Cosa succede in Valsusa?

San Didero, 13 aprile 2021 | Foto di Diego Fulcheri

Dopo le partecipate assemblee già tenutesi il 12 maggio nella sede del CLE (per dire delle recenti requisizioni di San Didero) e il 19 maggio nella sede di Palazzo Nuovo (in cui la commissione tecnica del Movimento NoTav ha sottolineato i molti aspetti di insostenibilità del progetto Torino-Lione), l’incontro del 26 maggio della serie Cosa succede in Valsusa? è stato curato del Collettivo della Facoltà di Giurisprudenza e ha messo a fuoco il metodico lavoro di insabbiamento da parte della magistratura nei confronti dei responsabili dei tanti e documentati episodi di violenza da parte delle FF.OO (Forze dell’Ordine) nei confronti degli attivisti NoTav.

Il confronto si è svolto di nuovo al CLE (Aula autogestita) alla presenza dell’avv. Valentina Colletta (già difensora di Nicoletta Dosio, oltre che di Dana Lauriola, e di molti altri militanti del Movimento NoTav), ed è iniziato con la proiezione del film Archiviato: un documentario che fu lo stesso legal team del Movimento a concepire, per denunciare la sistematica impunità dei tanti episodi di violenza perpetrati nel corso di varie manifestazioni di protesta contro manifestanti inermi, a volte non più giovanissimi, in alcuni casi rimasti menomati per il resto della loro vita.

Un lavoro firmato da Carlo Amblino e con voce narrante dell’attore Elio Germano, essenzialmente di montaggio di vari spezzoni girati (spesso dalle stesse FF.OO.) durante gli scontri in valle, che ha visto la collaborazione e il patrocinio di varie associazioni (Gruppo Antigone, Associazione Giuristi Democratici, Controsservatorio Valsusa, A Buon Diritto) e, che nell’ottobre del 2016 venne presentato anche al Senato della Repubblica ma si trovò incredibilmente rifiutato l’anno successivo dalla manifestazione Biennale della Democrazia di Torino “che pur si pregia di essere un Forum di confronto, su tematiche di fondamentale importanza”  ha fatto notare l’Avv. Colletta introducendo il film.

Alla fine della proiezione il dibattito si è spostato nell’area esterna all’Aula, con la conduzione di Alessandro a nome del Collettivo di Giurisprudenza.

Ricollegandosi a quanto già anticipato introducendo il documentario, l’Avv. Colletta ha innanzitutto ricordato l’origine della maggior parte dei filmati, per la maggior parte prove documentali fornite dalle stesse FF.OO. nell’ambito delle varie udienze svoltesi nel corso degli anni presso il Tribunale di Torino, in particolare durante il cosiddetto ‘processone’ riguardante l’impressionante serie di denunce a carico dei manifestanti. “Ma come il documentario ben dimostra, è stato regolarmente impossibile – a parte pochissime eccezioni – individuare i responsabili delle violenze subìte dai manifestanti, non solo tra gli agenti direttamente responsabili ma anche tra colleghi e dirigenti che ne erano senz’altro partecipi.

Trattandosi di azioni di gruppo, chiunque è testimone di un abuso avrebbe il dovere di denunciare e testimoniare, rendendosi protagonista dell’abuso se non lo fa… ma così non è stato per gli inquirenti, dando per scontato che anche in caso d’indagine i ‘colpevoli’ avrebbero negato qualsiasi responsabilità” ha detto l’Avv. Colletta, sottolineando però l’accanimento investigativo che si è invece abbattuto sul fronte opposto, criminalizzando chiunque (benché incensurato) fosse stato individuato partecipe oppure in qualche modo vicino al Movimento No Tav, non solo in Val Susa ma nel resto dell’Italia.

