Ddl Concorrenza e servizio taxi: un favore alle multinazionali e alla speculazione finanziaria

Non è difficile, leggendo nel suo insieme il DDL Concorrenza predisposto dal Presidente Mario Draghi, cogliere un legame trasversale tra tutti gli articoli che lo compongono. Evidentemente, al di là delle dichiarazioni di facciata, si delinea un ingresso del mercato nei servizi pubblici, incrementandone lo smembramento a favore di soggetti multinazionali ed eliminando ogni residuo di bene comune.
Non è la prima volta dell’ex Presidente della BCE in quella che per lui, sembra essere una vera e propria crociata. Nell’agosto del 2011 inviava (congiuntamente con Jean Claude Trichet) al Governo Italiano, una missiva nella quale si sponsorizzavano gli stessi concetti: concorrenza nei servizi pubblici, in particolare nella fornitura di servizi locali, promozione delle privatizzazioni su larga scala e interventi nei sistemi regolatori. Oggi, anche grazie alle manovre relative alla gestione dei fondi del PNRR, si prepara a compiere definitivamente il salto.

Se dal generale scendiamo al particolare del servizio pubblico taxi, una premessa su due aspetti complementari va fatta, anche per evitare che una bugia ripetuta mille volte possa sembrare verità.

Non è vero che ce lo chiede l’Europa.
Tanto la famigerata Direttiva Bolkestein [1] quanto il D.L. n. 59/2010 [2]  «Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno» escludono i taxi dai contesti di libero mercato, in virtù della funzione di servizio pubblico.

Non è vero che la normativa è vecchia e obsoleta.
Nel febbraio 2019, dopo una lunga trattativa e anche con una serie rilevanti concessioni da parte dei tassisti al settore del noleggio con conducente (Ncc), viene pubblicata in Gazzetta ufficiale una riforma del settore. Ma lo stesso Parlamento che oggi vorrebbe nuovamente intervenire, non porta a compimento il suo mandato e ben tre decreti applicativi -due di competenza dei Ministeri preposti (MIT e MISE) e un terzo riguardante la regolamentazione delle piattaforme digitali, in coordinamento con la Presidenza del Consiglio- restano lettera morta.

La domanda da porsi è: cosa c’è dietro la volontà di smantellare un ecosistema complesso, che garantisce, come stabilito dall’attuale normativa, una funzione complementare e integrativa nel trasporto pubblico locale? Perché s’interviene su un’integrazione del trasporto pubblico svolta da lavoratori autonomi che, senza oneri per lo Stato e in un regime “tutelato per l’utenza”, contribuiscono al diritto al lavoro e alla mobilità, sancito anche costituzionalmente (art. 1 – art.43 – art.117)?
Limitando per problemi di spazio l’analisi solo ad alcuni aspetti più evidenti, anche per chi non conosce a fondo la normativa, possiamo dire che l’art.8, come molti degli articoli del Ddl Concorrenza, costituisce semplicemente un grosso favore alle multinazionali.
Le linee guida dell’Art.8 sono tracciate nel comma 2 in sette punti.

Va subito sottolineata la pericolosa direzione intrapresa al punto b), laddove si prescrive “l’adeguamento dell’offerta di servizi alle nuove forme di mobilità che si svolgono mediante applicazioni web che utilizzano piattaforme tecnologiche per l’interconnessione dei passeggeri e dei conducenti”. La definizione dell’attività delle piattaforme come equiparabili a servizi d’interconnessione costituisce un esplicito favore a soggetti come Uber, Freenow, oltre a società al momento non ancora presenti in Italia come Cabify e Bolt e va in direzione esattamente opposta all’interpretazione data da autorevoli sentenze –una per tutte, Corte di Giustizia Europea, 2017 [3] –  che definiscono l’attività delle piattaforme come esplicita attività d’intermediazione di manodopera, con i vincoli che comporta [4] nel nostro settore.

Al punto d) si prescrive “la promozione della concorrenza, anche in sede di conferimento delle licenze, al fine di stimolare standard qualitativi più elevati”. Sarebbe interessante capire cosa si intende per concorrenza in un ambito nel quale un servizio pubblico essenziale [5] è svolto da un lavoratore autonomo, ma in un contesto completamente amministrato da un Ente Pubblico.

Se prendiamo ad esempio la tariffa, essa non è stabilita dal tassista, ma viene impostata dagli Enti Locali su 4 parametri [6]: incidenza dei consumi in relazione alla percorrenza, spese di struttura, costo per la disponibilità del veicolo, costo del personale di guida. Parametri rivolti a garantire un servizio pubblico regolare, calmierando al contempo il reddito del tassista.

Ma non sono gli unici vincoli del Servizio che vanno rispettati e che incidono sullo stesso.

Il lavoro del tassista è vincolato anche a:

  • l’obbligo di prestazione rivolto ad un’utenza indifferenziata, con destinazione sull’intero territorio comunale/comprensoriale, rendendo obbligatoria ogni corsa, comprese quelle che risultassero svantaggiose economicamente;
  • l’equilibrio delle licenze in servizio, in funzione di una serie di valutazioni demografiche (ospedali, strutture turistiche, abitanti, ecc…), al fine di evitare che l’incremento della domanda possa determinare un vantaggio per il tassista, andando a discapito del servizio;
  • l’organizzazione degli orari di lavoro, articolata su 24 ore per assicurarne la disponibilità in ogni fascia oraria. Come del resto è avvenuto durante la pandemia COVID-19.

