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Altra Informazione, Blog, Comitati di Lotta, Cronache di Lavoro, Cronache Politiche, Cronache Sindacali, Cronache Sinistra Europea, Cronache Sociali, Politiche di Rifondazione, sanità e salute — Settembre 26, 2019 10:25 am

Vertice di Malta, poche luci e tante ombre oscure. Sembra delinearsi il fatto che non solo gli accordi sottoscritti da Minniti nel febbraio 2017 vadano rafforzati, tramite ulteriori investimenti, per fermare le partenze ma che, le stesse navi delle Ong, già soggette al Codice di condotta sempre dell’esponente Pd, che ne limitava fortemente l’azione, ora avranno un nuovo obbligo in più.

Da Minniti a Salvini, da Ursula Von Der Meyen a Conte, migranti senza speranze?

Pubblicato da franco.cilenti

Vertice di Malta, poche luci e tante ombre oscure

Il Vertice di Malta che si è tenuto lunedì 23 settembre è stato giustamente definito da Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci “fondamentalmente mediatico”. Dopo che è stato reso pubblico il documento ufficiale emerso, ma soprattutto in attesa di quando, l’8 ottobre a Lussemburgo, alla presenza di tutti i Ministri dell’Interno UE, si potranno prendere decisioni più impegnative, un bilancio va fatto, senza ignorare le poche luci ma non rimuovendo le tante ombre. È senz’altro vero che si è momentaneamente attenuato l’uso strumentale della condanna ad ogni iniziativa di solidarietà e di soccorso in mare, ribadendo anzi, nel rispetto delle norme, l’obbligatorietà degli interventi di salvataggio. Ma per il resto?

Intanto promesse, come quella di far valere fra i 4 paesi ad oggi contraenti (Italia, Malta, Germania e Francia) un vincolo di solidarietà, in cui non è chiaro dove termina l’impegno volontaristico e inizia quello obbligatorio per ripartire, in caso di emergenza, i profughi salvati. Da tempo a parlare di emergenza è rimasto solo un ex ministro italiano, di fatto gli arrivi dalla Libia e intercettati da Ong e Marina italiana sono numericamente ridicoli. Da segnalare che questo accordo è considerato valido nelle attuali condizioni ma potrebbe essere sospeso in caso di aumento forte degli arrivi. Più alto è già il numero delle persone che raggiungono Lampedusa dalla Tunisia senza aiuto alcuno. Li chiamano “sbarchi fantasma”, si tratta soprattutto di ragazzi tunisini sopraffatti dalla crisi economica e sociale ma che tramite gli accordi di rimpatri venivano imbarcati da Palermo a Tunisi il lunedì e il giovedì di ogni settimana.

Nei giorni precedenti il summit de La Valletta si è preferito, a scopo di propaganda, tenerli tutti a Lampedusa ad intasare l’hotspot in cui la capienza è stata ridotta e a permettere di riparlare di “allarme” per 200 persone. L’accordo fra i quattro paesi, di durata non inferiore a sei mesi ma rinnovabile, ovviamente non considera chi arriva per proprio conto come attinente al numero di persone da ripartire nei singoli paesi. Ma l’accordo, che potrebbe essere modificato ad ottobre, se ha il pregio di ripartire entro un mese le persone che arrivano mediante soccorso militare, commerciale o umanitario, se questo si tradurrà nel fatto che tutto il destino dei “riallocati” (costi compresi di accoglienza o di rimpatrio) ricadrà su chi li prende, se prevederebbe sanzioni o diminuzione di contributi per i Paesi che non accetteranno la ripartizione, di fatto non intacca che sporadicamente il Regolamento Dublino. Per le navi di proprietà statale, come quelle della marina si suppone, dovrebbe valere il fatto che le persone raccolte dovranno divenire dello Stato di cui il singolo assetto batte bandiera. La neo – ministra dell’Interno Lamorgese, ha dichiarato con eccessiva enfasi che “finalmente l’Italia non è più da sola”.

