Covid-19 e allevamenti intensivi: dopo la sindemia la panzoozia?


Ai tempi del Coronavirus è doveroso anche indagare anche i danni ambientali della zootecnia intensiva, degli allevamenti e il ruolo della zoonosi nell’origine dei virus. Già agli inizia della pandemia, meglio detta sindemia da Covid-19, i medici ISDE aveva redatto un position paper in cui analizzavano le potenziali cause ambientali del virus, riconducendo la facile diffusione del virus alla presenza di polveri sottili nell’aria e all’inquinamento dato dalla zootecnia intensiva. Nel frattempo già moltissimi studi risalivano alle cause ambientali del virus dovuto a deforestazioni, espropriazione di habitat naturali per gli organismi viventi, maggior accumulo di stress ed aggressività verso altri animali, permettendo così al “salto di specie” del virus dai pipistrelli ai pangolini (vittime di un grande commercio illegale della loro carne in pessime condizioni igieniche).

In questi mesi è stato assodato che gli allevamenti intensivi sono tra le principali cause del virus, proprio per la situazione innaturale che si viene a creare in luoghi chiusi tra sovraffollamento e condizioni pessime di vita. L’allarme è però scoccato quando ad agosto in un allevamento di visoni italiano (ancora non è dato sapere quale) vi sono stati dei casi accertati di animali contagiati da SARS COVID 2 che, nell’essere umano, causa il COVID-19.  In Olanda, tra aprile e ottobre 2020, ci sono stati focolai in oltre 60 allevamenti hanno causato almeno 66 episodi di COVID-19 dovuti al “salto di specie” del virus dai visoni all’uomo. Nonostante le misure di biosicurezza imposte, e oltre 2 milioni di animali abbattuti, la diffusione del virus tra i visoni non si è fermata e così il Governo olandese ha decretato la definitiva chiusura di tutti gli allevamenti di visoni entro il 2020.

Ad ottobre, la situazione in Danimarca è degenerata con oltre 100 focolai in allevamenti di visoni e almeno 150 casi documentati di contagio tra i mustelidi e uomo. Lo scorso 4 novembre, la prima ministra Mette Frederiksen ha annunciato la decisione del governo di dovere procedere all’abbattimento in urgenza di tutti i 17 milioni di visoni stabulati nei 1.140 allevamenti intensivi del Paese, poiché in un solo mese i focolai sono passati da 41 a 207 e il virus è mutato nei visoni, diffondendosi nella popolazione. Decisione assunta a seguito anche di una Valutazione del Rischio dello Statens Serum Institut per la salute pubblica qualora, dopo lo svuotamento degli allevamenti focolaio, la produzione di pellicce fosse stata mantenuta. La valutazione di rischio ha sottolineato che il virus continua a diffondersi tra i visoni nonostante gli intensi sforzi delle autorità e che c’è una forte correlazione geografica e temporale tra i numeri degli allevamenti focolaio e l’incidenza di infezioni tra gli esseri umani. Emerge inoltre che nei visoni sono stati isolati nuovi tipi del virus SARS-CoV-2 nella popolazione dovute alle mutazioni della proteina Spike in almeno 7 varianti del virus. Con questo c’è il rischio che i vaccini che si stanno sviluppando con riferimento alla linea base del genoma e che puntano ad attaccare il virus proprio dalla proteina Spike, non forniranno una protezione ottimale neanche per quanto riguarda l’immunità di gregge. Di conseguenza, l’evoluzione dei virus con crescenti cambiamenti nei domini funzionali della proteina S potrebbe influenzare il trattamento, alcuni test diagnostici, l’antigenicità del virus, oltre che avere un impatto sull’efficacia dei vaccini candidati sviluppati.

Il 6 novembre l’Organizzazione Mondiale della Sanità riconosce la rilevanza globale dei risultati preliminari della Danimarca e indica che tali evidenze devono essere confermate e ulteriormente valutate per comprendere meglio le potenziali implicazioni in termini di trasmissione, presentazione clinica, diagnostica, terapia e sviluppo di vaccini. Le preoccupazioni delle Autorità danesi sono state condivise dal governo olandese che con una ulteriore Valutazione del Rischio del proprio organo consultivo ha ribadito le evidenze e le conclusioni del precedente Parere[v] del 24 agosto: “[..] non è auspicabile che grandi popolazioni di visoni siano tenuti negli allevamenti, poiché esiste il rischio di formazione di serbatoi in caso di contaminazione con SARS-CoV-2 [..]. Più a lungo i visoni vengono tenuti su larga scala mentre il virus è ancora in circolazione, più a lungo rimane il rischio per la salute pubblica (formazione di serbatoi) [..].” Secondo la Valutazione del Rischio dell’Agenzia europea ECDC il “Cluster 5”, che è stato segnalato come circolante ad agosto e settembre 2020, è correlato a una variante con quattro cambiamenti genetici, tre sostituzioni e una delezione, nella proteina Spike. Poiché la proteina S contiene il dominio di legame del recettore ed è un obiettivo principale per la risposta immunitaria, tali mutazioni potrebbero avere la capacità di infettare esseri umani e animali, implicando trasmissibilità e antigenicità.

Oggi la situazione in Danimarca continua a peggiorare: focolai accertati sono quasi triplicati in un solo mese passando dai 101 del 16 ottobre ai 283 di oggi. Nel frattempo altri 4 focolai in Grecia hanno portato al contagio di almeno 16 lavoratori. In Svezia i focolai accertati sono passati da 1 allevamento infettato, segnalato il 23 ottobre all’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale, a 13. La Polonia, che con 6 milioni di visoni è il terzo produttore mondiale di pellicce dopo Cina e Danimarca, questa settimana ha deciso di avviare uno screening con test diagnostici.

In Italia in questi giorni sono in corso test diagnostici in almeno un allevamento di visoni, ma solo dopo la denuncia, da parte della LAV, delle violazioni da parte di operatori alle minime disposizioni di biosicurezza. Nonostante i casi di salto di specie uomo-visone-uomo con un virus mutato il Governo italiano non ha ancora dato alcun segnale di volere chiudere questi allevamenti.

Alla luce di questi fatti, qualche giorno fa la Professoressa Ilaria Capua ha dichiarato che il virus potrebbe diffondersi anche tra le specie animali in modo incontrollato, essendo così il primo virus pandemico che diventa una panzoozia, ovvero un fenomeno che in grado di colpire gradatamente la quasi totalità degli animali di un territorio (come fu la peste bovina). Una prospettiva che il suo gruppo di ricerca aveva già segnalato in tempi non sospetti, prima che scoppiasse il caso in Danimarca. Secondo studi sopra riportati, i mustelidi (la famiglia dei visoni e dei furetti) possono diventare animali serbatoio per questo fenomeno panzootico. “Il virus quindi potrebbe mutare in un’altra specie animale e questo potrebbe minare le nostre possibilità di controllare la pandemia” – secondo la virologa.

Ovviamente si tratta di analizzare scenari futuri e non c’è nulla di certo, ma in una crisi sanitaria di questi livelli è giusto rimanere vigilanti.

Lorenzo Poli

Collaboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute

18 novembre 2020

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