Non poteva mancare –punto e)-  “ la garanzia di una migliore tutela del consumatore nella fruizione del servizio, al fine di favorire una consapevole scelta nell’offerta”.

Nello scrivere queste belle parole, l’estensore sembra dimenticare il reale funzionamento (e il cinismo) con il quale le piattaforme stile Uber agiscono. Percepiscono profitti, trattenendo a monte una percentuale sulle corse (dal 10 al 30%); e lo fanno attraverso una sorta di mezzadria medievale, superando perfino il concetto della proprietà dei mezzi di produzione e del rischio d’impresa. Se un tassista buca una gomma o fonde il motore, la multinazionale non ha danni, manderà un diverso taxi e percepirà ugualmente la sua “tangente”.

Ma l’aspetto più pericoloso per l’utenza è il meccanismo di “costruzione” del costo. Questo avviene attraverso algoritmi che utilizzano moltiplicatori tariffari [7], in base ai quali più sale la domanda più aumenta il costo, senza più certezze per l’utenza. E non derogano neppure in casi di calamità o di attentati terroristici: a Roma, durante l’ultima grande nevicata, una corsa dalla Stazione Termini con destinazione l’Ospedale Policlinico Gemelli costava circa 100€, contro i circa 20€ del taxi; a Nizza, nella notte degli attentati del 2016, i giornali francesi hanno denunciato l’aumento triplicato della tariffa a seguito di un picco della domanda legato appunto ai tragici eventi. Altro che consapevole scelta per l’utenza.

Vogliamo infine parlare del danno in termini fiscali che comporta il favorire queste società?
I tassisti (circa 40.000 in Italia) sono sottoposti ad una fiscalità, verificata dall’Agenzia delle Entrate con strumenti quali ISA (Indici Sintetici di Affidabilità), e quindi partecipano così come stabilito dalla Costituzione (art.53), in maniera proporzionale al reddito, al soddisfacimento dei bisogni pubblici dei cittadini. La stessa cosa non vale per le multinazionali. In due studi pubblicati da enti
internazionali indipendenti economici (CICTAR [8] e TJN [9]) e in un documento dell’Unione Europea [10] viene segnalata la questione. Il CICTAR assegna il primato dell’elusione fiscale a Uber, che, per spostare la sede legale dalle Bermuda in Olanda, ha chiesto un finanziamento a una sua filiale di Singapore a tassi totalmente fuori mercato, ottenendo così una detrazione pari all’azzeramento delle imposte in Olanda per i prossimi venti anni.

Le motivazioni sopra riportate spiegano perché la richiesta di abrogazione del Ddl Concorrenza travalica la legittima difesa dei lavoratori coinvolti, e coinvolge la collettività nel suo insieme.
È una battaglia difficile, ma occorre il coraggio di affrontarla, perché si tratta di uno scontro tra servizio e profitto, tra lavoro e speculazione finanziaria che non può essere ignorato.

Riferimenti:

1 https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32006L0123&from=IT pubblicata in GU Europea il 27 dicembre 2006 – DIRETTIVA 2006/123/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO – Art.21- I servizi di trasporto, compresi i trasporti urbani, i taxi e le ambulanze nonché i servizi portuali, sono esclusi dal campo di applicazione della presente direttiva.

2 Decreto Legislativo n.59 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 94 del 23 aprile Suppl.Ordinario n.75 – Art.6- comma 1- Le disposizioni del presente decreto non si applicano ai servizi di trasporto aereo, marittimo, per le altre vie navigabili, ferroviario e su strada, ivi inclusi i servizi di trasporto urbani, di taxi, di ambulanza, nonché i servizi portuali e i servizi di noleggio auto con conducente.

3 https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:62015CJ0434&from=IT

4 il cui elemento principale è un’attività “nel settore dei trasporti”, e in quanto tale non può essere qualificato come “servizio della società d’informazione” ai sensi della direttiva 2000/31/CE.

5 Legge 12 giugno 1990 n. 146 disciplina del diritto di sciopero nei servizi essenziali riguardante nel Trasporto Pubblico Locale non di linea – TAXI.

6 Decreto Ministeriale del 1993 utilizzato nelle delibere tariffarie e nei regolamenti taxi delle principali città italiane

7 Meccanismo denominato surge pricing
8 www.cictar.org – Centre for international Corporate tax Accountability and Research
https://www.businessinsider.com.au/uber-tax-avoidance-50-dutch-shell-companies-5-billion-revenue-2021-5?r=US&IR=T
9 https://taxjustice.net
10  https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/E-9-2021-000844_EN.htm

Foto:”Uber: pro e contro della start-up avversata dai tassisti” di automobileitalia (CC BY 2.0).

Riccardo Cacchione

Coordinatore nazionale Usb-Taxi

19/3/2022 https://www.attac-italia.org

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 49 di Marzo-Aprile 2022: “Si scrive concorrenza, si legge privatizzazione

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