Cosa ci insegna di ”nuovo” l’ incidente alla Lamina di Milano

omicidi lavoro

Da una finestra dello stabilimento della ditta Lamina s.p.a. un telefono riprende tutto lo svolgersi del presidio di denuncia contro i tre operai morti nella giornata del 16 gennaio 2018. Ancora una volta, una tragica concatenazione di morti, tragico effetto del tentativo di soccorre il primo operaio colpito dalle esalazioni. Di nuovo un caso simile a quello avvenuto a Molfetta nel 2008, o quello della Tyssenkrupp del 2007, tanto per ricordarne due; casi che diedero vita al D.lgs 81/08 e al D.P.R. 177/2011. Sì perché, oltre alle giustissime parole di rabbia verso il sistema capitalista e alla falsa retorica delle istituzioni, il problema degli incidenti su lavoro è da affrontare attraverso dei filtri ideologici materiali e in maniera ideologica quasi idealista. Per combattere questo fenomeno e analizzare il caso di Milano, occorre combattere con tutti i saperi a disposizione.

Sicuramente il sistema economico in cui viviamo, per sua necessità porta la forza lavoro a barattare la propria sicurezza e salute con la sicurezza del posto di lavoro. Così come le logiche di profitto, oggi declinate con una  parcellizzazione della lavorazioni, dove grandi ditte commissionano lavori e forniture a quelle realtà aziendali dotate ancora di un sapere tecnico e produttivo, quasi artigianale, imponendogli i ritmi di produzione e consegna, in una logica oggi definita come just in time, la quale ha superato quellafordista. Questa architettura produttiva, impone una riduzione dei costi a livello di sicurezza e salute (ricordiamo che l’azienda Lamina s.p.a. ha un fatturato di 10 milioni di euro l’anno), al tempo stesso a perdita di una cultura operaia e di avanguardie operaie all’interno dei luoghi di lavoro, così quindi come la presenza egemonica di un pensiero individualista, ha portato a un arretramento della cultura della salute nei luoghi di lavoro, spesso portata avanti dai diretti interessati, cioè i lavoratori. Su questo punto ci siamo. Ma bisogna porsi delle domande prima di agire e arrivare a conclusioni affrettate. Quali strumenti abbiamo oggi in mano, “legali” e politici? Quali criticità hanno generato l’infortunio mortale dei tre operai a Milano?

Da quanto si apprende da voci e notizie dei quotidiani, sembrerebbe che l’incidente è avvenuto sotto il forno utilizzato per scaldare l’acciaio, un macchinario austriaco, marca Ebner, revisionato ogni anno dai tecnici della casa produttrice; l’ultima ispezione risale a un paio di settimane fa. «Allo stesso modo, di recente, sono stati controllati tutti gli allarmi», racconta un operaio.

Il forno, avrebbe avuto un malfunzionamento: così ieri pomeriggio il responsabile della produzione e l’elettricista sono scesi a verificare cosa fosse accaduto. Per far questo (al momento è solo una delle ipotesi da verificare), potrebbero aver disattivato l’allarme collegato al sensore dei gas. Un’altra possibilità è che il guasto fosse più grave, tanto da provocare sia la perdita, sia il problema all’allarme. Di fatto gli operai si sono ritrovati in un ambiente colmo di gas, inodore, e l’hanno respirato. Il sistema dei soccorsi aziendale, forse un po’ improvvisato ha tirato dentro quell’atmosfera irrespirabile altri lavoratori. Tre sono morti e altri rimasti intossicati (restano degli infortunati gravi che si aggiungono ai tre morti!!). L’ambulanza, dicono, è giunta dopo circa mezz’ora dalla chiamata di soccorso. L’intera dinamica dell’incidente andrà ricostruita nel dettaglio nell’inchiesta della magistratura e dei tecnici dell’ATS di Milano.

A caldo si potrebbero fare alcune riflessioni tecniche per un sorta di inchiesta operaia:

La ditta nel suo sistema di Valutazione dei Rischi aziendali, aveva considerato quell’ambiente di lavoro, come spazio confinato (D.P.R. 177/2011) e quell’attività come “lavoro in ambienti sospetti di inquinamento”, come prevede l’art.66  del D.Lgs.81/08? In che modo i lavoratori partecipano alla Valutazione dei rischi all’interno di quell’azienda?

