Dal governo Draghi al Governo Meloni. Vivono di stragismo sociale

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di Simona Suriano

Già Deputata per il Gruppo Parlamentare ManifestA

Siamo alle soglie di un conflitto globale e i governi di tutto il mondo si apprestano a riempire i propri arsenali, ad aumentare la spesa militare, per non farsi trovare impreparati ad un eventuale conflitto mondiale, anziché far fronte alla crescente povertà.

Eppure il disagio in Italia, ma non solo, non conosce momenti di vera tregua. Partendo dagli ultimi anni, ovvero dalla pandemia e la sua gestione per arrivare all’insediamento del nuovo governo Meloni il popolo italiano ha dovuto affrontare, e sta affrontando, stagioni di lungo travaglio economico e sociale.

L’insediamento del governo dei tecnici di Draghi è stato l’ennesimo tentativo di commissariare l’Italia e assegnarne la gestione economica, in vista delle cospicue somme del Pnrr che devono arrivare in Italia, ai tecnici tanto graditi ai nostri “revisori dei conti” a Bruxelles.
E il governo tecnico di ampia maggioranza, osannato dalla stampa nostrana e internazionale come la panacea a tutti i mali, ha inferto il primo colpo alla tenuta della stabilità del paese sicuramente durante il periodo pandemico, che tra chiusure mal poste o non concesse, tra ristori una tantum (non sempre arrivati a destinazione o comunque non sufficienti) e il conflitto aspro e violento tra chi ha voluto o meno vaccinarsi, è inesorabilmente emersa una profonda piaga nel nostro paese.

Il reddito di cittadinanza ha in parte attenuato ma non ha potuto del tutto arrestare l’emergere di profonde crepe e difficoltà in un paese dove l’assistenza pubblica e la solidarietà sono ormai ridotte a lumicino. Partendo proprio dal comparto sanitario che ha subito lo tsunami di dover gestire una sconosciuta pandemia, un settore ormai sbrindellato e ridotto ai minimi termini con posti letto ridotti progressivamente al lumicino, terapie intensive insufficienti e prestazioni sempre più precarie, sostituite da una sanità privata che eroga prestazioni solo altamente remunerative e non necessariamente essenziali (come appunto l’assistenza per polmonite interstiziale da covid).

Il quadro post covid è quello di un paese in sofferenza che stenta a riprendersi, in cui il 90% delle donne sono coloro che hanno pagato a livello economico e sociale il prezzo più alto, i giovani sempre più alienati e con disturbi psicologici causati dalla segregazione prolungata in casa, dall’assenza di contatti sociali e dall’incertezza del futuro e infine migliaia di imprese e lavoratori che han faticato a mantenere i livelli di produttività e redditività precovid.

In tutto questo il governo Draghi non ha dato risposta alcuna al disagio sociale (Anzi, ha confermato il taglio della spesa sanitaria e scolastica per il 2023 nel DPEF) e si è limitato a fare affidamento alle risorse del PNRR, la cui spesa però sappiamo essere in ritardo e la progettualità non al passo con la grande sfida che l’Italia aveva l’occasione di cogliere.

Si tratta per lo più di progetti che nulla hanno a che vedere con il balzo in avanti di natura sociale, ambientale e tecnologica che il nostro paese avrebbe dovuto fare, ma spesso parliamo di progetti prettamente localistici, oggetto di qualche vecchio desiderata di qualche ente locale, chiuso nel cassetto da decenni e che oggi trova la possibilità di essere finanziato. Il governo dei tecnocrati non ha dato risposta alle miglia di famiglie sull’orlo della povertà assoluta ma ha aggravato la situazione decidendo di far entrare il nostro paese in una guerra che purtroppo non vedrà fine nel breve periodo.

L’Italia, tra i paesi occidentali, è quello che ha da sempre mantenuto solidi rapporti commerciali anche coi paesi storicamente nemici degli Stati Uniti (Russia e Cina) e la scelta di Draghi di essere più realista del re, ovvero di ergersi a capofila dell’esercito di soccorritori del popolo ucraino ha inevitabilmente sortito l’effetto che molti paventavano e per cui si è tentato di far tornare alla ragione Draghi e la sua ampia maggioranza. Oggi l’inflazione (che era già iniziata a seguito della ripresa economica post lockdown) è schizzata alle stelle a causa del conflitto russo ucraino, dell’embargo ai prodotti energetici russi e dalla speculazione delle grandi imprese energetiche, l’inflazione ha eroso salari e pensioni di circa l’8%.

In occasione dell’inizio del World Economic Forum di Davos la ong Oxfam analizza i dati sulla concentrazione della ricchezza e le sue conseguenze. Nonostante il recente tracollo dei mercati azionari, tra marzo 2020 e novembre 2022 le fortune dei miliardari Forbes sono cresciute al ritmo di 2,7 miliardi di dollari al giorno e l’unica ricetta che i banchieri europei sanno dare per contrastare l’inflazione è quella dell’innalzamento dei tassi di interesse (e’ noto infatti che l’aumento dei tassi di interessi produce recessione per incapacità delle imprese e delle famiglie di ripagare i debiti e quindi di essere solvibili e conseguente stretta del credito).

