Decreto Minniti, quali le implicazioni?

Allora Avv. Tatarano, cosa prevede il recente Decreto Minniti, cd. Decreto sicurezza urbana?

Si tratta di un intervento legislativo abbastanza articolato, che nelle intenzioni dei suoi estensori dovrebbe promuovere ed attuare, con la partecipazione programmatica di Regioni e Province autonome in collaborazione con gli altri enti territoriali e i soggetti istituzionalmente preposti, “un sistema unitario ed integrato di sicurezza per il benessere delle comunità territoriali” (art. 1).
Secondo una logica “verticale” di ripartizione delle competenze, lo Stato si assume il compito di individuare le linee guida degli interventi, lasciando poi alle Regioni la possibilità di impiegare risorse per promuovere il modello di sicurezza integrata nel territorio di riferimento ovvero adottare misure di sostegno finanziario in favore delle aree maggiormente interessate dai fenomeni di criminalità diffusa.
Dunque, al di là di quelle che restano enunciazioni di principio, il decreto non destina un solo centesimo delle finanze pubbliche alle politiche di sicurezza. E d’altro canto, si tratta di un intervento legislativo dichiaratamente “a costo zero”, come prevede la clausola di neutralità finanziaria apposta all’art. 17.
Senza entrare troppo nello specifico, si può dire che vengono introdotti diversi meccanismi di collegamento e di raccordo, sia a livello nazionale che locale, tra i vari soggetti chiamati ad operare per il conseguimento degli obbiettivi previsti.
Decisamente più incisivo è l’aspetto relativo all’estensione delle prerogative e dei poteri di Sindaco, Questore e – in misura minore – Prefetto riguardo all’attuazione dei piani di sicurezza integrata.
Con particolare riguardo al Sindaco, viene prevista la possibilità di adottare ordinanze tese a risolvere situazioni di grave incuria o degrado del territorio o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, anche attraverso la limitazione degli orari di vendita e somministrazione delle bevande alcoliche. Inoltre, sempre al Sindaco si conferisce potere d’intervento al fine di prevenire e contrastare le situazioni che favoriscono l’insorgere di fenomeni criminosi o di illegalità, quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, l’accattonaggio con impiego di minori e disabili, o fenomeni di abusivismo, quale l’illecita occupazione di spazi pubblici, o di violenza, anche legati all’abuso di alcool o all’uso di sostanze stupefacenti”.
Sul punto non si comprende quale possa essere il tenore delle ordinanze e come concretamente i poteri coercitivi del Sindaco possano avere un’efficienza rispetto alla prevenzione di quelle che sono condotte di reato vere e proprie. Ma anche questo è un aspetto puramente propagandistico del decreto, che risponde alla visione del “sindaco sceriffo” così spesso evocata in determinati contesti politici.
Significativa e preoccupante è invece l’introduzione del cd. Ordine di allontanamento, disciplinata dall’art. 9 del decreto. Si prevede infatti che coloro che limitino la libera accessibilità e la fruizione delle infrastrutture portuali, aeroportuali, ferroviarie e di trasporto pubblico ovvero le loro pertinenze, anche in violazione dei divieti di stazionamento o di occupazione degli spazi, siano soggetti ad una sanzione pecuniaria e all’ordine di allontanamento per quarantotto ore da detti luoghi. Destinatari del provvedimento sono anche coloro che abbiano commesso gli illeciti amministrativi di atti contrari alla pubblica decenza, di ubriachezza e di commercio abusivo. Peraltro, i regolamenti di polizia urbana possono individuare aree interessate al flusso turistico o destinate ad uso pubblico nelle quali applicare l’ordine di allontanamento previsto. Dunque, ai sindaci viene conferito il potere di delimitare delle aree a sorveglianza, secondo una logica di esclusione dei soggetti marginali.
In caso di reiterazione delle violazioni spetta al Questore, laddove dalla condotta possa derivare pericolo per la sicurezza, adottare un decreto motivato di allontanamento fino a sei mesi. Tale termine può essere portato fino a due anni se il destinatario è soggetto che sia stato condannato nei cinque anni precedenti per reati contro il patrimonio o contro la persona.

Un reticolo ancora più vischioso di obblighi e sanzioni amministrative riguarda i soggetti che siano stati condannati per fatti inerenti il t.u. stupefacenti. Nei loro confronti l’ordine di allontanamento con divieto di accesso ha una durata minima di un anno e massima di cinque e può essere collegato ad ulteriori imposizioni, come l’obbligo di presentazione periodica innanzi alla ps, la permanenza domiciliare nelle ore serali e notturne, l’obbligo di dimora e il ritiro della patente di guida.

Altre norme vengono dettate per combattere il fenomeno delle occupazioni di immobili, conferendo ai prefetti maggiori poteri nell’utilizzo della forza pubblica per gli sgomberi, altre ancora riguardano la possibilità di imporre l’obbligo di ripristino e ripulitura degli immobili imbrattati nel caso di condanna per danneggiamento nei confronti dei writers.