A quanto appreso sembrerebbe che il forno Ebner fosse interrato e che l’attività lavorativa che stavano compiendo gli operai rientrasse nella tipologia di lavoro in ambienti sospetti di inquinamento”, per cui era prevista l’applicazione delle misure/obblighi inserite all’interno del D.P.R. 177/2011.

Senza aprire un dibattito sulla poca chiarezza di alcuni punti della normativa specifica degli ambienti confinati e su quanto gli operai partecipino in maniera attiva a questo aspetto dell’organizzazione del lavoro, riconoscendo quanto sopra, sarebbero dovute scattare tutta una serie di misure dovute all’applicazione di quanto previsto dalla normativa sugli ambienti confinati.

 

Misure e precauzioni preliminari da mettere in atto prima dei lavori:

–  effettuare una specifica analisi per l’identificazione dei pericoli dalla quale deve discendere una adeguata valutazione dei rischi, tenendo conto delle possibili modifiche nel tempo delle condizioni ambientali e di lavoro iniziali (ad es. concentrazione di ossigeno, perdita di gas ed eventuale combinazione di sostanze presenti)

– definire specifiche procedure operative che individuino: caratteristiche dell’ambiente confinato, dei lavori che devono essere svolti e loro durata, tenendo conto anche dei turni degli operatori; modalità per delimitare l’area di lavoro (per evitare eventuali rischi da interferenza); modalità per accertare l’assenza di pericolo per la vita e l’integrità fisica dei lavoratori; modalità con la quale effettuare una bonifica se sono presenti sostanze pericolose;

– stabilire adeguate modalità di gestione di un’eventuale emergenza in funzione del rischio presente, dell’accesso (orizzontale o verticale, a livello del suolo o in quota), delle dimensioni e delle caratteristiche strutturali dell’ambiente confinato, anche eventualmente in coordinamento con il sistema di emergenza del Servizio Sanitario Nazionale e dei Vigili del Fuoco;

– informare, formare e addestrare i lavoratori coinvolti nell’attività con particolare riferimento all’applicazione delle procedure e all’uso dei DPI, della strumentazione e delle attrezzature di lavoro sulla base delle attività da svolgere e dei rischi presenti.

Quindi  valutare:

– la necessità, in alcuni casi, di ricorrere a una ventilazione forzata o altri mezzi idonei;

– la necessità, tipo e frequenza dei monitoraggi ambientali (prove di abitabilità) attraverso adeguata strumentazione di rilevamento, opportunamente tarata ed eventualmente dotata di sistemi di allarme acustico e/o luminoso (ad es. strumenti che rilevano la presenza di più gas, il contenuto di ossigeno, il livello di contaminanti, il livello di esplosività, le condizioni microclimatiche);

–  l’opportunità di eseguire il monitoraggio in continuo, quando possa esservi dubbio sulla pericolosità dell’atmosfera. In caso di atmosfere potenzialmente esplosive, la strumentazione dovrà essere rispondente al DPR 126/98 – recepimento della direttiva di prodotto ATEX – e di categoria scelta dal responsabile dei lavori in relazione alla probabilità e durata dell’atmosfera esplosiva;

– l’eventuale presenza di rischi indotti dalle lavorazioni previste (ad es. formazione di fumi) o dal contesto in cui si opera (es. attività con lunga permanenza in pozzetti stradali sotterranei ubicati in strade ad alta intensità di traffico o in vicinanza di corsi d’acqua);

– la necessità e la modalità con la quale isolare l’ ambiente confinato dal resto dell’impianto (ad es. chiusura e blocco di serrande, valvole, saracinesche che possano immettere sostanze pericolose nell’ambiente confinato, sezionamento degli impianti elettrici, lockout-tagout), installando opportuna segnaletica e cartellonistica;

– la modalità di verifica dell’idoneità e funzionalità delle attrezzature di lavoro e di soccorso;

– la modalità di verifica dei requisiti e dell’idoneità dei DPC (dispositivi di protezione collettiva) e dei DPI;

– laddove necessario, l’opportunità di eseguire la prova di tenuta o fit–test (verifica che la maschera sia della giusta misura e sia indossata correttamente dall’operatore, ndr) dei DPI per le vie respiratorie”.

