Dalla parte di Mimmo Lucano, al lavoro e alla lotta

Premetto che, non essendo un giurista, non credendo minimamente all’ipocrita affermazione “le sentenze non si commentano” che hanno fatto la fortuna di tanti manettari diversamente collocate, ho provato a dare uno sguardo a quel tomo micidiale costituito dalle motivazioni che hanno consentito ad un tribunale di condannare Domenico (Mimmo) Lucano, a 13 anni e 2 mesi e a emanare condanne ad una “associazione a delinquere” che ha osato “strumentalizzare l’accoglienza per fini politici”. Se non fossero tragiche e prive di ogni fondamento, queste accuse sarebbero ridicole. Voleva insomma acquisire pacchetti di voti, parliamo di accuse che risalgono a quasi 5 anni fa per fare cosa? Fondare un partito? Diventare europarlamentare o essere eletto alla Camera o al Senato? Avrebbe potuto, in molte e molti glie lo abbiamo anche chiesto perché Mimmo rappresenta uno dei volti migliori di questo paese ma ha sempre declinato l’offerta. La ragione? Ha pensato ad amministrare Riace, un paesino della Calabria il cui sindaco, con la diaria non si paga neanche le spese della benzina. Si dirà che con il “modello Riace”, il “reo” ha  acquistato fama nazionale e  internazionale.

Peccato che in un paese imbarbarito da chi ha fondato le proprie ricchezze e le proprie carriere politiche o prefettizie sull’odio e la repressione verso migranti e rifugiati, avere un progetto del genere, andare così contro corrente, ha portato solo rischi, lavoro h 24, a dover pressoché rinunciare ad una vita privata. I movimenti bancari suoi e dell’associazione che ha diretto risultano ridicoli eppure si ha la faccia tosta di affermare che Mimmo si finge povero per acquistare potere e soldi, si ipotizza anche che di soldi ne abbia sottratti a chi trovava rifugio a Riace. Si accusa l’ex sindaco di aver tenuto nel Paese persone che avevano già superato il periodo in cui si ha diritto all’accoglienza.

La risposta è semplice, l’ha fatto, semplicemente perché lasciare le persone in mezzo ad una strada non rientra nel suo codice morale e politico. Si scava nelle intercettazioni e si scoprono aspetti che nei fatti smentiscono le accuse. Il prefetto di Reggio Calabria ordina “ispezioni a campione” per scovare le irregolarità? Mimmo intercettato mentre parla con un collaboratore, non con un giornalista dichiara “Non voglio ispezioni a campione, debbono controllare ogni casa e ogni cosa, debbono sapere tutto”. Perché Mimmo Lucano è questo è persona che tiene alla limpidezza della propria vita più che ad ogni altra cosa. Di perle simili è piena l’indagine: da spostamenti di soldi in conti esteri, si ipotizza un versamento di 700 euro, a viaggi e dimostrazioni di potere come se avessimo a che fare con un potentissimo boss di ‘ndrangheta. Già la ‘ndrangheta.

Ma non viene in mente a nessuno dei forcaioli che riempiono le pagine dei giornali di questo triste paese che forse la procura di Locri dovrebbe magari dedicare più energie, risorse, tempo, per sradicare dall’area circostante una delle più potenti mafie del pianeta? Ah no il problema è Mimmo Lucano. Lo è per i salviniani di ferro e lo è anche per una parte del centro sinistra. Domandiamoci la ragione. Riace non è un modello ma è un’esperienza da cui apprendere per modificare il concetto stesso di accoglienza nel paese al punto da stravolgerlo. Certo se divenisse pratica comune su tutto il territorio nazionale ci rimetterebbero finte cooperative che ottengono perennemente appalti per poi lasciare le persone senza nulla, enti locali che dovrebbero predisporre piani che tengano al centro le donne e gli uomini accolti in rapporto stretto con le comunità locali. Paradossalmente diminuirebbero e sarebbero meglio ripartiti i “costi dell’accoglienza”, produrrebbero effetti sociali positivi di costruzione di convivenza, sarebbero da impulso anche alle tante e ai tanti che attuano buone pratiche ma la cui sopravvivenza è subalterna ai desiderata degli inquilini del Viminale.