I salari e le pensioni in Italia sono fermi da trent’anni nonostante l’aumento del costo della vita a seguito dell’introduzione dell’euro e l’ultima legge di bilancio, targata Meloni, ha infine ben pensato di ridurre progressivamente l’accesso al reddito di cittadinanza.
La verità è che il disagio sanitario, abitativo, il disagio delle donne e dei lavoratori o pensionati è una piaga che il nostro paese si trascina (in momenti più o meno intensi) da anni. Le scelte politiche economiche degli ultimi trent’anni hanno continuamente condotto il nostro paese a svalutare il costo del lavoro, a rendere i cittadini ricattabili tra salute o lavoro precario e le donne tra lavoro di cura o lavoro retribuito. Sono tutte frutto di scelte politiche ed economiche di stampo neoliberista che secondo i fautori del libero mercato non provocano mai esternalità negative che non possano essere risolte dallo stesso mercato. E così il fallimento delle imprese è un costo da sostenere, secondo le teorie dominanti, affinché rimangano sul mercato solo quelle maggiormente competitive, o la disoccupazione, che non è mai involontaria, perché il mercato assorbe naturalmente la manodopera necessaria secondo la sua capacità produttiva.

Queste teorie economiche trascurano però che nelle nostre città vivono migliaia di emarginati, disoccupati, pensionati minimi o lavoratori poveri che la dura e spietata legge del mercato ha messo in un angolo e di cui lo Stato non si fa più carico. Con la progressiva e costante privatizzazione ed esternalizzazione di tutti i servizi (che il ddl concorrenza ha confermato ed esteso), anche di quelli essenziali, oggi curarsi presso il pubblico è un atto di eroico masochismo; avere servizi comunali efficienti e in tempi brevi un miraggio; una istruzione che dia spazio allo sviluppo del pensiero critico sacrificato sull’altare dell’alternanza scuola lavoro e dei programmi o test invalsi da presentare entro certo rigorose scadenze.

Il vero dramma a questo punto è l’assenza di una classe politica che sappia leggere attentamente e globalmente i vari aspetti del disagio e dare una soluzione non di breve termine o a fini meramente elettoralistici ma che abbia il coraggio di impostare una visione di Stato e intervento pubblico nella rimozione degli ostacoli come la nostra Costituzione recita. La stessa proposta di autonomia differenziata, che i governatori del Nord spingono prepotentemente sarà foriera di ulteriori disagi, non solo per i cittadini del mezzogiorno come vogliono farci credere ma anche per i cittadini del ricco nord. Regionalizzare, sparcellizzare le materie di cui dovrebbe farsi carico la Repubblica con la contestuale attribuzione di ampi poteri ai presidenti di regione potrebbe portare a una gestione non proprio virtuosa di alcuni servizi essenziali come scuola, ambiente, energia e sanità.

E di mala gestione sanitaria purtroppo la pandemia ci ha consegnato un quadro inquietante dove le regioni che avevano maggiormente investito in medicina territoriale negli anni hanno avuto minori disagi mentre quelle che avevano privatizzato hanno sofferto di più.

E la ricca Lombardia è la regione che ne ha pagato il prezzo più alto. Quindi va sfatato il mito che della autonomia differenziata a pagarne il prezzo saranno solo i meridionali, che sicuramente pagheranno un prezzo alto frutto dell’arretratezza storica (concorso di colpa tra classe politica inetta e collusa e politiche nazionali che hanno sempre privilegiato il settentrione).
Insomma, il quadro generale oggi non fa dormire sereni eppure voglio essere ottimista. Io credo che l’unica vera rivoluzione non può che partire dalla consapevolezza dei cittadini. Se il M5S è stato inizialmente uno tsunami nella politica, che ha portato entusiasmo e voglia di partecipare alla cosa pubblica per migliaia di persone e ragazzi, è ora di capire (o meglio far capire) che solo con la partecipazione attiva, consapevole e focalizzata su obiettivi di crescita sostenibile ed equa le cose possono cambiare.

Purtroppo attraversiamo un momento di grande confusione e sconforto. Lo stesso m5s non ha portato la rivoluzione politica tanto attesa e probabilmente nessun leader, movimento o partito lo farà mai se non ha a supporto le masse dei cittadini che chiedono un cambiamento reale. A partire dalla tassazione veramente progressiva che tassi giustamente i grandi profitti o rendite (e la tassazione al 15% delle grandi imprese del web è cosa ridicola), all’introduzione di una indicizzazione dei salari e delle pensioni all’inflazione, al ripristino del ruolo dello Stato nei servizi essenziali (penso a scuola, sanità, trasporti, ambiente) anziché esternalizzare i servizi a multiutility il cui unico obiettivo è il profitto e non certo garantire i servizi a tutti. Per questo deve intervenire lo Stato e farsi carico di garantire energia, acqua e trasporti anche laddove per una impresa privata non sarebbe conveniente. Al momento non esiste una forza politica capace di parlare alla moltitudine dei cittadini italiani. Se è vero che gli operai, le periferie oggi votano a destra, è chiaro che c’è un vuoto ideologico nel quadro politico allarmante che deve porci dei dubbi.

C’è un vuoto che va colmato, e lo si può fare partendo dalle istanze locali e dai territori.
Non esiste la bacchetta magica ma è nostro dovere morale provarci.

Contributo per Lavoro e Salute di Simona Suriano

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