Diaz, Cucchi e la tortura che non c’è: noi non possiamo tacere

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Per questa volta avevamo deciso di restare in silenzio. Di fronte alla nuova assoluzione dei medici dell’Ospedale Pertini imputati nel processo per l’omicidio di Stefano Cucchi, da parte della Corte di Assise di Appello di Roma – dopo l’annullamento della prima sentenza di appello ed il rinvio della Corte di Cassazione – : di fronte alla reiterata incapacità di pronunciare una parola di giustizia su questa morte, avevamo deciso di non diffondere comunicati stampa, rilasciare dichiarazioni di circostanza. Ma noi di Cittadinanzattiva n quel processo siamo parte civile, ci siamo stati dal primo grado di giudizio fino in Cassazione e poi di nuovo ancora in appello.

Noi ci siamo perché la verità sulle responsabilità del decesso di un ragazzo, che è entrato vivo in una caserma dei Carabinieri, in seguito ad un arresto per detenzione di stupefacenti, e dopo una settimana è morto in ospedale per le botte ricevute quando era nella custodia dello Stato e nelle mani dei “servitori” dello Stato, è una questione che riguarda tutti i cittadini. Ci siamo per rimarcare che è questa l’unica questione di verità che riguarda tutti e che tutti dobbiamo reclamare; ci siamo anche per arginare i tentativi ignobili di portare la vittima sul banco degli imputati, stigmatizzandone la condotta di vita, quasi a giustificare, sminuire i fatti o a ventilare che, in fondo, Stefano Cucchi a quella fine era comunque destinato. Perché era un tossico. E per tenere vive le parole di Tina Lagostena Bassi che, 37 anni fa nella celebre arringa del processo per lo stupro del Circeo, ammoniva che i processi per violenza sessuale non potevano trasformarsi in processi contro le vittime di quella violenza: le donne, appunto, che in fondo, quella “violenza” se l’erano cercata.

Avevamo scelto il silenzio, per questa volta, non certo come dichiarazione di resa, perché continueremo ad esserci, a testa bassa, per tenere viva l’attenzione su questa vicenda e percorrere tutte le possibili vie giudiziarie, ancora fiduciosi che quella pronuncia di giustizia arriverà. Di fronte alla nuova “resa cognitiva” dei giudici di appello, sarebbero state poche e superflue le parole da aggiungere al commento di Ilaria Cucchi, che ha scritto “Ciao Stefano, tu eri già così” […] “eri già morto quando ti hanno arrestato. Non se ne era accorto nessuno. Magari sei deperito e dimagrito dopo morto. Magari diranno così. Ma tu sei sempre stato morto” .

Oggi però questo silenzio dobbiamo romperlo, dopo le dichiarazioni del Ministro dell’Interno sul DDL relativo all’introduzione in Italia del reato di tortura, rilasciate proprio all’indomani di questa sentenza, e dopo la conseguente decisione del Senato di affossare l’iter di approvazione della legge, rinviando sine die la discussione e l’approvazione del testo, che era stata calendarizzata in questi giorni.

Decisione che cade, paradossalmente, nei giorni in cui ricorre il 15° anniversario dei fatti del G8 di Genova, delle violenze e dei pestaggi commessi dalle forze dell’ordine nella scuola Diaz e per i quali la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha censurato lo Stato Italiano per l’assenza nell’ordinamento nazionale di uno specifico reato di tortura; una lacuna che ha consentito ai responsabili di quelle violenze di restare impuniti, una lacuna che non permette di sanzionare gli atti di tortura commessi in questo paese e di prevenirli.

Una lacuna che non si riesce a colmare, nonostante siano trascorsi 28 anni dalla ratifica da parte dell’Italia della Convenzione ONU contro la tortura. Nonostante il reato di tortura sia l’unico ad essere previsto ed imposto dalla Costituzione Italiana del 48, tutti i tentativi legislativi che si sono succeduti negli anni sono puntualmente caduti nel vuoto.

Il DDL sulla tortura in questi giorni all’esame del Senato in seconda lettura era stato già fortemente depotenziato nel corso dell’iter parlamentare, passando da una prima versione in cui per integrare il delitto si richiedevano “violenze e minacce” ad una in cui occorrerebbero “minacce gravi e violenze reiterate” e la necessità di un “verificabile trauma psichico” in luogo delle “acute sofferenze psico-fisiche” previste in origine. Elementi, pertanto, che renderebbero molto più difficile l’accertamento del reato.

Ma, a parere del Ministro Alfano, perfino con questi “correttivi”, l’introduzione del reato di tortura legherebbe troppo le mani alle forze dell’ordine perché potrebbe comprimerne “l’operatività […] nel contesto complesso nel quale dovrebbero venire a trovarsi”.

Al di là dei riferimenti preoccupanti al “contesto complesso” in cui pare debbano venirsi a trovare le forze dell’ordine, Angelino Alfano è giurista e politico troppo provveduto per ignorare che, in un sistema che ancora si definisce parlamentare, ragioni di correttezza istituzionale e di rispetto dell’equilibrio dei Poteri dello Stato – non essendo stata ancora approvata la riforma costituzionale in cantiere -imporrebbero al Ministro dell’Interno di evitare di impartire “indicazioni” sui lavori parlamentari un momento prima della discussione al Senato su un testo di legge.

E quindi, l’ennesima operazione di affossamento di una legge che non riesce a vedere la luce, per il momento, pare riuscita. Le ragioni di civiltà vengono nuovamente sacrificate e gli obblighi internazionali e costituzionali che ne impongono l’approvazione restano nuovamente disattesi per contingenti opportunismi e giochi di forza nell’ala destra del Governo, facendo prevalere le anime della politica prone alla parte più retriva e antidemocratica delle forze di polizia e delle loro rappresentanze sindacali. E facendo nuovamente prevalere la sterile propaganda della legge sulla tortura come una legge contro la polizia, quando in realtà tutelerebbe l’interesse delle stesse forze dell’ordine.

Più volte abbiamo ricordato che il Presidente del Consiglio, all’indomani della condanna della Corte di Strasburgo per le violenze commesse nella scuola Diaz, dichiarava con un tweet che la risposta sarebbe stata data in Parlamento con il reato di tortura. E’ passato più di un anno da quella promessa e oggi il reato di tortura è di nuovo lontano dall’essere introdotto.

Noi continueremo a chiederlo. Perché ci riguarda, riguarda tutti i cittadini e perché non accada ad altri.

E continueremo a chiederlo accanto ai familiari di chi non c’è più perché per le torture è morto. Come Stefano Cucchi.

21/7/2016 www.cittadinanzattiva.it

 

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