Coronavirus, dall’allarmismo al controllo dell’infezione

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Il controllo delle epidemie di infezioni gravi e altamente diffusibili è basato sulla capacità professionale individuale dei sanitari, sulla organizzazione sanitaria ove questi operano e sul coordinamento ottimale delle struttura di sanità pubblica a livello locale e internazionale.
La guida e il sostegno a tutte queste azioni rispetto a rischi per la salute globale, oltre che individuale, è in genere affidato alla Organizzazione Mondiale della Sanità ed è basato sulla corretta rivalutazione dei dati a disposizione.
La efficace gestione delle epidemie è quindi imperniata su alcuni pilastri, quali: conoscenza del patogeno (genetica dello stesso, risposta immunitaria dell’individuo contaminato…), su organizzazione sanitaria e sociale e su disponibilità in tempi rapidi del massimo numero di informazioni prima ignote. Questi pilastri non sono sempre contemporaneamente impiantati.

Il controllo della diffusione di una infezione inattesa nasce in definitiva da buona pratica clinica con la domanda iniziale di un sanitario: “c’è un problema insolito?” ma per porsi questa domanda gli operatori devono poter sapere (formazione), poter lavorare in team (integrazione e interazione ) ed essere garantiti da una supervisione che solo la Sanità Pubblica, intesa anche come organismo di servizi epidemiologici, può dare.

Quindi se il livello locale di interpretazione dei problemi funziona non può e non deve venire a mancare il “secondo livello” di azione. da parte delle autorità competenti.
Purtroppo in Cina il primo livello ha funzionato nella persona del giovane Dottor LI , deceduto per la malattia, e a cui va un ricordo imperituro, poiché il medico ha messo insieme la propria competenza clinica con le raccomandazioni della sorveglianza post epidemica della SARS (modello WHO di alert per scongiurare sul nascere nuove epidemie di coronavirus SARS – like).

A questo sacrificio non ha subito fatto seguito il funzionamento del meccanismo di Sanità Pubblica anche se non sappiamo esattamente perché. In questo caso sarebbe importante saperlo nei dettagli perché i motivi possono : a) incapacità, inadeguatezza o realistica difficoltà organizzativa nella risposta , b) problemi politici. Oppure entrambi i motivi.
Questo evento epidemico chiamato come tutti sanno infezione da nCoV ha condotto immediatamente a voler dimostrare da parte di molti sistemi sanitari una capacità di risposta e una immediata presa di posizione politica. Per quanto concerne la adeguatezza di risposta immediata un plauso va alla presa di responsabilità del nostro governo nel bloccare i voli . Vorremmo che vi fosse però la certezza di un coordinamento di azioni di prevenzione ascoltando d’ora in poi solo gli esperti ( Sanità Pubblica, Centri Specializzati, Protezione Civile, Enti di collaborazione irrinunciabili come per esempio la Croce Rossa).
Nella primissima fase, ma ancora oggi, la comunicazione dei media è piuttosto confusa, in parte per le scarse notizie e certezze sulla epidemia, sulla trasmissibilità, sul decorso clinico, sulle terapie, in parte per la scarsa competenza sugli argomenti dibattuti da parte di vari commentatori. La confusione in questi momenti non aiuta.

Alcune domande sorgono:
Le autorità politiche e sanitarie devono essere preoccupate? Direi di sì soprattutto intendendo il termine preoccupato con “occuparsi prima “ . Quindi ora devono mettere a disposizione coordinamenti e mezzi per affrontare il rischio, e , in seguito, nella speranza che lavenga superata celermente , l’auspicio è che le medesime autorità non dimentichino, che anzi potenzino la ricerca e che tengano alta ( risorse economiche per strumenti e personale) la qualità della formazione e delle strutture finalizzate alla lotta alle infezioni note, alla prevedibili conseguenze di patogeni multiresistenti, alla risorgenza di
infezioni che si credono estinte, e alla emersione di nuove malattie diffusibili.

Gli enti sanitari sono in grado di contrastare la diffusione dell’epidemia? Si se sono coordinati e la loro capacità di intervento sia distribuita sul territorio in maniera omogenea, mentre bisogna temere le azioni a macchia di leopardo.
Le struttura sanitarie cliniche sono in grado di assistere i malati eventuali? Finora non sussiste questo problema e i numeri a disposizione farebbero pensare che, in analogia con la SARS peraltro fino allo stato attuale delle conoscenze apparentemente più cruenta, lo siano.

Infine : le persone devono temere la infezione? In genere si dovrebbe temere quello che ancora non si conosce . Noi sappiamo che il sistema conferma di essere pronto e sappiamo che i nostri sanitari sono in grado, entro i limiti della scienza e della tecnologia, di sostenere qualsiasi sfida clinica. E’ necessario avere fiducia del nostro Servizio Sanitario Nazionale, custodirlo con cura, rispettarlo e prendere atto che la saluta va affidata solo ad esperti e discussa solo da essi.
Anche se la informazione deve essere democratica ( e chiara) la assistenza, la cura e la prevenzione spesso non possono permettersi di esserlo, a cominciare da decisioni apparentemente draconiane. Queste decisioni devono essere prese solo da esperti anche coraggiosamente.
Un accenno a questo proposito è corretto rivolgerlo alle vaccinazioni in genere: se un vaccino va fatto, questo va fatto, e speriamo che ce ne siano per le grandi infezioni del XX e XXI secolo a cominciare dall’HIV per arrivare ai Coronavirus.

Roberto Bertucci

Infettivologo

Articolo pubblicato sul numero di febbraio di Lavoro e Salute www.lavoroesalute.org

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