Da Fiat a Fca, da Stellantis ad Amazon?

In versione interattiva https://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-giugno-2021/

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Nel nostro girovagare per dare elementi di conoscenza dai luoghi lavoro, risulta chiara e preoccupante la frastagliata dimensione collettiva delle lavoratrici e lavoratori nella capacità sindacale di avere una compiuta conoscenza dei processi in atto e dei quali loro sono i primi a rischiare nell’iter in atto. Non sempre il loro stato, in termini di condizioni di lavoro e continuità lavorativa sono protagoniste nelle sporadiche trattative sindacali e le risposte ai singoli atti d’imperio nelle fabbriche non sempre hanno l’impatto concreto, sia nelle richieste fatte, come nell’attenzione del sindacato.

Chi se non le lavoratrici e i lavoratori in fabbrica possono capire e subire l’abolizione dlla pausa mensa e vederla trasformata in lavoro aggiuntivo. Solo chi lavora in catena di montaggio sa raccontare cosa vuol dire stare in piedi per otto ore consecutive senza pausa alcune e per qualsiasi motivo umanamente giustificabile.

L’aumento dei cicli di lavorazione e della velocità della catene di montaggio, nonché l’accorpamento di due turni di lavoro in uno, stanno determinando un drastico peggioramento delle condizioni di lavoro nei vari settori di produzione. Si sta ammassati sulle catene di montaggio e nei reparti di produzione, nonostante il recente periodo di “zona rossa”.

Anche la situazione della pulizia e dei servizi igienici è carente: si è passati da quattro interventi di pulizia al giorno, a uno solo.
Proprio nel momento in cui c/i vorrebbe più attenzione alla sicurezza e all’igiene sui luoghi di lavoro, e per le contingenti prescrizioni anticovid che prevedrebbero un uso più frequente dei servizi igienici per il lavaggio delle mani. Ovviamente della sanificazione periodica degli ambienti comuni, manco a parlarne.

L’ultima frontiera dello sfruttamento in fabbrica riguarda l’abolizione delle pause fisiologiche: la direzione della già FCA di Cassino aveva deciso di abolire la mezz’ora di mensa a fine turno e utilizzarla sotto forma di lavoro aggiuntivo per recuperare le fermate tecniche (non dipendenti dalla responsabilità degli operai) accumulate durante la produzione.

Tutto ciò va ad aggiungersi ad altri tagli delle pause fisiologiche già operati negli ultimi dieci anni, fino ad arrivare, di fatto, all’abolizione di tutte le pause. I 10 minuti di pausa ancora magnanimamente “concessi”, servono a malapena a recarsi al bagno, mentre per il resto della giornata un operaio non ha il tempo per mangiare un panino. Spostarla a fine turno si rivelerà nel tempo una beffa.

L’obbiettivo è l’abolizione definitiva della pausa mensa e trasformandola in lavoro aggiuntivo, per ottimizzare in totale apnea sl’orario di lavoro, senza poter usufruire di vere pause di recupero psico-fisico, saltando anche le prescrizioni imposte dalle legge sulla sicurezza dei luoghi di lavoro.

Inoltre si esprimono forti dubbi sulla legittimità dell’uso del lavoro straordinario, comunque aggiuntivo, durante un periodo di Cassa Integrazione: è giuridicamente compatibile il ricorso al lavoro supplementare quando vi sono centinaia di lavoratori fermi in Cassa Integrazione? Ovvero, è giusto che lo Stato, cioè l’’INPS, intervenga a favore delle aziende che, contestualmente, obbligano gli operai al lavoro straordinario? Non sarebbe più logico far lavorare tutti gli operai ed evitare il ricorso alla Cassa Integrazione?

Naturalmente gli impatti sull’indotto sono stati altrettanto pesanti, se non di più. Da qui a qualche settimana è prevedibile l’annuncio di esubero di centinaia di operai dell’indotto in tutti i territori sulla scia di quanto avvenuto nell’indotto dell’area industriale di Torino, e il tutto graverà pesantemente sull’intera economia del territorio.

Gli effetti della “scure” sull’indotto sono da tempo visibili in molte società dei servizi e aziende terziarizzate, e sta già procurando decine di licenziamenti. Il colpo di grazia definitivo lo avremo a giugno, quando scadrà il vincolo del blocco dei licenziamenti collettivi e il nostro territorio perderà ulteriori 1.400 posti di lavoro legati all’industria dell’automobile..
Già nell’ultimo anno e mezzo a Cassino c’è stata una riduzione di 900 dipendenti, passando da circa 4.300 a 3.400 unità, e questo non è bastato a ridurre l’utilizzo di ammortizzatori.

Annotazione finale.

Manca, a nostro parere, un rapporto costante con i luoghi di produzione ma anche negli stessi sui luoghi di lavoro per ricostruire forza d’urto utile alla contrattazione aziendale e nel confronto con la politica. E’ quanto manca in questa fusione aziendale per avere un quadro compiuto delle intenzioni, già chiarite dai processi di ristrutturazione in atto a livello internazionale ma, ecco la “variante “italiana”, per nulla chiara da noi dove operai e sindacati, di fatto, sono tenuti all’oscuro a prescindere dalle dichiarazioni di rito di Tavares o del ministro Orlando agli stessi tavoli con le OO.SS. Per contrastare preventivamente carichi e ritmi di lavoro mutuati da Amazon con le sue condizioni di subordinazione schiavista e di antisindacalismo.

Franco Cilenti

per la redazione Lavoro e Salute

Editoriale di chiusura delle pagine sulla Stellantis

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