“La Digos è stata attivissima nell’individuazione dei fiancheggiatori, sulla base delle foto estrapolate dai filmati. Mentre non è stato fatto alcuno sforzo per individuare i responsabili di violenza tra le FF.OO. e per questo abbiamo deciso di muoverci direttamente come legali.” Nel caso della manifestante Marta, oggetto di violenza persino sessuale, l’individuazione dei responsabili sarebbe stata semplicissima, essendo gli stessi che firmarono il verbale di fermo; e solo grazie al confronto con le foto prodotte direttamente dal legal team del Movimento, si è arrivati ai colpevoli – ma anche il caso di Marta si è concluso con l’archiviazione con l’incredibile motivazione che le circostanze di concitazione caratterizzanti quel momento di scontro ‘escludono la possibilità di desideri sessuali’!

“Come Avvocati avevamo sperato di non dover dare seguito a questa documentazione, che si è chiusa nel 2016” ha proseguito l’Avv. Colletta. “Senonché proprio recentemente, a seguito di una manifestazione assolutamente pacifica che si è svolta a San Didero il 17 aprile scorso, eccoci a denunciare l’ennesimo caso di violenza, con uso indiscriminato di lacrimogeni ad altezza d’uomo contro un gruppo di manifestanti. Tra essi è rimasta gravemente colpita Giovanna Saraceno, tuttora ricoverata in ospedale per fratture alla calotta cranica con prognosi di almeno un anno – e per la quale abbiamo esposto querela sperando che i responsabili tra le FF.OO. vengano individuati, ma non è affatto certo.

Foto di Diego Fulcheri

All’indomani degli scontri successivi allo sgombero dell’autoporto, nei prati intorno l’abitato di San Didero si trovavano artifizi al CS inesplosi, portati in assemblea da Loredana Bellone, consigliera comunale.


L’unica cosa certa, dal 2016 ad oggi, è la crescita esponenziale degli indagati e dei verdetti, come nel caso di Dana Lauriola, che solo da poco ha ottenuto i domiciliari dopo sette mesi di carcere che avrebbero dovuto essere addirittura due anni, benché incensurata. E non sono pochi gli indagati sul suo stesso caso, che com’è noto è di lieve rilievo: il blocco dei tornelli su un tratto di autostrada, per denunciare le condizioni gravissime del compagno Luca Abbà precipitato dal famoso traliccio (luglio 2012) per un danno complessivo ai gestori di poco più di € 700.”

A nome del Collettivo di Giurisprudenza è quindi intervento Alessandro che ha sottolineato come “più che di repressione si dovrebbe parlare di criminalizzazione, a fronte della più sistematica decriminalizzazione, ovvero dell’uso selettivo del crimine: da una parte per sopprimere il dissenso di chiunque si oppone alla Grande Opera, dall’altra per autorizzare qualsiasi abuso da parte di chi si fa Agente di tale repressione, evidenziando l’ipocrisia di un sistema che teoricamente renderebbe obbligatoria l’azione penale (…) e invece valorizza il protagonismo degli Agenti di Polizia, chiamati a concorrere con schedature, informative e quant’altro: frequentazioni, convegni, amicizie, tutto concorre all’istruzione dell’accusa…”

Un’intenzionalità confermata dall’Avv. Colletta quando ha ricordato che il cosiddetto pool di inquirenti sulla situazione NoTav, è stato creato nel 2010, ovvero prima che si evidenziasse una particolare necessità inquisitoria. Contribuendo cioè a orientare a priori le indagini in corso, in quanto affidate appunto allo stesso pool. “Per esempio la stessa partecipazione alle udienze nei vari processi, che sarebbe un diritto per chiunque – a cominciare dalla famosa Aula Bunker che ha visto lo svolgersi del ‘processone’ – diventa un’occasione di schedatura da parte della Digos, per attenzionare chi per esempio è attivo su vari fronti di protesta sociale (…) Anche in assenza di comportamenti criminosi ecco che la scheda-Digos concorrerà alla definizione di indagato solo perché fisicamente presente magari solo come testimone, allo sgombero di una casa occupata, e tutte queste assiduità verranno poi impugnate in sede di giudizio.”