In generale può dirsi che si tratta di un capitolato legislativo segnato da una violenta carica repressiva rivolta nei confronti dei settori più marginali della società.
Significativo è il dato testuale presente nell’art. 4, che definisce il concetto di “sicurezza integrata”, da conseguirsi attraverso “l’eliminazione dei fattori di marginalità ed esclusione sociale”. È evidente che l’articolato normativo, nel quale non vi è la minima traccia di iniziative tese al superamento delle cause del disagio e dell’esclusione sociale, ha invece la finalità scoperta di respingere fisicamente i soggetti portatori espressione di marginalità al di fuori dei “salotti buoni” delle città.

Ubriachi, tossici, venditori abusivi e marginali in genere divengono destinatari di sommari ordini sommari di espulsione dal contesto urbano. Secondo una logica di gran lunga peggiore rispetto alla tante volte evocata dottrina della zero tolerance nordamericana, che – quanto meno – all’aspetto repressivo accompagnava la riqualificazione degli spazi, sia pure ai fini del recupero del valore immobiliare delle aree.

Il tutto secondo una brutale logica di classe. Fa rabbrividire che il ministro Minniti abbia voluto sottolineare l’ispirazione di sinistra di questo provvedimento. Evidentemente, la sinistra 2.0 del PD, avendo rinunciato alla prospettiva del superamento della povertà e delle diseguaglianze sociali, si accontenta di eliminare semplicemente dalla vista poveri e marginali, sospingendoli verso le periferie, lontano dagli spazi urbani “vivibili”.

Lo stesso Ministro ha rimarcato l’assoluta novità di un “pacchetto sicurezza” privo di aggravamenti delle norme del codice penale.

Se è possibile, l’introduzione di una sistema così articolato di provvedimenti di tipo amministrativo aventi una portata incisiva sulla libertà personale è estremamente più pericolosa. L’”ordine di allontanamento” è infatti appannaggio esclusivo di Polizia Locale e Questore, salvi i limitati casi in cui sia prevista la convalida da parte dell’A.G. secondo il discutibile modello già in vigore per i Daspo con obbligo di presentazione alla P.S.. In altre parole, la libertà di circolazione costituzionalmente garantita potrà essere inibita su iniziativa dell’autorità amministrativa e (solo in alcuni casi) con la successiva convalida da parte dell’A.G., ma senza che l’interessato abbia la facoltà di comparire personalmente ed articolare un minimo di diritto di difesa. La logica è quella di ridurre al minimo le possibilità di sindacato giurisdizionale dei provvedimenti e le conseguenti verifiche di costituzionalità delle norme.

Dunque, la scelta di ricorrere ad un insieme di sanzioni amministrative piuttosto che a un pacchetto di nuovi reati risponde ad una lucida logica di efficienza repressiva, a tutto detrimento delle garanzie previste dalla Costituzione.

Resta da vedere quale sarà il risultato finale all’esito dell’iter parlamentare di approvazione della legge di conversione. In generale può facilmente prevedersi che le categorie dei soggetti destinatari dei cd. Ordini di allontanamento sono destinate ad aumentare (ad esempio, la legge di conversione ha già inserito nell’elenco previsto dall’art. 9 i parcheggiatori abusivi, richiamando l’art. 7 co. 15 bis cds). In una prospettiva pratica, molto invece dipenderà dalla scelta dei sindaci, a cui sono state grandi possibilità di intervento attraverso i regolamenti di polizia locale, di utilizzare massicciamente o meno gli strumenti che il d.l. Minniti mette a loro disposizione.

L’estensione arbitraria del DASPO ci porta a ritenere che nel corso degli anni le cd. “curve” dei tifosi siano state un terreno di sperimentazione. Cosa ne pensa?

E’ assolutamente incontestabile che sulle curve si sia avviato nel corso di questi anni un percorso di sperimentazione repressiva che ha visto mettere a punto degli strumenti come la flagranza differita, non a caso estesa anche alle ipotesi di reato commesse al di fuori dei contesti sportivi nel testo del dl Minniti con il ddl di conversione, oppure lo stesso daspo, sulla cui falsariga è modellato anche l’ordine di allontanamento previsto dal d.l. Minniti.

Si tratta di istituti che in una prospettiva di polizia hanno dato prova di grande efficienza repressiva, per la capacità di limitare la libertà personale dei soggetti, comprimendo al massimo le facoltà difensive.

Le curve sono state una specie di laboratorio, sul quale testare la capacità di tenuta di un modello repressivo inedito, che spostava la sede dell’intervento concretamente sanzionatorio dal processo penale ad un ambito “misto” di provvedimenti amministrativi e misure di prevenzione, con un’immediata incidenza sulla libertà personale.

