COSA E’ CAMBIATO?

Cosa è cambiato?” E’ un passatempo cui si dedicano spesso i cultori de “La Settimana enigmistica”, forse la migliore tra le riviste del suo genere.
In sostanza, si tratta di un piacevole giochino nel quale si raffigurano due anziani coniugi che ritornano sul luogo del viaggio di nozze e viene loro chiesto di indicare le differenze prodotte sul paesaggio dal trascorrere del tempo.

Naturalmente, se per il lettore di turno ciò rappresenta – attraverso il confronto dei due paesaggi proposti – una prova abbastanza facile da superare, in realtà, per qualsiasi coppia di anziani, si tratta di un compito alquanto difficile.

Uguali, se non maggiori, difficoltà si porrebbero a quanti volessero individuare, tra i politici italiani, coloro che, nel corso degli anni, hanno ritenuto opportuno – anche per motivi sui quali è opportuno calare un pietoso silenzio (1) – cambiare “casacca” e collocazione fisica negli emicicli di Camera e Senato.

In effetti, l’elenco, tra i protagonisti della 1° e – contrariamente a quanto sostenuto dai fautori del sistema “maggioritario” – soprattutto della 2° Repubblica che hanno operato scelte “trasformistiche” o “di responsabilità” (come eufemisticamente si alludeva a coloro che, all’epoca del possibile Conte ter, sarebbero stati eventualmente disponibili a sostenerlo) è clamorosamente lungo.

D’altra parte, come sostiene Daniele Brunetti (2), “Nella storia parlamentare italiana la tendenza a cambiare, legittimamente, idea fino al punto di, talvolta, cambiare casacca ha origini lontane”.

Era infatti il 1883 quando Giosuè Carducci già scriveva: ”Trasformismo, brutta parola a cosa più brutta. Trasformarsi da sinistri a destri senza però diventare destri e non però rimanendo sinistri”.

Al fine di rendersi pienamente conto dell’entità del fenomeno (che, personalmente, considero di carattere assolutamente negativo) è sufficiente rilevare che la scorsa legislatura (la XVII) è stata, da questo punto di vista, la più instabile della storia repubblicana.

Secondo quanto riportato da Nicoletta Cottone (3), a dicembre 2017 “I cambi di casacca avevano già coinvolto 347 parlamentari per complessivi 566 ; dunque il 35,53 per cento degli eletti aveva cambiato almeno una volta (4); una media di 9,58 cambi al mese”!

Nel corso della precedente legislatura (dal 2008 al 2013), invece, era stata realizzata una media di 4,5 cambi al mese.

In definitiva, anche se l’art. 67 della Costituzione sancisce che ciascun parlamentare esercita le sue funzioni “senza vincolo di mandato” e quindi può cambiare gruppo di appartenenza, anche più volte, si tratta – ormai – di una sostanziale prassi che, a parere di molti, comincia ad essere insopportabile.

Ciò anche in considerazione del fatto che – contrariamente a quanto ci veniva propinato da coloro che addebitavano al vecchio sistema proporzionale tutti i mali del mondo e guardavano al maggioritario quale unica forma di governo “stabile” – nel corso della 1° Repubblica, i cambi di casacca non erano mai arrivati agli attuali livelli di vera e propria degenerazione.

In questo senso, destinando all’oblio la clamorosa ma non invidiabile performance dell’ex senatore Luigi Campagna – eletto, per la prima volta al Senato con l’ex Pli nel 1992 e capace di accumulare un infinito numero di casacche (di cui ben nove solo nel corso della XVII legislatura) – è (anche) utile ricordare che, in questa particolare categoria di politici, sono presenti personaggi capaci di svolgere ruoli da attori protagonisti, prime donne e, naturalmente, semplici comparse!

Così come è altrettanto opportuno rilevare che, a fronte di spostamenti più o meno comprensibili – ma, a mio parere, comunque non giustificabili, nell’ambito della stessa formazione politica al fine di alterare gli equilibri interni tra le “correnti” – la storia e le cronache parlamentari del nostro Paese hanno certificato operazioni nelle quali, in realtà, il cambio della casacca di turno equivaleva al più classico “salto della quaglia”!

A questo proposito, anticipo che, in quest’occasione, non intendo riferirmi, e quindi non ne faccio i nomi, ai compagni socialisti – taluno anche sufficientemente autorevole – convertitisi sulla via di Arcore. Si trattava, per lo più, di “professionisti della politica” senza la quale la loro esistenza sarebbe risultata, evidentemente, insostenibile.

Così come non alludo agli altri – molto più numerosi – ammaliati dall’effimero canto delle sirene Pd.

Si trattava di compagni che nutrivano l’illusione di poter concretamente concorrere alla ricostruzione di una sinistra finalmente alternativa, senza rendersi sufficientemente conto, a mio parere, di essere avviati verso la consacrazione di quella che ho sempre definito “la Dc del terzo millennio”.

Mi riferisco, piuttosto, ai tanti professionisti che, in nome del “senso di responsabilità politica” e abusando del principio costituzionale delle “funzioni senza vincolo di mandato”, sono stati artefici delle più clamorose e spesso impresentabili operazioni di trasformismo politico.

Penso cioè, a quei politici, senza distinzione di genere, capaci di giustificare – a se stessi, prima che ai propri elettori – l’opportunità di collaborare indistintamente, tanto con governi di centrosinistra, quanto con quelli di centrodestra.

