Corpi e vita riproduttiva ai tempi del neoliberismo.

Il 10 maggio a Roma c’è stata l’ennesima (la quinta nella capitale) marcia per la vita. Niente di nuovo, insomma. La solita manifestazione degli invasati oltranzisti cattolici, fascisti, sessisti, omofobi e molto altro. Tra i vari gadget (quasi tutti rigorosamente a forma di feto, sic.) cartelli contro la 194, la pillola del giorno dopo, l’aborto, e contro le donne che procedono in questa scelta, ne spiccavano alcuni come: “io non sono un grumo” e “l’utero è mio e decide Dio” (!). Slogan per affermare” la sacralità della vita e la sua intangibilità dal concepimento alla morte naturale senza alcuna eccezioni e […] compromesso”. La “vita” in questione da difendere, è chiaramente quella dell’embrione e del feto, non certo quella delle donne.

E poi ricordiamoci che qui conta più un embrione che gli esseri umani vivi di questo mondo. Ma a quale momento del concepimento si riferiscono esattamente? Da quando scatta il regime di sacralità? Sembra non esserci una logica in queste sparate fantasiose degne dell’annosa questione sull’uovo e la gallina. Eppure è proprio questo il problema, poiché spesso cotanto fanatismo morboso e macabro viene liquidato come fenomeno folkloristico, ma se ci soffermiamo un po’ non è esattamente così nella società odierna, considerando che tutte queste convinzioni si sono infilate da tempo nel servizio sanitario, negli ospedali pubblici e nei consultori.

In Italia la legge 194, frutto di una conquista delle lotte delle donne, formalmente garantisce la possibilità di scegliere e di abortire, ma di fatto, viene quotidianamente svuotata di senso, resa inefficace dalle politiche governative e dal numero enorme dei medici obiettori (in Lombardia, Basilicata, Molise e Sicilia il numero degli obiettori supera l’80%, mentre nel Lazio si va oltre il 90%). L’obiezione di coscienza sull’aborto garantisce la carriera di molti medici, diventa misura del ricatto, cattiva abitudine che si insinua nelle pratiche correnti degli ospedali e che rallenta e di fatto impedisce a centinaia di donne di poter scegliere per sé. Non a caso, di fronte agli ostacoli e alle umiliazioni che ogni donna deve subire, in Italia è in aumento il numero degli aborti clandestini, soprattutto tra le adolescenti e le donne migranti. All’estero anche il mercato dei farmaci illegali online, dove senza ricetta è possibile acquistare il misoprostolo.

I movimenti pro-life sono dei veri e propri gruppi di pressione a livello mondiale che condizionano ogni tipo di scelta politica, economica e sociale. E’ un dato di fatto. Negli Stati Uniti in questi decenni hanno acquisito un potere senza precedenti. È stato George W. Busch a formalizzare l’apologia della vita dopo l’evento dell’11 settembre 2001 da lui definito e reinterpretato come un atto di violenza contro la vita in sé. Di conseguenza a livello pubblico-mediatico il passaggio verso la “guerra per preservare e proteggere la vita in sé” è breve.

Sempre nello stesso anno è stata estesa la copertura sanitaria ai non-nati, i primi negli USA a beneficiare di un garantito e incondizionato diritto alla salute, almeno fino al momento della nascita. Neoconservatorismo, economia neoliberale e cultura pro-life, dunque: qual è il nesso?

Pensiamo a uno dei più influenti divulgatori delle idee economiche neoliberali, il giornalista del Wall Street Journal (ma non solo) George Gilder (per un periodo ghostwriter di Nixon), uno degli esponenti di spicco della destra evangelica e creazionista, sostenitore della natura essenzialmente religiosa dei fenomeni economici.

Come suggerisce Melinda Cooper, in “La vita come plusvalore – Biotecnologie e capitale al tempo del neoliberismo”, la “teologia del capitale di Gilder afferma nel mondo la fede nei poteri generativi e redentivi dell’imperialismo del debito americano”. “Non a caso l’opera di Gilder è molto studiata e citata nel mondo del management finanziario sugli investimenti e il debito, dove creazione della vita e creazione di denaro (di plusvalore da debito, di attese e promesse) sono questioni trattate in modo analogo dalla dottrina teologica”.

L’impresa economica deve essere sostenuta da una “nazione forte”, ovvero quanto più possibile svincolata da ogni “obbligo sociale” verso i propri membri, in cui la misura originaria del valore è la nazione, appunto, “che è la forma della proprietà che si concretizza nella più conservatrice delle istituzioni morali: la famiglia”.

