DALL’«AFFIDO CONDIVISO» AL DDL PILLON

Il disegno di legge Pillon è solo l’ultimo atto di un lungo percorso iniziato una decina di anni fa che ha mirato passo dopo passo a far completamente perdere la comprensione di cosa sia il patriarcato, di quali siano le modalità di oppressione della donna in questa società, di quale sia la struttura dell’oppressione di genere.

Negli anni ’70, sotto la spinta dei movimenti, del movimento femminista in particolare ma non solo perché l’analisi di quali siano i meccanismi di asservimento del genere femminile è un’analisi che non può assolutamente prescindere dalla comprensione di come funzioni la società nel suo complesso, era stato riconosciuto che le donne erano sì socialmente e giuridicamente soggetto svantaggiato in tutti i sensi, ma che questo era dovuto ad una precisa scelta strutturale che le voleva in una condizione subalterna a tutto campo. Qualunque problema si affrontasse, quindi, non si poteva prescindere da questa valutazione di fondo. Era stata varata, così, una legislazione di tutela sia nelle separazioni che nell’affidamento dei figli. Tutela che non era dovuta alla sensibilità delle istituzioni bensì ai rapporti di forza modificati dalle lotte. Questo tipo di impostazione man mano è mutata sotto la spinta del cambiamento in senso neoliberista della società. Il rapporto di forza si era di nuovo modificato con uno sbilanciamento molto pesante in favore delle classi dominanti.

La nuova visione infatti non era limitata all’ambito dell’oppressione di genere, ma era ed è parte dell’impostazione neoliberista che mette sullo stesso piano aggressori ed aggredite, ma anche sfruttatori e sfruttati, oppressori ed oppressi e mira a far perdere di vista il funzionamento effettivo della società.

Nel 2006, con Berlusconi al governo, viene attuato uno strappo importante nella legislazione che riguarda separazioni, tutele, affidamento dei figli e via discorrendo, con il così detto «affido condiviso» che imposta due cambiamenti importanti: viene definito il concetto di bigenitorialità cioè che i bambini in caso di separazione hanno bisogno comunque dei due genitori, a prescindere, anche a prescindere dai comportamenti del padre più o meno dichiaratamente violenti. Alla donna non viene più data credibilità come veniva fatto nella legislazione precedente, non le viene più riconosciuto lo status di soggetto oppresso. Precisiamo meglio. Non si tratta di definire la donna soggetto «debole» che è una definizione tutta difensivista e spoliticizzata, si tratta di riconoscerla come soggetto oppresso cioè in una posizione di sfruttamento economico-strutturale, che non significa soltanto sfruttamento lavorativo nel senso più stretto del termine, ma sfruttamento ai fini riproduttivi e di cura, sfruttamento materiale del suo corpo e terreno di sperimentazione.  Infatti, il concetto che improntava la legislazione che veniva dagli anni ‘70 era questo: anche se eventualmente nell’applicazione fossero venute fuori ingiustizie o sperequazioni, avrebbe dovuto essere comunque la donna ad essere tutelata perché nella stragrande maggioranza dei casi è soggetto subalterno e assoggettato.

Il concetto che poi invece si è affermato nell’ottica della «»convivenza civile» neoliberista, che non significa altro che mettere sullo stesso piano dominanti e dominati, è quello che padre e madre, uomo e donna, sono sullo stesso piano e non ha importanza neanche quello che dicono o vogliono i figli. Addirittura entrano in ballo e possono mettere bocca per legge anche i nonni che hanno il diritto di rivendicare un rapporto con i minori anche se la madre non vuole. Si innescano così meccanismi di grande prevaricazione per cui la famiglia allargata è quella che decide ed è depositaria del giusto e del vero. Viene meno completamente l’analisi politica del ruolo femminile nella società, l’analisi della famiglia come catena di trasmissione dei valori dominanti e si definiscono i conflitti attraverso il metro sociologico psicanalitico tutto interno a questa società.

Ma è un errore pensare che dato che la legge sull’«affido condiviso» è stata fatta dal governo Berlusconi sia un suo prodotto. Nessuno si è opposto, tanto meno la socialdemocrazia riformista che era assolutamente in sintonia, tanto è vero che le socialdemocratiche “femministe”, prevaricando il movimento femminista nel novembre del 2009 chiamano la manifestazione contro la violenza sulle donne appellandosi alla «convivenza civile» e al «sereno confronto tra i sessi». D’altra parte se socialdemocratici/che e collaterali avessero voluto, avrebbero potuto cambiare la legge sull’affido condiviso come e quando volevano dato che sono stati al governo per un tempo stratosferico. Invece tutte le proposte che hanno fatto negli anni passati hanno ricalcato quella del 2006 con varianti minime. L’ultimo disegno di legge in proposito è del PD ed è del 2015 proposto da Lumia e Cirinnà e le variazioni sono risibili. L’impianto non è mai stato messo in discussione.

Tutto questo percorso è stato poi accompagnato da un concetto di provenienza americana, non riconosciuto ufficialmente ma che poi, di fatto, ha influenzato e influenza anche i tribunali e le strutture amministrative italiane che è quello della PAS, Sindrome da alienazione genitoriale, secondo la quale le donne metterebbero in cattiva luce i padri nei confronti dei figli in modo da allontanarli da loro condizionandoli nel giudizio.

Le donne ridiventano le streghe e le fattucchiere che convincerebbero i figli che il padre è violento anche se non lo è. Un ribaltamento completo della realtà. Il tutto accompagnato dalla pressione delle associazioni dei padri separati che invece di lamentarsi perché non riescono a vivere da soli farebbero bene ad organizzarsi e combattere contro questo sistema che non permette una vita dignitosa alla prima difficoltà economica o sociale. Invece la colpa viene scaricata sulle donne che pretendono di separarsi e non vogliono accettare rapporti di subordinazione e che, tra l’altro, pagano un prezzo molto alto perché quelle ammazzate costituiscono la punta dell’iceberg, le vessazioni sono all’ordine del giorno.

Ora il Ddl Pillon non è altro che un ulteriore inasprimento di questa impostazione, nello stesso modo per cui il Decreto Salvini sulla sicurezza e l’immigrazione è l‘ultimo atto del percorso securitario e di controllo sociale fatto dal PD in questi anni.

Le linee fondanti del Ddl Pillon che si innestano sull’affido condiviso introducono la figura obbligatoria e tra l’altro a pagamento di un mediatore familiare che dovrebbe accompagnare una richiesta di separazione e che di fatto serve a ostacolare il divorzio e la figura dei coordinatori genitoriali che si arrogano il diritto di entrare nella gestione anche più intima di tutto ciò che riguardi i rapporti e la separazione. Quindi un’ingerenza mostruosa.

E’ estremamente pericoloso battersi contro il Ddl Pillon senza smascherare il percorso che è stato portato avanti in questi anni e le relative responsabilità perché circoscrive il problema ad una persona e ad un governo e fa perdere di vista che lo stato etico è stato impostato dal neoliberismo e che i servizi sociali hanno assunto in questi anni caratteristiche di stampo poliziesco che ricordano l’Inghilterra vittoriana.

Elisabetta Teghil

23/7/2019 coordinamenta.noblogs.org

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