In questo senso, l’indiscussa primatista e record-women delle “poltrone” risponde al nome di Emma Bonino.
Eletta per la prima volta alla Camera nel 1976, quale rappresentante della piccola pattuglia del Partito radicale, già nel ’79 era al Parlamento europeo e successivamente, grazie ad un’inestricabile serie di rapporti “trasversali” – da Berlusconi a Prodi a Letta – ministra, tanto per il centrodestra quanto per il centrosinistra; senza mai porsi, evidentemente, eccessivi problemi di coerenza personale, prima che politica. Capace di passare, quindi, dalle lotte civili – a favore dell’obiezione di coscienza, del divorzio, dell’aborto e dell’eutanasia – alle proteste di piazza contro la Magistratura e a sostegno di Berlusconi. Sempre, però, tenacemente ancorata a qualche “poltrona”; nazionale, se non europea.

Di fronte a tali manifestazioni d’incoerenza e inaffidabilità politica, trovai sconcertante l’ipotesi che, all’epoca, potesse essere presa in considerazione la sua candidatura quale prima donna aspirante alla carica di Presidente della Repubblica.

Auspico non se ne senta più parlare!
Stesse doti “mutanti” e capacità “mimetiche” quelle possedute da un altro “storico” della 1° Repubblica.

Quel Clemente Mastella, oggi sindaco dell’antica Maleventum ma, in altra ed epica epoca, artefice di equilibrismi e contorcimenti – tra centrodestra e centrosinistra – d’ineguagliabile fattura.

Taluni lo ricorderanno, infatti, quale rappresentante (di seconda fascia, per la verità) della vecchia Dc e, successivamente, ispiratore e fondatore di una serie di partiti(ni) d’ispirazione centrista.

E non solo. Fu Ministro del Lavoro durante il primo governo Berlusconi (dal maggio 1994 al gennaio 1995) e, con altrettanta dedizione ed immutato spirito di squadra, Ministro della Giustizia durante il secondo governo Prodi (dal maggio 2006 al gennaio 2008).

Considerato, in effetti, uno dei politici italiani più trasformisti e, direi, tra i più abili nell’arte della mimetizzazione.
In questo contesto, non potevano mancare – e non certo per le loro eccelse doti politiche, quanto per le loro stupefacenti “metamorfosi” – due comprimari delle vicende politiche italiane degli ultimi anni.
Alludo a Daniele Capezzone e Gennaro Migliore.
Il primo, non rimpianto segretario dei Radicali Italiani (dal 2001 al 2006), dopo avere sistematicamente criticato l’operato e le scelte politiche di Silvio Berlusconi, avrebbe successivamente aderito a Forza Italia, divenendone addirittura, nel maggio 2008, il portavoce ufficiale. Alle elezioni politiche del 2018 non fu candidato ed attualmente collabora con il quotidiano diretto dall’ineffabile Maurizio Belpietro.
Gennaro Migliore rappresenta, a mio parere, il secondo esempio della peggiore specie di mala-politica.
Quella, per intenderci, secondo la quale a chiunque può essere consentito lasciarsi alle spalle anni di battaglie e rivendicazioni – tese all’emancipazione sociale e all’equiparazione dei diritti – solo perché ormai convertitosi agli inderogabili principi del più agguerrito liberismo.
In questo senso, il curriculum del deputato originario di Casoria (Na), già iscritto (dal 1993) e dirigente nazionale, nonché parlamentare del Partito della Rifondazione Comunista prima di approdare – attraverso Sel e il Pd – all’Italia Viva di Matteo Renzi, testimonia una realtà che, personalmente, considero inaccettabile.

Ciò nonostante, c’è chi ne sussurra il nome quale possibile candidato alla prestigiosa carica di sindaco di Napoli. Al riguardo, spero – e lo auguro ai napoletani – che si tratti di un falso allarme!

Per concludere: è appena il caso di rilevare che commetteremmo però un grave errore nel riconoscere solo ai politici tali (grandi) capacità trasformistiche. Nel nostro Paese, si tratta, infatti, di un esercizio molto più diffuso e praticato.

Penso, ad esempio, a numerosi ex iscritti al Pnf ed acquiescenti “indifferenti” capaci, però – tra il ’43 e il ’45 – di “riciclarsi” e ritrovarsi, successivamente, nelle vesti di autorevoli dirigenti politici dell’ex Pci.
Così come non sono stati pochi coloro capaci di esercitare la nobile arte del giornalismo fino al punto di sostituire – con estrema nonchalance – il culto del berlusconismo ai principi del marxismo.
Ma questa è un’altra storia.

NOTE

  • Clamoroso, in questo senso, il caso del senatore Sergio De Gregorio che confessò di aver ricevuto 3 milioni di euro da Berlusconi affinché, nel gennaio 2008, passasse dall’Italia dei valori di Di Pietro a Forza Italia e votasse la sfiducia al governo Prodi.
  • Fonte: “La Repubblica del trasformismo”; pubblicato sul sito web “Il Tascabile”, in data 8 febbraio 2021.
  • Fonte:”Il valzer dei cambi di casacca”; pubblicato dal sito web de “Il Sole 24 ore”, in data 26 dicembre 2017.
  • Alla Camera coinvolti 207 deputati in 313 cambi di gruppo e a Palazzo Madama 140 senatori autori di 253 cambi di casacca.

Renato Fioretti

Collaboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute

15/5/2021

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