E la nozione di “diritto alla vita” del non nato, è l’emblema di questo insieme di norme economiche, politiche, morali, secondo cui il non nato rappresenta anche la nazione, il potere “creativo e rigenerativo” del debito contenuto all’interno della politica sessuale della vita familiare eterosessuale, possibilmente bianca. Il neoliberismo riconfigura significativamente le relazioni tra debito e vita diversamente da come si erano formalizzate nello stato sociale della metà del XX secolo.

Un ritorno e una reinterpretazione aggiornata al ventunesimo secolo al modello liberale classico della crescita, più influenzato dalla biologia e dalle teorie evoluzioniste che da quelle meccaniche.

La novità del neofondamentalismo ai tempi dell’economia neoliberale, della finanziarizzazione dell’economia e di una politica che opera in modo speculativo, è la riproposizione della proprietà sessuale, economica, produttiva e riproduttiva, illimitata, oltre il futuro, dei corpi delle donne.

Anche la concezione della vita stessa diventa una risorsa bioeconomica da colonizzare ed espropriare. “Studiose come Saskia Sassen e Isabella Bakker hanno analizzato la sinergia creatasi tra l’asservimento al debito e la diffusione di forme di lavoro estremamente flessibili e femminilizzate (lavoro affettivo, sessuale, domestico)”.

Il capitalismo avanzato investe e trae profitto dal controllo scientifico ed economico e dalla mercificazione di tutto il vivente. Controllare la riproduzione in tutti i suoi aspetti “è altamente produttivo” (prefazione di “Biolavoro globale. Corpi e nuova manodopera di Melinda Cooper, Catherine Waldby).

Il mercato della riproduzione assistita è in espansione, considerando che molte persone desiderano avere un figlio proprio ricorrendo alla maternità surrogata, oppure alla fecondazione in vitro. Una esternalizzazione della fertilità, in cui la biologia va a rinegoziare i limiti della riproduttività femminile, ma solo per chi può permetterselo.

L’altra faccia “progressista” del capitalismo avanzato è quella che, invece, esalta l’emancipazione femminile, ma in senso esclusivamente individualistico e “unidimensionale”, come a ragione scriveva Nina Power nel suo “La donna a una dimensione”. Un femminismo neoliberale che rivendica un ruolo più attivo delle donne nei luoghi di lavoro, ma quali precondizioni garantisce loro? La nuova forma di capitalismo neoliberale non vuole le donne a casa come madri full time, anzi: le vuole lavoratrici, ma con stipendi più bassi.

E in molti casi è il datore di lavoro che scandisce i ritmi e i tempi di vita. Il livello più alto in tal senso è stato toccato nella Silicon Valley, con la proposta di Google e Apple di erogare benefits aziendali a sostegno di adozione e procreazione, comprensivi di migliaia di dollari per il congelamento degli ovuli delle loro dipendenti. Nel tech-world, ancora largamente dominato dagli uomini, dare la possibilità di programmare una famiglia a lungo termine, offrirebbe un’attrattiva e una fidelizzazione in più per le lavoratrici, assicurando il loro talento e ritmo a tempo pieno nell’azienda il più a lungo possibile, contribuendo a divulgare esternamente l’immagine della wonder woman, la donna che vuole e può avere tutto.

In realtà si tratta semplicemente di posticipare l’ipotesi di mettere su famiglia non secondo una propria scelta, ma adattando il proprio ciclo biologico all’agenda aziendale. Anche qui sottomettendo il proprio corpo al capitalismo delle corporations.
Nel mondo (in Italia è un’altra storia…) inizia ad essere sempre più evidente la tendenza a normare in senso neoliberalista le nuove tecnologie di procreazione assistita e in senso sempre più fondamentalista la contraccezione e l’aborto.

I pro-life hanno un loro peso anche in Europa, 27 circa nel parlamento europeo. E in Italia la legge 40/04 l’hanno praticamente rimaneggiata loro, i pro-life.

E’ evidente che il nodo della riproduzione rimane troppo aperto, considerando che alle donne spetta sempre l’ultima parola su tutto. La domanda è ancora: cosa succede ai nostri corpi, alla nostra libertà sessuale, riproduttiva, ai tempi del neoliberismo e delle nuove tecnologie?. “Vengono incitati costantemente a produrre, a non sprecare, a riprodurre e conservare l’eccesso”. Corpi continuamente messi a lavoro, normati, sfruttati. Eppure, probabilmente, un primo passaggio sarebbe quello di abbandonare l’ossessione individualista e “unidimensionale” insita nella forma del capitalismo avanzato, in cui l’atomizzazione forzata nel mondo del lavoro, nei luoghi abitativi, etc, viene presentata come una scelta individuale, come la tua libertà. E invece non lo è.

Ambra Lancia

15/5/2015 www.zeroviolenza.it

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