Le ragioni di accanimento feroce contro Mimmo Lucano sono di ordine perfidamente politico. L’affermazione delle sue modalità e del suo operato – con tutte le correzioni necessarie sia per gli inevitabili errori commessi nel fare, sia perché ogni territorio ha le proprie specificità – distruggerebbe, o forse avrebbe già distrutto uno dei punti cardine su cui si reggono le politiche delle diverse destre. Perderebbe ancor più senso la minaccia del “nemico alle porte”, sarebbe difficile andare a dire “prima gli italiani perché la coperta è corta”, quando in realtà uno stabile, partecipato, modello di convivenza potrebbe portare lentamente anche ad annullare le distanze fra un “noi” e un “loro”. Non sia mai ma potrebbe accadere addirittura che le persone che faticano ad arrivare alla terza settimana del mese, comincino a capire che chi impedisce loro di avere uno stipendio dignitoso, non è il richiedente asilo accolto ma chi sfrutta gli uni e gli altri. Riace ha mostrato al mondo intero che un’altra convivenza è possibile, quindi che la si schiacci con ogni mezzo necessario.

Mimmo non si arrende e noi con lui. In una recente diretta on line, organizzata insieme all’associazione “Monteverde Antirazzista”, a cui Lucano è intervenuto, prima che venissero depositate le motivazioni, uno dei punti su cui è stato più netto si riassume in una frase, pronunciata anche alzando i toni “Io non accetto questa sentenza ma, anche se in appello riducessero la condanna ad un giorno, la riterrei inaccettabile e ingiusta”. Nessun compromesso da parte sua quindi. Sarà lo stesso atteggiamento che vedremo tenere dall’ex prefetto di Reggio Calabria Michele Di Bari e dalla sua consorte? Si perché il funzionario, dopo l’ottimo lavoro svolto contro Mimmo Lucano (alla ‘ndrangheta ci penseranno altri), a Reggio Calabria, è stato promosso dal suo mentore Matteo Salvini a Responsabile del Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione, uno dei ruoli più delicati al Viminale che abbraccia un’enormità di competenze.

La ministra Luciana Lamorgese ha ritenuto opportuno continuare ad avvalersi delle sue competenze. Peccato – a molte/i non sarà sfuggito, che la consorte del signor Di Bari è oggi con l’obbligo di firma in quanto al centro di un’indagine per “caporalato” e sfruttamento del lavoro degli immigrati, nel foggiano. Le intercettazioni che la riguardano – documenti per chi lavora, 25 euro al giorno di salario al nero – siano un po’ più compromettenti di quelle che riguardano Lucano. Si dirà che le colpe delle mogli non possono ricadere sui mariti. Fatto sta che Di Bari ha immediatamente dovuto rassegnare le proprie dimissioni – immediatamente accolte – anche perché è difficile accettare l’idea che chi si occupa di ogni aspetto dell’immigrazione, anche in rapporto con gli altri dicasteri, non abbia idea di quanto accada nella propria regione d’origine, in materia di criminalità e che quindi non si trovi a riferirne.

Di Bari tace e dell’inchiesta non è emersa più notizia. Peccato che quando ad essere indagato era Mimmo Lucano, non passava giorno in cui non emergessero indiscrezioni per minare la sua credibilità e smontare l’utopia che evoca ogni volta che lo si sente parlare in pubblico. Un’utopia che ci riguarda perché fa riferimento ad una sinistra radicale e libertaria, fondata sull’umanità e sull’eguaglianza, quanto di più distante dai valori dominanti.

Stefano Galieni

Responsabile immigrazione PRC-S.E.

19/12/2021 http://www.rifondazione.it

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