Di nomina in nomina: i dati che accusano la gestione dell’emergenza

Le pose sono quelle di rito. Nell’immagine che mostra la consegna del 25 marzo di cinque respiratori all’ospedale di Piario, paesino nella Val Seriana della mancata zona rossa di Nembro e Alzano, il direttore del servizio di rianimazione e anestesia della struttura bergamasca regge a favore della fotocamera uno degli scatoloni contenenti le apparecchiature. «Questa donazione aiuterà il reparto di terapia intensiva ad affrontare, in modo concreto, l’attuale situazione sanitaria», fa sapere contestualmente l’Asst dell’area. «Peccato, però, che oggi che siamo a metà aprile quei respiratori si trovino ancora negli scatoloni», dice invece a Dinamopress una fonte del personale sanitario dell’ospedale di Piario che preferisce restare anonima. «Si tratta infatti di apparecchiature d’emergenza, buone forse per le ambulanze, ma non per le sale di rianimazione dove peraltro siamo già muniti di respiratori di tutto rispetto. Sinora non ne abbiamo avuto alcun bisogno e li abbiamo messi da parte in sgabuzzino». A effettuare la donazione è stata l’impresa immobiliare “Percassi” (fra le maggiori del suo settore in Italia, con ricavi che nel 2018 ammontavano a circa 67 milioni di euro), che fa a sua volta riferimento al patron dell’Atalanta ed ex-calciatore Antonio Percassi. «È quasi una “gara” a chi fa donazioni e raccoglie soldi, ma poi qualcuno controlla come vengono gestiti questi aiuti?», si chiede la nostra fonte.

L’altro lato della valle

Piario, cittadina di poco più di 1000 abitanti, si trova nella provincia di Bergamo ai piedi delle Alpi Orobie. Siamo al limitare della valle opposto a quello dove invece si situano Alzano e Nembro, comuni in cui pare essersi sviluppato il primo focolaio dell’area e per i quali non è stata preposta la zona rossa come avvenne invece a Codogno. È la medesima unità territoriale a dirigere le strutture ospedaliere di Piario e Alzano, oltre a quelle delle cittadine di Gazzaniga, Lovere, Trescore e Sarnico: l’Azienda socio sanitaria territoriale “Bergamo Est”. «È chiaro che i problemi più grandi li hanno avuti e li stanno avendo “dall’altro lato” della valle, ma anche qua a Piario ci siamo trovati in difficoltà fin da subito», prosegue la fonte del personale sanitario. «Già dalla fine di febbraio accoglievamo pazienti da Alzano Lombardo e per quindici giorni abbiamo lavorato senza mascherine. Il risultato è che l’80 per cento degli operatori si è ammalato ma, durante quel periodo, la dirigenza ha continuato a sostenere che le mascherine non servivano a nulla».

L’ospedale di Piario

La “dirigenza” è rappresentata da alcuni nomi che in questi giorni stanno riempiendo i titoli e le pagine di numerosi giornali e siti web. In particolare, il Tpi sta dedicando un’approfondita inchiesta all’individuazione delle responsabilità precise della mancata chiusura dell’Ospedale “Pesenti Fenaroli” di Alzano Lombardo chiamando in causa le figure del direttore generale dell’Asst Bergamo Est Francesco Locati e del direttore sanitario Roberto Cosentina. I vertici dell’istituzione sanitaria, stando alle ricostruzioni basate su documenti acquisiti da Tpi e su dichiarazioni di alcuni operatori, non avrebbero dato ascolto alla richiesta del direttore medico dell’ospedale di Alzano Lombardo di chiudere e mettere in sicurezza la struttura poco dopo la scoperta dei primi due casi positivi alla Covid-19, favorendo così il diffondersi del contagio a tutta l’area. «A circa 2-3 giorni da quando era scoppiato il “caso” del “Pesenti Fenaroli” non era stata presa ancora alcuna misura, anzi», racconta la fonte di Piario. «Basti pensare che un uomo del personale del pronto soccorso di Alzano, che presentava evidenti sintomi della Covid-19, invece di rimanere a casa ha svolto il suo turno di 12 ore andando in giro per la valle in lungo e in largo a bordo della sua ambulanza. È evidente che così avrà infettato non solo i colleghi che lavoravano con lui all’interno della vettura, ma anche il personale degli ospedali in cui si è recato durante la giornata. Il giorno successivo, gli è stato effettuato un tampone ed è stato ricoverato d’urgenza al Papa Giovanni XXIII di Bergamo».

