Dal Collettivo di fabbrica GKN in poi

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Di questi tempi sono rare le lezioni positive: una di queste è quella offerta dai lavoratori e compagni della Gkn che hanno saputo reagire ad un evento tragico, il licenziamento di tutti con chiusura della fabbrica, in una resistenza che pian piano si è trasformata in battaglia generale.

Non è più tempo di miti, ma se lo fosse dovremmo prendere la foto del collettivo di fabbrica e farne poster per simboleggiare le lotte del 2021.
Ci sono centinaia di lotte che tentano di reagire alla brutalità dei padroni, magari lo fanno per mesi (pensiamo alla Whirpool o, a Torino, alla Embraco, ma poche sono state in grado di uscire dalla dimensione aziendale, di lotta che riguarda solo quei lavoratori.

Cosa ha, secondo me, di speciale la lotta GKN?

Un collettivo di fabbrica molto politicizzato. Non so di che partito/i siano quei compagni e neanche di quale appartenenza sindacale, ma di sicuro hanno colto da subito che non si poteva difendere il posto di lavoro con una vertenza tradizionale. Forte poteva essere la tentazione di mettersi a discutere di ammortizzatori, di incentivi e altre misure che attenuassero il danno senza affrontare il nodo strategico della difesa della fabbrica. Che non è possibile senza la difesa del lavoro (e dei lavoratori in carne ed ossa!) Come punto di partenza, cioè come valore assoluto.

Secondo che non si salva una fabbrica senza una battaglia generale contro un sistema che ha regole, ormai date per scontate da tutta la legislazione, dalle forze politiche e anche da larga parte del sindacato che permettono ai padroni di scegliere sulla base delle loro convenienze di breve periodo (il just in time sociale!) . Per cui 500 lavoratori valgono meno di un dividendo mancato, e una fabbrica si può azzerare se a tremila km di distanza ce n’è un’altra che, almeno per qualche mese, produce a costo inferiore. Per avere peso anche nella trattativa specifica bisogna misurarsi con il peso che il lavoro ha nella società.

Per quanto sindacalizzati, per quanto qualificati difficile salvarsi se la cultura comune considera il lavoro dipendente alla stregua di una materia prima o di una macchina utensile, qualcosa di cui ci si può liberare, possibilmente senza rimetterci troppo, se valutata superata o superflua.

Terzo la capacità di connettere i guai della Gkn ad un discorso di prospettiva generale del settore auto, in Italia e nel mondo. Dando per scontata la brutalità del fondo finanziario, proprietario della GKN, dovrebbe essere evidente a tutti che la crisi di tante aziende dell’indotto è legata a filo doppio a quella della ex Fca, confluita da socio minore in Stellantis, e dalla rivoluzione tecnologica e finanziaria che si sta svolgendo nell’automotive a livello europeo e mondiale.

La centralità delle produzioni europee in Germania e Francia, la componentistica origine Psa nel mondo Stellantis, i modelli elettrici spostano il baricentro verso altre nazioni, altre fabbriche, altra organizzazione della produzione. Non ci si oppone a questo con la richiesta di qualche agevolazione sul costo del lavoro o qualche ammortizzatore sociale.

Il collettivo di fabbrica e i lavoratori GKN hanno capito e giocato la carta della battaglia generale, che è uscita dal recinto della fabbrica, pur mantenendola come centro fisico e politico della lotta e hanno praticato l’unità con il territorio e con le altre lotte.

Il territorio toscano, le altre aziende in difficoltà ma anche tanti personaggi della cultura e dello spettacolo hanno raccolto il messaggio e hanno aiutato quei compagni a fare della lotta GKN un simbolo ma anche un esempio di come si può costruire non solo solidarietà ma anche egemonia culturale tra mondi vicini.

Adesso tocca alla politica e al sindacato in primo luogo, raccogliere questo esempio e generalizzarlo.
A partire da una legge sulle delocalizzazioni che voglia e sappia mettere blocchi a chi cancella le aziende e i posti di lavoro, magari dopo avere succhiato soldi pubblici.

