco

21/5/2018 www.saluteinternazionale.info

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