Il direttore sanitario dell’Asst Bergamo Est Roberto Cosentina è una personalità che si trova al centro di un grave procedimento giudiziario. A gennaio di quest’anno, infatti, il Tribunale di Busto Arsizio (Varese) ha stabilito nei suoi confronti una condanna a due anni e sei mesi in primo grado per omessa denuncia e favoreggiamento personale dell’ex medico Leonardo Cazzaniga, a sua volta condannato in primo grado all’ergastolo per dodici morti in corsia al presidio ospedaliero di Saronno. Roberto Cosentina e il direttore generale Francesco Locati, inoltre, fanno parte di quella “galassia di nomine” che rispondono a una logica di lottizzazione della sanità lombarda perseguita in particolar modo dalla Lega nel periodo “post-Formigoni”. Si tratta di un meccanismo che era stato messo in luce un paio di anni fa dal “Corriere della Sera”, che aveva tra l’altro elaborato la seguente infografica:

«All’inizio dell’emergenza la direzione dell’azienda sanitaria è sparita, senza dare alcuna indicazione su come agire», afferma la fonte del personale sanitario dell’ospedale di Piario. «Si è lasciata la gestione dell’emergenza completamente in mano alle singole strutture e alla buona volontà degli operatori. Grazie all’accortezza dei medici, siamo riusciti durante i primi giorni ad arginare il problema, utilizzando il reparto di chirurgia per separare i pazienti risultati positivi al tampone dagli altri e garantendo un adeguato distanziamento fra di loro. Ma, a un certo punto, è arrivato inspiegabilmente un ordine “dall’alto”, più precisamente dal dottor Cosentina, che chiedeva di occupare tutti i posti letto dell’ospedale. È stato l’inizio della fine: chiunque arrivasse al pronto soccorso veniva “ammassato” nella stessa area dell’ospedale, senza la possibilità di far distinzione fra positivi e negativi. Tutto ciò mentre noi operatori non eravamo per nulla protetti: addirittura i dirigenti della nostra struttura hanno chiesto a delle volontarie del paese, delle “sartine”, di cucire dei camici che ci hanno poi proposto di utilizzare in sostituzione di quelli omologati e certificati. Solo dopo una serie di rimostranze e discussione siamo riusciti ad avere dei dispositivi di protezione a norma».

Negligenza, omissioni, veri e propri errori di metodo: è un quadro che emerge ormai da settimane se riferito alle varie istituzioni sanitarie della Lombardia e che pare trovare conferma anche nelle parole di chi si è trovato a operare a Piario. Il risultato, anche se su scala nazionale, è ben fotografato anche in un’indagine rilasciata ieri dall’Istituto Superiore di Sanità con i dati aggiornati a giovedì 16 aprile: 16.991 casi di Covid-19 confermati fra gli operatori sanitari con un’età media di 48 anni. Dati che suonano come un atto d’accusa verso un sistema di nomine politiche e mala gestione dirigenziale.

Da Piario a Roma: il bancomat dell’emergenza

Intanto, lo scorso 1 Aprile è stata istituita la struttura di supporto all’attività del Commissario per COVID-19, il capo di Invitalia – società in house del Ministero dell’economia – Domenico Arcuri, «al fine di coordinare al meglio le azioni di gestione dell’emergenza». Si legge nella ordinanza con cui è stata istituita che tale struttura è stata individuata di concerto con il Direttore del Dipartimento della Protezione Civile e che dovrà «garantire il supporto per tutte le questioni strategiche, con particolare riferimento alle acquisizioni di dispositivi ed apparecchiature sanitarie e più in generale il raccordo con il Ministero della Salute». Peccato soltanto che più che una struttura di tipo tecnico-economico essa appare nelle biografie di chi la comporrà appositamente preordinata alle logiche dello spoil system. A partire dalla figura del “global advisor” che dovrà coordinarla. L’attuale capo della segreteria politica del ministro della Salute Roberto Speranza (“dalemiano di ferro”) e Massimo Paolucci: un passato al vertice di Commissario per l’emergenza rifiuti in Campania e di cui scrivevano il giornalista Nello Trocchia e l’ex vice-sindaco di Napoli Tommaso Sodano, nel libro La peste, uscito nel 2010:

«Paolucci durante gli anni al vertice del Commissariato esce indenne dalle indagini. Anche se è l’uomo che in prima persona stringe patti, tiene relazioni con imprese private, con la Fibe e con gli amministratori locali e per la gestione del sistema delle assunzioni negli impianti di Cdr. Una lista lunga, quasi interminabile, di santi in paradiso e di segnalati che danno la misura di cosa sia stato effettivamente il Commissariato: un luogo di spartizione, di spesa allegra, un eldorado di spreco e inefficienza».

A guardare il passato e come siano state affrontate le cosiddette emergenze, dunque, c’è poco da stare tranquilli. Della sanità più indebitata d’Italia, per esempio, quella della Calabria, avevamo già scritto. E oggi si scopre, a leggere l’ordinanza n.7 del 2020 che ha istituito la struttura – «il bancomat del Commissario», come l’ha definita ieri il “Fatto Quotidiano” – che ne fa parte anche l’attuale direttore generale della programmazione sanitaria del Ministero della Salute, Andrea Urbani, che così tanto bene aveva fatto in Calabria quando un paio di anni fa era stato “mandato” da Roma come Commissario ad acta per l’attuazione del Piano di Rientro dai disavanzi Sanitari della Regione Calabria, a ripianare, cioè, il buco di bilancio della sanità calabrese, tanto da essersi dimesso in polemica con l’allora Commissario per la Sanità della Calabria, Massimo Scura, il quale di Urbani aveva detto così nell’agosto del 2017: «manca dalla Calabria da 5 mesi…».