I dubbi restano. Intanto si tratta di un accordo che potrebbe essere rivisto, in chiave maggiormente restrittiva, a Lussemburgo. Fra i risultati del vertice è certamente importante il fatto che a poter essere ricollocati saranno tutti i richiedenti asilo e non solo quelli che hanno garantito tale Status. Quest’ultima era la proposta francese e tedesca, in cui si mirava a dividere gli aventi diritto in base alla provenienza nazionale. Peccato che le convenzioni internazionali stabiliscano che la richiesta di protezione è individuale e che quindi chi chiede asilo deve poter vedere regolarmente valutata la sua domanda, eventualmente poter ricorrere in caso di diniego e, solo se questa viene definitivamente rigettata potrà essere eventualmente rimpatriato.

Nel testo si promette di affrontare l’annosa questione di una revisione europea delle normative che regolano l’asilo e di rivedere il Regolamento Dublino III, quello per cui le persone soccorse debbono fermarsi e fare richiesta di protezione nel primo Stato membro UE in cui arrivano. La riforma di “Dublino” è già stata redatta nella precedente legislatura, nulla di rivoluzionario ma almeno la rimessa in discussione dei vincoli già descritta. Il Consiglio non ha mai voluto discutere tale proposta, che di fatto impegnerebbe ogni singolo Stato membro, la Commissione precedente ha, con suggerimenti, ben valutato tale proposta, ma cosa accadrà ora che al Commissario Dimitris Avramopoulos, con delega all’Immigrazione è stato sostituito un connazionale di Nea Demokratia che ha l’incarico di “Commissario per la Tutela dello stile di vita europeo? In attesa di risposte e soprattutto di capire se la presidente Ursula Von Der Meyen, dimostrerà di voler mantenere le promesse di miglioramento delle norme in vigore vale però la pena concludere con i due elementi forse più oscuri del risultato che si è registrato a Malta. Il primo, forse scontato, è che i richiedenti asilo sono solo dei pacchi da ripartirsi da un paese all’altro, addirittura parlando di rotazione dei porti di attracco. Non uomini e donne dotati di soggettività e che magari hanno progetti di vita legati alla presenza di partenti, amici, opportunità di inserimento in uno specifico paese o in un altro.

Per quanto emerso finora queste volontà non hanno né valore né diritto di esprimersi. Ma il secondo punto, peraltro rivendicato dalla nuova inquilina del Viminale, è ancora più inaccettabile. Sembra delinearsi il fatto che non solo gli accordi sottoscritti da Minniti nel febbraio 2017 vadano rafforzati, tramite ulteriori investimenti, per fermare le partenze ma che, le stesse navi delle Ong, già soggette al Codice di condotta sempre dell’esponente Pd, che ne limitava fortemente l’azione, ora avranno un nuovo obbligo in più. Nella zona search and rescue (SAR) libica, se interverranno per riprendersi i fuggitivi le motovedette della cosiddetta Guardia costiera libica, le Ong dovranno riconsegnare le persone senza opporre resistenza. In teoria questo sembra voler smentire Salvini da destra affermando che in fondo la Libia, dove la guerra sale intanto d’intensità, è un porto sicuro. Poco contano i video e le immagini di torture e uccisioni che giungono da media insospettabili di collusione. Il regime libico, che peraltro poco controlla del territorio del Paese, è lasciato libero, anzi incitato, a detenere nei propri centri di detenzione anche chi tenta di fuggire da quegli orrori. L’Italia forse non è più sola, i richiedenti asilo, i testimoni, e chiunque voglia difendere uno straccio di stato di diritto, sì.

Stefano Galieni

Resp. Rifondazione Comunista Area Comunicazione, pace, immigrazione e movimenti

25/9/2019 www.rifondazione.it

 

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Autore: franco.cilenti
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