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Commenti di Mauro Biani

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    «Questo dovrebbe far riflettere le istituzioni sanitarie: gli operatori sanitari vanno protetti e nessuno può sentirsi in pace con la coscienza se continua ad esporre il personale sanitario senza protezioni. È ormai evidente che per la medicina di famiglia il tempo sta finendo. Vogliamo sperare che la dematerializzazione delle ricette, il triage telefonico prima di ogni visita ambulatoriale o domiciliare, per noi e per i colleghi medici dei distretti specialisti, come tutte le soluzioni che stanno partendo compreso il consulto a distanza, il video consulto, le consulenze specialistiche telefoniche, possano servire a fermare questa strage. Purtroppo però ogni giorno mi chiedo se ho dimenticato qualcosa, se potevo pensare o agire, fare qualcosa di più. Sento forte questa domanda dentro di me e altrettanto forte il desiderio di continuare a cercare delle soluzioni. Voglio sperare dal profondo del mio cuore che questa stessa condizione riguardi tutti quelli che hanno più di me responsabilità direzionali e di governance a tutti i livelli e che soprattutto valutino se ognuno di loro ha fatto tutto quello che poteva per tutti gli attori della nostra sanità perché, se non fosse così, saremmo di fronte ad una strage di Stato». Silvestro Scotti, segretario generale Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale)

    Cosa si aspetta a fare il tampone a tutto il personale sanitario?

    Pubblicato da franco.cilenti

    I fatti accaduti in Italia dall’inizio della pandemia permettono alcune considerazioni utili per meglio affrontare gli imminenti sviluppi. La Cina ci ha regalato oltre un mese di tempo prezioso per prepararci ad affrontare la tempesta; tempo che, non solo noi, abbiamo sprecato per una errata percezione del rischio pandemico. Parte di questo tempo è oggi disponibile e ancor più prezioso alle regioni del sud.
    Palese oggi la deleteria intolleranza delle Regioni leghiste al coordinamento del governo centrale. Prove generali di quello che, in peggio, sarà il regionalismo differenziato. L’irresponsabile sciacallaggio politico ha eroso la fiducia nelle istituzioni e distorto la percezione del rischio; inevitabili le conseguenze sul rispetto delle regole emanate.
    È oggi evidente il conflitto tra gli interessi economici e quelli di salute e la negazione dell’evidenza che è impossibile risolvere il problema economico se prima non si supera quello di salute. Emblematico il dramma di Bergamo: una diffusione velocissima, le voci inascoltate che chiedevano l’istituzione della zona rossa, i tentennamenti per non chiudere una delle aree più industrializzate del Paese per poi farlo quando la reazione a catena era ormai inarrestabile. I troppi morti in parte evitabili di oggi, l’ipocrisia, la memoria già corta, il silenzio. Non è tutta del virus la responsabilità dei convogli di camion militari pieni di bare; il virus ha fatto quello che gli è stato concesso di fare. Fatti perfettamente leggibili con una visione neoliberista, individualista e disumana della società.

    Questa prima pandemia del mondo globalizzato, ci sta insegnando anche molte cose. La più sorprendente è che, pur essendo sostanzialmente univoche le modalità per affrontarla, vi sono delle differenze importanti nell’applicazione e nell’efficacia tra i paesi democratici e la Cina che democratica non è. Il riferimento è alle modalità di limitazione delle libertà personali, della privacy e dell’informazione. È fondata l’idea che le misure adottate in Cina non siano, con lo stesso rigore e negli stessi tempi, applicabili anche nei paesi occidentali. Le nostre lentezze decisionali sono dovute soprattutto alla necessità di una mediazione politica e sociale; cosa inesistente in Cina. Il problema reale è che il tempo richiesto da questa mediazione gioca a favore del virus traducendosi sempre in maggiori contagi e morti. È questo un “costo” della democrazia? Simile il discorso della limitazione temporanea della privacy (peraltro già gravemente minata dai social).

    Da tempo i dati dei positivi e dei deceduti hanno suscitano perplessità. Il numero dei positivi dipende molto dal numero di tamponi effettuati e dalla tipologia di popolazione cui vengono fatti. L’Italia si è in genere attenuta alle disposizioni dell’OMS di effettuarli soprattutto a pazienti francamente sintomatici. In tal modo vengono però persi buona parte dei positivi che hanno sintomi leggeri (ma che infettano) e gli asintomatici (che infettano anche loro) rendendo inoltre molto difficile tracciare a ritroso la catena dei contatti. Tutto ciò comporta anche una notevole sottostima del contagio, inficia il calcolo della mortalità e non ostacola la circolazione del virus. Solo ora anche l’OMS e quindi anche l’Italia stanno rivedendo questa limitativa posizione.
    Colpevole e dissennato è lesinare o negare il tampone agli operatori sanitari; già oggi sono circa 5mila i positivi e qualcuno dovrebbe smetterla con gli sterili complimenti rituali e ricordarsi che senza medici ed infermieri non si cura più nessuno. Almeno proteggiamoli.
    Una pesante conseguenza di questo ormai non più corretto modus operandi è l’alta percentuale di pazienti soprattutto anziani che muoiono a domicilio senza aver mai fatto il tampone ma verosimilmente positivi ma che diffondono il virus e non sono conteggiati come positivi. Un uso più esteso dei tamponi consentirebbe anche il trattamento precoce dei positivi con riduzione degli aggravamenti e il ricorso all’ospedale. L’esperienza maturata ci indica oggi importanti correzioni: migliorare il territorio per far meglio lavorare l’ospedale.
    Le crisi sono anche grandi occasioni di cambiamento. Il virus si è fatto strada nelle nostre debolezze; dipenderà anche da noi cambiare per scrollarcele di dosso.

    Quinto Tozzi

    27/3/2020 https://left.it

    Tags: Anziani Coronavirus Covid-19 Federazione italiana medici di medicina generale infermieri Istituto Superiore di Sanità Medici di familgia Ministero della salute oms operatori sanitari Pandemia Silvestro Scotti Tamponi
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    Autore: franco.cilenti
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