Massimo Paolucci

Un manager della sanità buono per tutte le stagioni, evidentemente, Andrea Urbani, e per tutti i commissari, forse: dagli incarichi ricoperti nella sanità laziale durante gli anni di Storace e Polverini, alle presenze nei consigli di amministrazione di alcune imprese della famiglia Ligresti, Urbani, commercialista di formazione – come si legge nel suo curriculum – ha collezionato tantissimi ruoli. L’ultimo incarico, appunto, è quello che arriva dalla neonata struttura di Arcuri, mentre, contemporaneamente, l’uomo si occupava per il Ministero della Salute, tra le altre cose, di: «verifica dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizione di appropriatezza e di efficienza nell’utilizzo delle risorse e per la verifica della congruità tra le prestazioni da erogare e le risorse messe a disposizione». Sia come sia, che qualcosa non abbia funzionato, anche al livello centrale, oltre che in quello periferico, nei giorni della grande epidemia, è sotto gli occhi di tutti. Ed ora suona perlomeno un pò come “sinistra” la previsione contenuta nell’ordinanza n.7, la quale prevede che: «il team, affidato alla responsabilità del dott. Andrea Urbani, garantirà la definizione di strategie e scenari per la gestione dell’emergenza, la raccolta e analisi dei fabbisogni, la definizione dei criteri di distribuzione e l’assegnazione di DPI e apparati alle Regioni». Non solo. Si legge ancora nell’ordinanza che: «la realizzazione delle attività connesse alla Struttura tecnica di gestione dell’emergenza saranno garantite da diversi gruppi di lavoro che dovranno coordinarsi tra di loro e scambiarsi le informazioni necessarie».

Tra questi particolare importanza assumerà il team che dovrà esaminare le proposte degli incentivi per la riconversione delle aziende. Da Invitalia, intanto, hanno già fatto sapere il 9 aprile che sono 50 le imprese che hanno già ottenuto il via libera: 28 riconvertiranno la produzione e 22 amplieranno la capacità produttiva per realizzare dispositivi medici e di protezione individuale. Dalla società in house del ministero hanno riferito, inoltre, che saranno concessi finanziamenti agevolati «che possono trasformarsi fino al 100% a fondo perduto se l’impresa completa l’investimento e avvia la produzione in 15 giorni». Si parla di investimenti per 22,5 milioni di euro, di cui quasi 17 saranno finanziati con le agevolazioni. Le imprese che saranno ammesse ai finanziamenti potranno produrre, così, milioni di mascherine FFP2, FFP3, migliaia di camici, detergenti e soluzioni disinfettanti.

Delle 50 imprese ammesse finora, sul sito dell’agenzia, però, sono solo 8 i marchi di cui si ha notizia. Tra esse vi sono grandi firme dell’abbigliamento come Peuterey, per esempio, che convertirà parte della linea di produzione interna per la realizzazione di mascherine chirurgiche, camici e tute di protezione. E aziende come la Bond Factory di Chieti che produce tessuti di alta moda e che dicono: «amplieremo l’attività per realizzare abbigliamento e dispositivi di protezione per medici e infermieri: tute, cuffie, copricalzari e camici chirurgici». Obiettivo: produrre 5.550 capi in 14 giorni. Ma delle altre 42 aziende ammesse agli incentivi, appunto, non vi è traccia alcuna sul sito di Invitalia.

Quel che è certo, però, è che secondo quanto prevede la già abbondantemente citata ordinanza n.7, il coordinamento del team che esaminerà gli incentivi, che si occuperà cioè di «garantire la raccolta delle proposte dalle aziende, la verifica della fattibilità e la gestione del relativo incentivo», è in capo a un altro manager, privato, stavolta, buono per tutte le stagioni e tutti gli interessi. Ernesto Somma, infatti, ha rivestito l’incarico di capo di gabinetto al Ministero dello Sviluppo Economico, Mise, durante la breve e contestata era di Carlo Calenda, allo stesso tempo, Somma deteneva importanti conflitti di interessi, date le sue passate “frequentazioni” con Tap di cui è stato Senior Regional Stakeholder Advisor; avendo avuto il compito di «lavorare a stretto contatto con le autorità locali in Puglia e rafforzare la visibilità del progetto TAP».

Spetterà dunque alla struttura del commissario e a Ernesto Somma – che è anche docente ordinario di economia industriale all’università di Bari, ed è potentino di nascita come il fratello Michele,  già amministratore della società Tecno Parco che gestisce, fra le altre cose, lo smaltimento degli scarti del centro oli dell’Eni in Basilicata e presidente della Confindustria Basilicata e della Camera di Commercio di Potenza, ed è potentino come il ministro Speranza – vigilare affinché per l’ennesima volta una emergenza italiana non si trasformi in un bancomat.

Francesco Brusa, Gaetano De Monte

18/4/2020 https://www.dinamopress.it

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