L’Avv. Colletta ha tra l’altro ricordato le recenti udienze per i tafferugli che si verificarono un anno fa contro alcuni studenti del FUAN all’Università “in cui si è arrivato alla richiesta di misure cautelari per condotte che al massimo potrebbero definirsi bagatellari, a fronte della più assoluta indulgenza nei confronti del banchetto del FUAN la cui presenza è stata giustificata come libertà di espressione!”

Alessandro del Collettivo Giurisprudenza ha poi richiamato l’attenzione su alcuni studiosi che hanno dedicato una particolare attenzione all’accanimento giudiziario sul caso Val Susa in particolare Alessandro Senaldi (Università di Genova, autore di Cattivi e primitivi. Il movimento NoTav tra discorso pubblico, controllo e pratiche di sottrazione – Ed. Ombre Corte, 2016) e Xenia Chiaromonte (ICI Berlin Institute for Cultural Inquiry, autrice del fondamentale Governare il conflitto – Ed. Meltemi, 2019). “Senaldi scherzosamente sottolinea l’alta velocità dei procedimenti contro i NoTav, che normalmente prevedono rinvii a giudizio 2 volte e mezzo inferiori che in altri casi, mettendo in dubbio l’assunto secondo il quale La legge è uguale per tutti…”

“Infatti non lo è, ma non solo per il Mov NoTAV o per altri conflitti sociali. La legge è fondamentalmente classista” ha fatto eco l’Avv. Colletta. “La considerazione riservata a una persona abbiente sarà indubbiamente diversa da quella per un tossicomane (per fare un esempio di cui mi sono occupata recentemente) che in un supermercato ha rubato un pezzo di formaggio – evidentemente perché aveva fame… Ma il solo fatto che dopo essersi divincolato abbia cercato di scappare, identifica il reato come rapina. La sentenza non è stata ancora emessa ma potrebbe essere esemplare, ovvero severa, e questa è purtroppo la norma – mentre tutt’altro che esemplarmente vediamo puniti i responsabili dei tanti casi, per esempio di strage, bancarotte, nocività ambientali, fallimenti fittizi etc, che si trascinano per anni e magari si concludono in prescrizione, sebbene così impattanti sui territori e sul corpo sociale.

Per cui: la giustizia NON è uguale per tutti e non è una bestemmia dirlo. Per una ragione innanzitutto procedurale: perché se il giudice incarica la polizia di indagare circa le responsabilità della stessa polizia, non si arriverà a nessuna conclusione, è normale che all’interno dello stesso corpo di polizia ci si difenda con l’omertà – la cosa cambierebbe incaricando forse i carabinieri o la guardia di finanza, ma ciò non succede.”

È intervenuta poi dal pubblico Irene che ha definito aberrante l’archiviazione dell’abuso sessuale documentata dal film Archiviato verso il finale, con la NoTav Marta non solo palpeggiata nelle parti intime e insultata come puttana da un’agente per giunta donna, ma intimidita dallo stesso giudice mentre riconosce i responsabili degli abusi: “speriamo solo che il crescere di sensibilità su certe problematiche renda difficile il riproporsi di simili situazioni: un vero schifo!” Richiamandosi poi al dibattito che è cresciuto in altri paesi del mondo, per esempio negli Stati Uniti, sul tema della police brutality, Irene si è chiesta come mai un’attenzione analoga non si è sviluppata in Italia e in particolare su ciò che succede in Val Susa.