 

Ricordando che nell’esecuzione dei lavori in ambienti confinati è sempre necessario avvalersi di personale in possesso di competenze e formazione specifiche, concludiamo questa presentazione delle misure preliminari riportando le necessarie specificità del personale interno e esterno all’ambiente confinato.

I lavoratori che entrano nell’ambiente confinato devono:

– “avere l’idoneità sanitaria per la mansione specifica;

– conoscere i pericoli presenti e la procedura di lavoro;

– conoscere le caratteristiche tecniche dei DPI ed utilizzarli in modo appropriato secondo l’addestramento ricevuto;

– laddove necessario, indossare i DPI idonei per consentire una rapida estrazione in caso di condizioni anomale e/o impreviste (ad esempio una imbragatura completa, collegata mediante una fune ad apposito argano o treppiede);

– mantenersi in costante comunicazione (vocale e/o visiva) con l’addetto esterno e nel caso in cui la comunicazione avvenga con apparecchi trasmittenti deve essere assicurata la non schermatura di tali trasmissioni dagli stessi ambienti di natura metallica;

– conoscere le procedure di emergenza;

– laddove necessario, munirsi di apparecchio portatile, dotato di dispositivo di allarme, per la misurazione in continuo della percentuale di ossigeno o di altre sostanze;

– laddove necessario, munirsi di apparecchio portatile, dotato di dispositivo di allarme, per la misurazione in continuo della concentrazione in aria di sostanze infiammabili (in % del limite inferiore di esplodibilità LEL);

– laddove necessario, dotarsi di sistemi a funzionamento elettrico o a batteria rispondenti ai requisiti di sicurezza del DPR 126/98 (recepimento della Direttiva ATEX);

– evacuare immediatamente l’ambiente confinato e comunicare al proprio responsabile ogni condizione anomala e/o imprevista riscontrata all’interno dell’ambiente;

– evacuare immediatamente l’ambiente confinato quando ordinato dall’operatore esterno e/o all’attivazione di qualche segnale codificato di allarme e/o al riconoscimento di qualche sintomo di malessere fisico”.

Nel caso specifico ed in sintesi potrebbero non essere state effettuati alcuni passaggi:

  • non è stato riconosciuta quella lavorazione in ambiente sospetto di inquinamento, per cui, non è stato effettuata una specifica analisi per l’identificazione dei pericoli dalla quale deve discendere una adeguata valutazione dei rischi, tenendo conto delle possibili modifiche nel tempo delle condizioni ambientali e di lavoro iniziali (ad es. concetrazione di ossigeno, perdita di gas ed eventuale combinazione di sostanze presenti)
  • le lavorazioni non sono state effettuate da parte di personale esperto e formato per attività in tali ambienti
  • non erano previste procedure specifiche per i lavori in ambienti confinati, conformemente alle indicazioni del D. Lgs. 81/08 e del D.P.R. 177/11, o se erano conosciute dagli operai o non sono state applicate e quindi, potrebbe attivarsi una catena di responsabilità
  • non è stata fatta una scelta di attrezzature e dispositivi di protezione individuali e collettivi idonei (esplosimetri, misuratori di ossigeno, gasometri, Dispositivi di Protezione delle Vie Respiratorie, imbracature e sistemi di recupero, sistemi di comunicazione).

Tutti questi elementi potrebbero servire ai lavoratori per portare avanti una battaglia, che abbia come obiettivo la verità e la giustizia non solo in sede processuale, ma all’interno della società e dei luoghi di lavoro. Di sicuro solamente questi strumenti non bastano, ma vanno uniti ad altri che mettano in discussione, attraverso percorsi di classe, lo stato di cose presenti, la divisione del lavoro, la sua organizzazione e il controllo da parte di chi lavora. In attesa che la classe si ricomponga, limiamo gli strumenti che abbiamo per riprenderci il paradiso!

 Renato Turturro

Tecnico della prevenzione

18/1/2018 http://clashcityworkers.org

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