Dei vaccini abbiamo bisogno ma anche di informazione

La manifestazione di Pesaro dei free vax (40.000 censiti dalla questura) in realtà ha fatto emergere un fenomeno studiato da decenni capace di condizionare la medicina ufficiale. Sfidandola sul terreno del cambiamento e quindi creandole diversi problemi (sfiducia, delegittimazione, cause giudiziarie).

Mi riferisco alla tradizionale figura del paziente (una figura passiva che da beneficiario accetta di essere oggettivamente ridotto alla propria malattia e che spiega tutto quello che gli capita come destino) che diventa, a partire dal secondo dopoguerra e in ragione dei cambiamenti del mondo che lo circonda, un “esigente” (un soggetto nuovo cosciente dei propri diritti, informato e disinformato allo stesso tempo, che contratta con il medico e la medicina perché vuole co-decidere e che gli eventi avversi li imputa al medico di cui si fida sempre meno portandolo sempre più in tribunale).

Rammento che alla base della riforma sanitaria del 1978 tra i vari postulati che la imponevano quale necessità sociale e politica ineludibile c’era proprio il cambiamento della figura del malato, della tradizionale domanda di cura, il suo bisogno di partecipazione.

Con il decreto sui vaccini tutto questo (che in questi anni ci ha obbligati a discutere di umanizzazione, di alleanza terapeutica, di empowerment, di consenso informato, di bio-testamento, di relazioni di cura, di presa in carico ecc) prorompe, scoppia, viene fuori come un dissenso inarrestabile. Ma perché?

Perché il decreto, cioè il governo, davanti al cambiamento culturale di una intera epoca, si rifiuta di fare i conti con i fattori culturali che hanno causato in tutta Europa un calo delle coperture vaccinali e stupidamente risponde con l’intimidazione riesumando uno scientismo di altri tempi, ricorrendo all’imposizione coercitiva, la stessa che si rende necessaria con le grandi epidemie come il vaiolo, cioè obbligando le persone a subire un numero ingiustificato di vaccini ed a rinunciare a diritti fondamentali.

Ma anche rivolgendosi alla società complessa (fluida, post moderna ,post ideologica ecc) con ambiguità senza fare chiarezza sugli effetti collaterali, senza fare trasparenza sui rapporti che collegano il decreto sui vaccini agli accordi internazionali tra Italia Usa e Big Farma, ma soprattutto facendo un errore clamoroso, quello di accusare i genitori di incoscienza e di irresponsabilità, bollandoli con un marchio dispregiativo (no vax) e minacciandoli con la deprivazione dei diritti e con l’imposizione di multe salate senza capire che a ben vedere sono proprio le preoccupazioni di questi nuovi genitori, le loro cure, le loro paure, i loro dubbi a fare di loro dei bravi genitori fino a sfidare per proteggere i loro figli financo lo Stato se lo Stato non offre le necessarie garanzie di affidabilità.

A Pesaro i luoghi comuni del governo sono stati educatamente e civilmente contestati, vale a dire le gratuite contrapposizione tra le libertà personali con l’interesse collettivo, tra la responsabilità e la libertà, tra gli interessi ai diritti.

A Pesaro non c’erano i no vax ma decine di migliaia di persone “esigenti” con i loro figli le loro famiglie, a protestare certo contro un brutto decreto ma anche per una idea nuova di cura, di salute, di medicina nella quale libertà responsabilità, e consapevolezza cooperano per lavorare insieme, esattamente come è stato fatto per la libertà di aborto, per la chiusura dei manicomi, per la salute nei luoghi di vita e di lavoro, per il bio-testamento, per il consenso informato ecc. Se è vero che dei vaccini abbiamo bisogno è anche vero che essi si possono usare, (come dimostra il Veneto e il resto dell’Europa), in tanti modi diversi da quelli prescritti da questo orrendo decreto, senza mortificare né valori né diritti e meno che mai persone .

Mi rammarico che la politica e i media nel loro complesso abbiano snobbato questa manifestazione. Entrambi sbagliano, la mia sensazione è che siamo solo all’inizio. O almeno lo spero. E’ a Roma che la protesta dovrebbe trasferirsi, con un bel programma che fughi ambiguità e strumentalizzazioni, con il sostegno di qualificati interlocutori, quindi unendo ciò che ancora oggi è troppo sparso e forse ancora non sufficientemente definito.

Ivan Cavicchi

11/7/2017 https://ilmanifesto.it

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