“Su questo punto dovremmo ragionare se non altro perché apre uno spiraglio di speranza” ha convenuto l’Avv. Colletta. “Forse quel che fa la differenza è un diverso sistema d’informazione, benché i casi di violenza qui da noi non siano meno ‘schiaffo in faccia’ di quelli che hanno motivato le proteste oltre-atlantico. Penso alla povera Giovanna letteralmente rovinata da un lacrimogeno; o a quella signora non più giovanissima che dopo gli scontri di Chianocco non potrà più camminare normalmente, per non dire delle conseguenze sul piano psicologico che sono stati in molti a soffrire – o di quelle immagini che documentano l’irruzione delle FF.OO. all’interno di un bar durante gli scontri di Chianocco… Forse se queste immagini venissero diffuse dai nostri media, cambierebbe qualcosa, ma la mia impressione è che il sentimento prevalente da noi è aprioristicamente in favore delle FF.OO.  Forse negli Stati Uniti si è raggiunta una diversa consapevolezza.”

Cosa succede in Valsusa
San Didero, 13 aprile 2021 | Foto di Diego Fulcheri

Ha ripreso la parola Alessandro del Collettivo di Giurisprudenza che ha sottolineato l’ulteriore protagonismo dei Sindacati di Polizia che si costituiscono regolarmente parte civile nei processi. Riferendosi poi al caso di Giovanna ha ricordato che la Convenzione di Ginevra considera i lacrimogeni armi da guerra che come minimo andrebbero utilizzati a parabola e non ad altezza d’uomo, come è troppo spesso successo in Val Susa. E in relazione alla riflessione di Irene, ha messo in rilievo il cambio di paradigma riscontrato dai sociologi del diritto americani rispetto a una ‘macchina della polizia’ che da un certo punto in poi è stata vista non solo da dentro, ma anche da fuori.

Sempre sul tema della police brutality sollevato da Irene è intervenuto poi un altro studente, ricordando i casi di Federico Aldovrandi, Carlo Giuliani, Stefano Cucchi, che hanno richiesto anni per arrivare a un riconoscimento di giustizia benché insoddisfacente. “E comunque non dovremmo sottovalutare l’aspetto della rabbia, che tutti questi casi di ingiustizia contribuisce ad accrescere, nei confronti dello Stato” ha concluso, facendo riferimento al quartiere in cui vive, quartiere Aurora, spesso teatro di violenti scontri con la polizia, per esempio durante il lockdown. “La funzione della polizia dovrebbe essere di difesa dei cittadini e invece finisce per essere di repressione della protesta sociale, e questo genera rabbia…”

Sulla tesi delle ‘mele marce’, ovvero dei ‘casi isolati’ all’interno delle FF.OO., l’Avv. Colletta ha ritenuto importante ricordare i fatti di Genova 20 anni fa, che anche per lei hanno rappresentato un momento di non ritorno: “Ammesso che la tesi sia accettabile, io avrei voluto vedere una radicale pulizia tra i ranghi della polizia, come dei carabinieri nel caso di Cucchi. E invece abbiamo assistito a sistematici insabbiamenti e deviazioni delle indagini, per arrivare al massimo a condanne simboliche che però non escludono il reintegro e addirittura le promozioni, dopo i periodi di sospensione! Ma se il caso Cucchi ha richiesto 15 anni, durante i quali ai responsabili è stato dato persino il diritto di insultare chi cercava di fare giustizia, significa che dietro le ‘mele marce’ c’è un sistema, un apparato, un corpo pronto a difendere a oltranza le ‘mele marce’!”

E tornando sul caso della Val Susa, sulla sproporzione delle pene inflitte per reati relativamente gravi, nel confronto con ciò che è successo per esempio alla Diaz durante i giorni di Genova, ha ribadito la funzione fondamentalmente rieducativa di qualsiasi pena. “Nessuno pretende l’impunità in caso di danneggiamento, a patto che il danneggiamento non venga scambiato per terrorismo o eversione. Se questo succede, io cittadina ho il diritto di pensare e di dire che non è giusto.”


Il ciclo d’incontri “Cosa Succede in Valsusa” è stato organizzato da:

a cura di Daniela Bezzi

28/5/2021 https://serenoregis.org

Sereno Regis
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