Tutto questo è stato possibile per due ordini di ragioni: in prima battuta perché è passata la solita logica “emergenziale”, che ha giustificato una serie di interventi fortemente repressivi sull’onda emotiva generata da fatti di cronaca e cavalcata da media e politica. In secondo luogo, l’universo ultras è per sua natura autoreferenziale e poco incline ad aprirsi verso l’esterno, sicché la raffigurazione del sinonimo ultrà/criminale ha avuto facile gioco sull’opinione pubblica, facendo sì che non vi levassero voci dissenzienti rispetto all’adozione di una normativa fortemente repressiva ed in evidente contrasto con i principi costituzionali.

Va da sé che ogni intervento improntato ad una logica emergenziale ha la capacità di “espandersi” nell’ordinamento. Accade così ogni qualvolta si introduca una deroga ai principi generali. Così, quegli stessi strumenti utilizzati per limitare la libertà di movimento degli ultras adesso vengono utilizzati per comprimere quella dei “marginali” a cui il d.l. Minniti si rivolge.

Ci saranno implicazioni concernenti la libertà di manifestare?

Il D.L. Minniti non era originariamente pensato per innovare la disciplina relativa alla tutela dell’ordine pubblico nel corso delle manifestazioni. Non era questo l’orizzonte di intervento del d.l..
Però, sull’onda emozionale generata dagli incidenti accaduti durante le manifestazioni tenutesi a Napoli contro Salvini, è stata introdotto un emendamento al ddl di conversione approvato alla Camera, che rende possibile l’arresto in flagranza differita (o ritardata) anche per fatti diversi da quelli disciplinati dalla legge sulle manifestazioni sportive.

In pratica, la norma estende la possibilità per la polizia giudiziaria di operare un arresto sulla base della visione di documentazione video – fotografica “nel caso di reati commessi con violenza alle persone o alle cose, compiuti alla presenza di più persone anche in occasioni pubbliche”.

Al di là delle considerazioni sulla genericità degli ambiti di applicabilità (dovuta alla solita, pessima tecnica legislativa di questi anni), visto che la possibilità di arresto non parrebbe limitata alle manifestazioni, la portata della norma è pesantissima. Tanto perché rende regola ciò che nel sistema era una (discutibile) eccezione, limitata ai fatti commessi in occasione di manifestazioni sportive.

Da un lato, infatti, si mette in discussione il concetto stesso di flagranza, che presupporrebbe la percezione diretta e l’immediatezza dell’intervento della polizia giudiziaria e dall’altro si estende in maniera considerevole una facoltà, quella di procedere alla limitazione della libertà di un soggetto prima che intervenga una atto motivato della magistratura, che la nostra Costituzione definisce come straordinaria.

Ad ogni buon conto, è di tutta evidenza come ci si trovi di fronte al passaggio ad una dimensione applicativa generalizzata di un istituto espressamente qualificato come eccezionale. Tanto a dimostrazione del fatto che le deroghe “emergenziali” al sistema della garanzie sono suscettibili di diventare regola.

È altrettanto chiaro come la facoltà di arresto differito sia suscettibile di diventare un formidabile strumento di intimidazione, lasciando campo libero alla polizia giudiziaria per poter eseguire provvedimenti limitativi della libertà personale prima dell’intervento della magistratura e senza alcun controllo preventivo da parte di quest’ultima.

Il D.L. Minniti si muove secondo una logica coerente con l’evoluzione del sistema penale?

A mio parere sì. Andiamo in una direzione di superamento della concezione del diritto e del processo penale come spazi esclusivi, nei quali si articola l’intervento punitivo dello Stato. L’esperienza di questi anni dimostra come si tenda a privilegiare modalità di intervento di tipo differente, come quelli amministrativi in senso stretto o quelli propri del sistema della misure di prevenzione.
In effetti – volendo semplificare molto il discorso – possiamo dire che il diritto penale sanziona dei fatti e le responsabilità per quei fatti si accertano nei processi mediante delle prove. È del tutto evidente che modi e tempi del processo penale mal si conciliano con la logica della limitazione della libertà personale per “categorie di soggetti ritenuti portatori di pericolosità” (l’ultrà, il tossico, l’immigrato, il marginale in genere…).
Diventa essenziale, invece, nella logica repressiva delle moderne società dare una risposta immediata alle “spinte securitarie”, limitando al minimo gli spazi e le possibilità di difesa per chi, di volta in volta, venga individuato come “soggetto pericoloso”. Si preferisce così individuare modalità di intervento anche meno invasive rispetto alla privazione della libertà tout court, ma da irrogarsi in maniera rapida, senza un vero e proprio accertamento, magari demandandole integralmente all’autorità amministrativa.
Sono esattamente queste le coordinate dell’intervento previsto dal D.L. Minniti, connotate peraltro da una logica assolutamente classista e – perciò – ancora più

7/4/2017 www.napoleaks.com

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