Di nuovo emigranti

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Considerando la dinamica migratoria con l’estero degli italiani a partire dal 1980 (Fig. 1), primo anno in cui è possibile distinguere gli spostamenti in base alla cittadinanza, emerge con chiarezza come il sostanziale equilibrio tra partenze e ritorni si sia interrotto bruscamente con la crisi economica del 2008. È a partire da tale anno che i valori delle cancellazioni di italiani verso l’estero hanno infatti conosciuto un forte e accentuato aumento, che ne ha portato il numero fino alle 120 mila unità del 2018; mentre le iscrizioni solo dal 2015 hanno iniziato a crescere, ma non hanno ancora superato le 50 mila unità. Il risultato è stato una crescita sempre più intensa del saldo migratorio, che ha portato negli ultimi anni a perdite comprese tra le 72 mila e le 77 mila unità. Una situazione che ben riflette la realtà di un paese che già prima della crisi presentava livelli di crescita più bassi dei principali partner economici e che ora fatica a riguadagnare il terreno perduto.

 

I nuovi caratteri dell’emigrazione recente

Sulla dinamica più recente che vede un cambiamento di tendenza importante, vale la pena di soffermarsi, considerando alcune caratteristiche del fenomeno (Tab. 1). L’emigrazione italiana degli anni recenti coinvolge soprattutto gli uomini, la cui quota è sempre stata maggioritaria. Interessa per circa la metà persone tra i 20 e i 39 anni, per una cifra compresa tra un quarto e un quinto quelle tra 40 e 64 anni, per un quinto chi è al di sotto di vent’anni e per il resto anziani sopra i 65. I dati per titolo di studio mostrano un quadro più articolato di quanto non emerga generalmente: tra gli italiani cancellati per l’estero di età compresa tra 25 e 64 anni le quote per titolo di studio sono infatti sostanzialmente equivalenti. Negli ultimi anni, poco più di un terzo ha al massimo la scuola media o è diplomato, mentre i laureati, su cui si appunta prevalentemente l’interesse dei mass-media, si attestano tra il 31 e il 32%. Poco meno del 70% di questi nuovi emigranti proviene da una regione del Centro-Nord e una percentuale arrivata nel biennio 2016-2017 a superare il 75% del totale, si è diretta in un paese dell’Unione Europea o dell’EFTA, con preferenze per Germania, Regno Unito, Svizzera e Francia.

I dati disponibili mostrano, quindi, un quadro ricco di novità e più articolato di quanto non appaia solitamente e, soprattutto, evidenziano una sostanziale stabilità delle caratteristiche del fenomeno nei dieci anni considerati. La quota di persone nella parte alta dell’età lavorativa è tutt’altro che trascurabile, come è rilevante la presenza di persone con basso titolo di studio e di diplomati. Il fenomeno ha origine soprattutto nel Centro-Nord, con una inversione di tendenza radicale rispetto alla nostra tradizione migratoria, ed appare strettamente legato agli scambi con i partner europei. È anche un fenomeno che riflette la nuova realtà dell’Italia come paese d’immigrazione, visto che nel 2017 di questi emigranti quasi 33 mila sono nati all’estero e secondo l’ISTAT¹ si è in presenza prevalentemente di naturalizzati che ritornano nel paese d’origine o vanno in un altro stato. Un valore che giunge a 44 mila unità se si considerano anche i figli nati in Italia che emigrano con la famiglia². Quasi il 40% della recente emigrazione italiana sarebbe quindi da considerare, direttamente o indirettamente, una migrazione di ritorno o una onward migration, intendendo con tale termine le migrazioni in un paese terzo di persone già emigrate dallo stato di nascita, il che mostra come il fenomeno abbia uno stretto legame anche con l’immigrazione straniera.

Il Mezzogiorno non è più la principale area di partenza

La rilevanza del cambiamento nelle aree di partenza del fenomeno merita qualche ulteriore considerazione. Se si osservano infatti i saldi migratori dei cittadini italiani per ripartizione, il cambiamento di tendenza appare notevole e anticipa addirittura la crisi (Fig. 2). Dal 1990 al 2006, il saldo migratorio del Centro-Nord era infatti positivo o comunque superiore a quello del Mezzogiorno; dal 2007 in poi, invece, la perdita della parte centro settentrionale è sempre molto più ampia di quella del resto del paese, arrivando a superare le 50 mila unità nel triennio 2015-2017, contro un valore di circa 20.000 unità per il Sud. Siamo in presenza di un cambiamento importante nella geografia dell’emigrazione italiana, visto che da più di un decennio il Mezzogiorno non è più la principale area di partenza del paese. Su questo cambiamento ha sicuramente pesato la maggiore vicinanza geografica del Centro-Nord con i paesi di destinazione e la più fitta trama di relazioni di diversa natura che lega questa parte d’Italia ai nostri vicini d’Oltralpe. Nel momento in cui la crisi ha determinato una riduzione delle opportunità di lavoro, la scelta di spostarsi in un paese vicino è evidentemente entrata più facilmente nel novero delle possibilità di chi vive nell’Italia centro-settentrionale di quanto non sia avvenuto per gli italiani residenti nel Mezzogiorno.

Riferimenti bibliografici

Autori vari (2018), Viaggio tra gli italiani all’estero. Racconto di u paese altrove, numero speciale di il Mulino, 67, n. 6.

Bonifazi C. (2017), “Migrazioni e integrazioni nell’Italia di oggi: realtà e prospettive”, in C. Bonifazi (a cura di), Migrazioni e integrazioni nell’Italia di oggi. Rome, National Research Council E-Publishing.

Bonifazi C. (2018), “Da dove si parte, dove si va”, il Mulino, 67, n. 6.

Note

¹ ISTAT (2017), Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente. Anno 2016.

² ISTAT (2018), Bilancio demografico nazionale. Anno 2017.

Corrado Bonifazi,

Frank Heins

12/4/2019 www.neodemos.info

 

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