Passando per una vertenza generale sul futuro dell’auto in Italia che lotti per difendere i posti di lavoro, il diritto al salario dei lavoratori ma anche indichi quale politica industriale va fatta per passare dall’attuale mobilità, basata sul termico e sulla macchina privata, ai nuovi veicoli ecocompatibili e al trasporto collettivo e pubblico.

Unendo le centinaia di crisi, esplose o in arrivo a breve, in una reazione collettiva, uno sciopero generale non solo sindacale ma sociale, per riaffermare il diritto di tutti i lavoratori, indipendentemente dal settore o dal contratto, ad essere difesi come bene sociale fondamentale, che non può essere subordinato al potere dell’impresa

Il compagni della Gkn sono stati eccezionali nel dare un valore sociale generale alla loro lotta, adesso tocca a tutti noi cogliere la loro lezione e portarla in tutto il paese, in tutte le situazioni.
Questo è il miglior modo di aiutarli a vincere anche nella loro fabbrica!
Grazie compagne e compagni della GKN !

Per capire in quale contesto vive la lotta Gkn proviamo a vedere cosa sta succedendo nell’automotive

Dopo il calo drastico del periodo covid, che ha ridotto vendite e produzioni in Italia del 30%, è iniziata una ripartenza del settore, caratterizzata anche da uno spostamento dei volumi dal diesel alle varie tipologie di elettrico. Ma da alcuni mesi è piombata sul settore, ma anche in altre filiere produttive, la carenza di chip elettronici, ormai componente essenziale di ogni veicolo, che, aggiunta alle difficoltà del trasporti marittimi e alla crescita dei costi, ha determinato una riduzione elevata dei veicoli prodotti, oltre che di quelli venduti. Si parla di 8 milioni di veicoli in meno su base annua a livello mondo. Carenza di componenti, ricordiamocelo che nasce anche dalla assenza di aziende nazionali e una dipendenza quasi totale dai produttori asiatici.

In particolare Stellantis, erede di Fca/ Fiat, segna il passo pagando il prezzo di una ridotta offerta di modelli, specie sul versante elettrico. Carenza, è bene ricordarlo, che si vede da anni e che si è accentuata con l’operazione di fusione. Fusione che ha dato il via ad un riassetto dei modelli e delle produzioni con una strategia globale di gruppo e un occhio privilegiato per i nuclei più forti, francesi ed americani.

Dal punto di vista dei lavoratori i risultati si vedono: alla cronica cassa degli stabilimenti torinesi, che anche per ottobre prevede dalle 2 alle 3 settimane di fermata, si sono aggiunte man mano ristrutturazioni e fermi in tutti gli stabilimenti italiani Cassino, Termoli, Pomigliano, Sevel.
Ancora più grave la situazione dell’indotto, di solito aziende minori con dipendenza elevata dalle commesse Stellantis e che cominciano a pagare le scelte del gruppo di ristrutturare le forniture sotto la Faurecia, la società della componentistica di Psa.

Quindi si licenzia e si chiudono le fabbriche  Gianetti ruote, Gkn ,Timken e la Mopar di Rivalta (ricambi FCA) si libera di 100 interinali. Ma anche a Torino dove la Util di Villanova aveva deciso di lasciare a casa 90 dipendenti ma è stata obbligata a ritirare i licenziamenti dopo la lotta degli operai con blocco della produzione e delle merci.

Il succo del discorso è che non siamo in presenza di qualche crisi aziendale, ma della crisi, in parte di mercato, in parte di salto tecnologico e in parte di ridefinizione delle strutture proprietarie, che porterà a pesanti ristrutturazioni in tutta la filiera.
Per difendere i lavoratori e i siti produttivi bisogna necessariamente aprire la lotta a livello generale, di settore e di politica industriale.
I lavoratori di Gkn ci provano, sta agli atri lavoratori e ai sindacati, oltre che alla sinistra, rilanciare la sfida.

Giorgio Pellegrinelli

Dipartimento nazionale Lavoro Rifondazione Comunista

Pubblicato sul numero di ottobre del mensile Lavoro e Salute

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